Nel campo delle biotecnologie applicate all’agricoltura una nuova metodologia di modifica del genoma degli organismi viventi ha fatto recentemente irruzione. È la tecnica del “genome editing” mediante il sistema Crispr/Cas9 (leggi crisper cas9). Questa tecnica consente di modificare il genoma in maniera precisa e puntuale, è economica e di facile utilizzo (alla portata di qualsiasi laboratorio di biologia molecolare) e promette di incidere in maniera importante nel miglioramento genetico delle specie agrarie. Con tale tecnica è possibile causare mutazioni puntiformi in specifiche regioni del genoma (es geni di interesse agrario), ma anche di introdurre dei frammenti di DNA (es. geni) isolati dalla specie stessa o da specie non imparentate.
La tecnica potrebbe rappresentare un punto di forza per l’agricoltura italiana e per le sue tipicità. Infatti, varietà tipiche, carenti per alcuni caratteri (es. fattori di resistenza) o recanti caratteri che limitano la produzione o sono nocivi (es. autosterilità fiorale, allergeni), potranno essere modificate sfruttando le potenzialità di questa tecnica. Si pensi, ad esempio, alle varietà di uva che vengono costantemente attaccate da diversi patogeni che richiedono importanti trattamenti chimici per il loro controllo. Con questa tecnologia si potrebbe quindi inserire solo la resistenza al patogeno, sfruttando geni di varietà resistenti o modificando quelli già presenti, mantenendo inalterato il genoma della cultivar in oggetto, preservando di conseguenza le caratteristiche del prodotto finito, compreso il vino.
In un contesto in cui le reazioni allergiche e le intolleranze alimentari sono in aumento, con il “genome editing” si potrebbero, inoltre, ottenere frutti privi di proteine allergeniche semplicemente modificando la sequenza dei geni esistenti nella pianta, senza introdurre alcun nuovo frammento di DNA. Le nuove tecniche di miglioramento genetico possono avere implicazioni positive anche per lo sviluppo di piccole e medie ditte vivaistiche e sementiere.
Ad oggi l’Ue non ha ancora deciso come i prodotti che verranno immessi sul mercato con questa tecnica debbano essere regolamentati. La decisione è attesa entro la prossima primavera. La richiesta di diverse società scientifiche è quella che i prodotti ottenuti modificando solo poche basi (sostituzione, inserzione o delezione di poche basi) siano classificati alla stregua dei prodotti ottenuti mediante mutagenesi (indotta o naturale che sia), anche perché questi prodotti, una volta modificati, non sono distinguibili da quelli ottenuti da mutagenesi naturale o indotta. A differenza delle tradizionali tecniche ricombinanti, le modificazioni apportate mediante il “genome editing” sono guidate, cioè si conosce precisamente la posizione genomica che si va a modificare.
L’agricoltura italiana ha un disperato bisogno di innovazione genetica e di agro-biodiversità. Il blocco della ricerca biotecnologica e delle sue applicazioni, che il Paese sperimenta da più di 15 anni, ha acuito i suoi problemi. Il “genome editing” rappresenta un’opportunità che l’agricoltura italiana non può lasciarsi sfuggire per innovarsi e per ripartire con slancio.
Il 22 giugno 2017 la Società Italiana di Genetica Agraria (Siga), la Federazione Italiana Scienze della Vita (Fisv) e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e per l’analisi dell’economia agraria (Crea) hanno presentato a Roma un Manifesto, sottoscritto anche dalla Società Italiana di Biologia Vegetale e dall’Istituto di Genomica Applicata di Udine, rivolto principalmente ai decisori politici, in cui si chiede che i prodotti ottenuti con il “genome editing” e le cui modifiche siano assimilabili a mutagenesi e vengano regolamentati al di fuori della direttiva europea 2001/18. Una decisione contraria della Ue bloccherebbe in maniera definitiva la ricerca biotecnologica applicata all’agricoltura con il risultato di trasferire questa potente tecnica e opportunità ai soli soggetti che potranno permettersi i costi esorbitanti della regolamentazione attuale sul DNA ricombinante (Ogm). Costi che potranno essere sopportati solo da colture di grande diffusione in grado di ripagare l’enorme impegno economico e non da molte colture tipiche dell’agricoltura italiana.
L’adesione al manifesto non esprime un giudizio nei confronti di altre biotecnologie ormai consolidate (DNA ricombinante) che rimangono tecnicamente valide per risolvere determinati problemi, come, ad esempio, la resistenza a PPV in pesco, per la quale al momento non sono stati individuati fattori di resistenza all’interno della specie.
L’Italia negli ultimi anni ha contribuito in maniera importante alle conoscenze genomiche delle specie agrarie, in particolar modo per le specie orto-frutticole. Le sequenze genomiche di vite, melo, pesco, fragola, agrumi, pero, pomodoro, patata e melanzana hanno visto una nutrita partecipazione di ricercatori ed enti di ricerca del nostro Paese, ricerche che sono state finanziate dai contribuenti italiani. Queste informazioni sono oggi disponibili su “database” pubblici, sono quindi alla portata di tutti, anche dei nostri competitori. Non sarebbe saggio da parte del nostro Paese rinunciare all’innovazione dopo aver speso tanto per produrre parte di quella conoscenza indispensabile per l’applicazione di questa metodologia rivoluzionaria.
Il mondo si sta preparando a una nuova “green revolution” che darebbe al nostro Paese un potente strumento per rilanciare la propria agricoltura con strategie nuove e sostenibili. Proprio per queste motivazioni, la Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana, su proposta del proprio Gruppo di Lavoro sulle Novità Vegetali, ha aderito al manifesto presentato a Roma il 22 giugno e, con essa, molti suoi soci. Si chiede che i prodotti ottenuti mediante “genome editing” siano assimilabili a una sorta di mutagenesi “biologica” e non siano quindi regolamentati dalla direttiva 2001/18/Ce che regolamenta gli Ogm.
Guardare avanti è compito dei ricercatori e degli studiosi, ma anche un obbligo per chi ha in mano le leve decisionali del governo della nostra agricoltura.
Adesione della Soi al manifesto sul “genome editing”
La ricerca italiana si mobilita: “Prima i Geni”