Le frontiere delle biotecnologie Nbt a sostegno di una “sana” agrumicoltura

arancia
Moro, tipica varietà di arancio a polpa rosa grazie alla presenza delle antocianine
Progetto Futuribile al Crea di Acireale. Cisgenesi e genome editing per migliorare geneticamente le nostre arance rosse e arricchire gli agrumi con pigmenti salutistici, quali antociani e licopene e ottenere nuovi agrumi pigmentati.

Il miglioramento genetico si occupa di problematiche legate alla resistenza, alla produttività, alla qualità delle specie di interesse agrario, sfruttando tecniche tradizionali (incrocio intra/interspecifico, selezione clonale, mutagenesi) e le più moderne biotecnologie (dall’uso dei marcatori molecolari alla trasformazione genetica). Recentemente, grazie all’introduzione delle biotecnologie sostenibili di seconda generazione (“New Breeding Techniques” – Nbt) è possibile il raggiungimento degli obiettivi tipici dei programmi di breeding convenzionale, ma in tempi relativamente brevi (soprattutto per le piante arboree) e con costi moderatamente contenuti.
Tra le Nbt la “cisgenesi” e il “genome editing” sono senz’altro quelle per cui vi è maggiore attenzione da parte della comunità scientifica. Si tratta di tecnologie che permettono di modificare in modo preciso il patrimonio genetico di una varietà, riproducendo quanto avviene spontaneamente in natura attraverso le mutazioni o l’incrocio, ma in maniera più rapida e selettiva, e aggirando molti limiti tipici degli OGM, tra cui la presenza di geni usati per la selezione delle piante trasformate.
L’approccio cisgenico si basa sul trasferimento, nel genotipo che si intende migliorare, solo di geni e sequenze regolatrici derivate da altri genotipi della stessa specie o di specie sessualmente compatibili, riducendo considerevolmente sia i tempi, sia il trasferimento involontario di sequenze associate a quelle target, spesso responsabili di caratteri indesiderati. Quest’approccio potrebbe positivamente essere applicato ad alcune specie, quali l’arancio dolce o il clementine, in cui la variabilità intraspecifica è stata causata unicamente da mutazioni gemmarie. Per questo motivo le informazioni sulla sequenza, sulla posizione, l’orientamento ed il funzionamento di un gene all’interno dei genomi di origine sono fondamentali, per comprendere i meccanismi molecolari alla base dell’espressione di caratteri rilevanti in agricoltura.
Per “genome editing” (letteralmente “modificazione/correzione del genoma”) si intende quell’insieme di tecniche capaci di modificare, eliminare, sostituire specificatamente e in maniera puntuale la sequenza del gene di interesse. A differenza di quanto possa avvenire con i tradizionali metodi di mutagenesi indotta da metodi fisici o chimici che causano mutazioni casuali, il genome editing consente, conoscendo la sequenza specifica del gene di interesse, di intervenire esclusivamente su target specifico. Le tecniche di genome editing si basano su tagli nel doppio filamento di DNA attraverso l’uso di diverse nucleasi (la più specifica al momento è Crispr/Cas), che in seguito vengono appositamente riparati.
A differenza delle tecniche di mutagenesi indotta, le NBT sono meno invasive proprio perché intervengono esclusivamente in una posizione ben precisa del gene di interesse. Inoltre, contrariamente alle piante geneticamente modificate, non comportano l’inserimento di DNA estraneo e la pianta derivante dall’utilizzo delle NBT non è distinguibile da una pianta ottenuta tramite miglioramento genetico convenzionale.
Il futuro è già realtà
Negli ultimi anni la cisgenesi è stata utilizzata per migliorare la resistenza a patogeni in melo e patata, per ridurre il contenuto di acido fitico in orzo e per migliorare la qualità delle proteine in grano duro (Holme et al., 2013). Nonostante l’importanza economica degli agrumi a livello mondiale, l’utilizzo delle NBT risulta essere fortemente ostacolato da alcuni aspetti che rendono peculiari gli agrumi, quali la lunga fase giovanile, la sterilità maschile e/o femminile, l’incompatibilità sessuale, la poliembrionia e la partenocarpia (Davey et al., 2005). Questi rappresentano solo alcuni dei motivi per cui attualmente le referenze bibliografiche che riportano l’uso delle NBT in agrumicoltura sono piuttosto rare. Non da meno è la disponibilità estremamente limitata di conoscenze sui geni che controllano caratteri di interesse agronomico. Sebbene siano disponibili pochissimi articoli scientifici, tra cui uno riguardante il recupero di piante “selectable-marker free” (ovvero di piante senza la presenza di geni marcatori estranei) in condizioni non selettive (Ballester et al., 2010), in pratica, a meno di comunicazioni confidenziali e di contributi a congressi non accompagnati da pubblicazioni, non è stato ancora pubblicato alcun lavoro riguardo l’utilizzo di cisgenesi in specie agrumicole, anche a causa della mancanza di disponibilità di adeguati vettori da usare negli esperimenti di trasformazione (An et al., 2013).
Negli agrumi la resistenza a malattie causate da agenti patogeni e/o stress abiotici sembra, in alcuni casi, essere riconducibile a fattori multigenici spesso tuttora sconosciuti. L’incombere di una malattia devastante come il “Huanglongbing” (HLB o greening) in molti paesi agrumicoli come la Florida rende, pertanto, impellente l’utilizzo di un sistema quale il Crispr/Cas per l’ottenimento di piante di agrumi resistenti. Un approccio simile è stato già realizzato con successo utilizzando il sistema SpCas9/sgRNA per produrre piante resistenti al cancro batterico, intervenendo sul gene della suscettibilità CsLOB1 o sul suo promotore ((Jia et al., 2017a, 2017b; Peng et al., 2017).
Le NBT rispondono alle esigenze
di una agrumicoltura di qualità
Gli agrumi rappresentano oggi una delle specie da frutto più diffuse e importanti a livello mondiale, e l’Italia, insieme alla Spagna, rappresenta uno dei principali produttori ed esportatori europei. Negli ultimi anni i consumatori stanno diventando sempre più attenti ed esigenti, richiedendo un prodotto che, oltre a rispettare i classici parametri di qualità (pezzatura, zuccheri, acidità, resa in succo, ecc.), sia anche sano e ricco in sostanze antiossidanti (antocianine, vitamina C, licopene, polifenoli). Il Crea-OFA di Acireale da decenni si è occupato della produzione di ibridi di agrumi volti proprio a coniugare tratti qualitativi di pregio dei parentali usati per l’incrocio, nella fattispecie arancio pigmentato e clementine. Ma i tempi del miglioramento genetico classico sono, come è noto, assai lunghi. Ed è proprio in tal senso che il Crea di Acireale ha deciso di investire parte dei finanziamenti che il Mipaaf devolverà nei prossimi mesi allo studio della regolazione e controllo della pigmentazione antocianica sfruttando le competenze di cui già dispone e utilizzando le conoscenze che a livello interazionale e nazionale si hanno riguardo l’utilizzo delle NBT.
Come già anticipato, conditio sine qua non per utilizzare queste tecniche è la conoscenza assoluta dei geni responsabili di un carattere in tutte le sue varianti. Oggi la disponibilità di geni di resistenza o responsabili di caratteri qualitativi nell’ambito del genere Citrus è cosa assai rara. In arancio dolce uno dei pochi esempi è rappresentato da Ruby. Si tratta di un gene regolatore che associato alla regione a monte del gene stesso (parte integrante del suo promotore) funge da marcatore frutto-specifico della colorazione rossa a carico delle antocianine (Butelli et al., 2012, 2017). In tutte le arance rosse, ma non in quelle bionde, Ruby è sotto il controllo di un retrotrasposone che determina la specificità dell’espressione del gene nel frutto e la dipendenza dal freddo per l’attivazione della biosintesi delle antocianine.
Il ruolo antiossidante svolto dalle antocianine, la capacità di ridurre lo stress ossidativo in pazienti diabetici e affetti da tumori, di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, di prevenire l’obesità, è un messaggio ormai noto a tutti i consumatori. Non è certamente di minore importanza l’attività farmacologica svolta dal licopene, potente antiossidante in grado di prevenire l’attacco dei radicali liberi durante lo stress ossidativo e la capacità di rallentare o arrestare il processo di infiammazione e la progressione di alcune malattie neoplastiche. Entrambi questi pigmenti, rosso-porpora il primo, rosa l’altro, caratterizzano in maniera mutualmente esclusiva diverse varietà di agrumi (Figg. 2, 3, 4, 5). Come è noto, le antocianine contraddistinguono le principali varietà siciliane (Moro, Tarocco e Sanguinello), in cui è evidente anche la variabilità di espressione del carattere tra buccia e polpa. Diversamente, la pigmentazione a carico del licopene risulta essere meno diffusa e comune; si contano, infatti, pochi esempi nell’ambito delle arance, quali Navel Cara Cara e Vaniglia sanguigno, in aggiunta al pompelmo Star Ruby.
Pertanto, una delle sfide più ardue e complesse che il Crea di Acireale si è prefissato riguarda proprio la produzione di frutti di elevato potere salutistico, caratterizzati dalla contemporanea presenza di entrambi i pigmenti, sfruttando l’utilizzo di un approccio cisgenico (Fig. 1). L’analisi del genoma di arancio dolce e di altri agrumi (Xu et al., 2013; Wu et al., 2014), nonchè di circa 20 risequenziamenti di varietà di arancio dolce (Scaglione et al., 2014) permetterà di identificare ulteriori geni coinvolti nella manifestazione di caratteri di interesse agronomico, tra cui la qualità dei frutti e la resistenza a patogeni o a stress abiotici.
Il “collo di bottiglia”
della rigenerazione
Il problema principale con cui bisognerà fare i conti non riguarda esclusivamente la caratterizzazione funzionale di geni di interesse agronomico, né la disponibilità di vettori per l’applicazione delle NBT in Citrus. La rigenerazione delle piante a partire dalle singole cellule vegetali a seguito di trasformazione è probabilmente la sfida maggiore. Alcuni agrumi, come il Tarocco, sono particolarmente recalcitranti alla trasformazione genetica, nonostante siano state condotte specifiche ricerche volte all’ottimizzazione dei protocolli per assicurare la produzione di piante uniformemente trasformate (Singh e Rajam 2009). Tuttavia, la natura recalcitrante di alcune specie agrumicole è da ricondurre alla trasformazione mediata da Agrobacterium (Spolaore et al., 2001). Una possibile ragione è legata al fatto che gli agrumi non sono ospiti naturali di Agrobacterium e pertanto la loro mutua interazione non si è evoluta a livelli tali da garantire una efficiente interazione tra i due organismi. Inoltre, la competenza di trasformazione e di rigenerazione delle cellule non è comunque uniforme.
Conclusioni
Gli agrumi non rappresentano di certo una specie modello per l’applicazione delle NBT (e la scarsità di lavori pubblicati ne è una testimonianza). Oggi la ricerca scientifica, sia in termini di disponibilità di investimenti pubblici che di informazioni sui genomi, sta mettendo i ricercatori italiani nelle condizioni di poter ridurre un gap rispetto alle altre specie di interesse agrario, su cui la produzione scientifica riguardo l’uso delle NBT risulta decisamente avanzata. Tra l’altro, la possibilità di utilizzare tecnologie innovative mirate a modificare esclusivamente una sequenza codificante il carattere di interesse, lasciando inalterato il rimanente genoma, potrà determinare un miglioramento del patrimonio varietale agrumicolo assolutamente innovativo, bypassando le remore in precedenza avanzate per l’utilizzo degli OGM.

Le frontiere delle biotecnologie Nbt a sostegno di una “sana” agrumicoltura - Ultima modifica: 2018-02-07T15:57:17+01:00 da Lucia Berti

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