Dove va l’uva da tavola italiana?

uva da tavola
Ricerca tecnologica, innovazione varietale, organizzazione produttiva, sviluppo di nuovi mercati: le ricette per il riposizionamento dell’uva da tavola “made in Italy” nel contesto internazionale sono sempre le stesse. Però dobbiamo cambiare passo.

Nei tempi antichi i vigneti erano plurivarietali e le varietà di uva da tavola erano mischiate a quelle di uva da vino. Poi, a partire dalla fine del XIX secolo, si è cominciata ad affermare la coltivazione specializzata dell’uva da tavola che in Italia ha raggiunto, specialmente in Puglia, una notevole diffusione e importanza economica.
Nella prima metà del XX secolo le varietà più diffuse erano Baresana (70%), poi Chasselas Doré, Mennavacca (o Regina) e altre. Regina avrebbe poi assunto, per diversi decenni, insieme con la diffusione dell’allevamento a “tendone”, il ruolo di varietà leader nella produzione pugliese di uva da tavola, fino agli anni ’60 del secolo scorso, per essere poi sostituita congruamente dalla cv Italia nei primi anni ‘70 e, per la restante, parte dalla varietà Victoria negli anni ‘90, insieme con quote di Michele Palieri e Red Globe. Molto del successo dell’uva da tavola italiana sui mercati nazionali ed internazionali (quasi la metà dell’uva prodotta viene esportata) è stato conseguito grazie all’affermazione della varietà Italia (fortunata ibridazione di Alberto Pirovano del 1911 tra Bicane e Moscato d’Amburgo) che nel 1926 veniva avviata alla commercializzazione come “la migliore delle varietà da serbo della categoria di lusso”.
Dagli anni ’70 agli anni ‘90 del secolo scorso la messa a punto e diffusione in Italia della tecnica della coltivazione protetta sotto telo plastico, sia per il ritardo che per l’anticipo della raccolta, ampliando il periodo di offerta sui mercati, insieme con l’ottima qualità dell’uva prodotta e la buona organizzazione produttiva, hanno contribuito all’affermazione del settore, facendo raggiungere al nostro Paese la posizione di leader europeo con una superficie coltivata di oltre 75.000 ha e una produzione superiore a 1.500.000 t di uva, di cui oltre 600.000 esportate, dando lavoro a circa 75.000 addetti (conteggiati a tempo pieno).

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5Da alcuni anni i viticoltori italiani si stanno orientando decisamente verso le uve apirene.

Dopo decenni di stabilità dell’offerta varietale italiana di uva da tavola, basata essenzialmente sul gradimento riscontrato dalla varietà Italia e la sua conseguente affermazione sui mercati, negli anni ’90 si sono introdotte quote importanti di Victoria e Red Globe. Sono diventate poco rilevanti e/o di nicchia le produzioni di Regina, Michele Palieri, Regina dei vigneti, Pizzutello, Baresana. L’offerta italiana è comunque rimasta ancorata alle uve con semi.
A cavallo del cambio di millennio il mercato europeo (che rappresenta la principale destinazione dell’uva esportata dall’Italia) aumenta significativamente il gradimento verso le uve apirene: la mancanza dei semi evidenti e lignificati è diventata sempre più carattere dirimente che guida il consumatore al momento dell’acquisto. La produzione italiana non ha colto subito questa evoluzione del gusto e ha perso quote significative di mercato (circa un terzo) che, parallelamente, ha visto la crescita di Paesi in grado di offrire uve apirene (Turchia, Egitto, Spagna, Grecia, ecc.). Il nostro Paese, quindi, ha perso quote rilevanti di mercato, con prezzi insoddisfacenti e bilanci in perdita, con forte sofferenza del settore, che mostra un calo di circa un terzo della superficie coltivata e della produzione raccolta.
Finalmente, da qualche anno i viticoltori orientano maggiormente i nuovi impianti verso le nuove varietà apirene, utilizzando nuove costituzioni genetiche realizzate, selezionate e rese disponibili da breeder a livello internazionale, prima, e anche italiano più di recente. I risultati sono incoraggianti: al viticoltore, mediamente, il prezzo riconosciuto per kg di uva apirena è il 50-100% in più rispetto a quello delle uve con seme. I bilanci aziendali stanno gradualmente riprendendo vigore. La fase di cambiamento in corso e la rilevante offerta di nuove varietà sta comportando però una certa “confusione” nelle scelte varietali e conseguente frammentazione dell’offerta, che sta rendendo più difficile la riconoscibilità della qualità di uva di maggior gradimento da parte del consumatore.
Ormai le novità varietali disponibili tendono a superare un centinaio. Altre ne arriveranno nei prossimi anni. Cosa comporta questo? Il viticoltore ha grande difficoltà nel momento dell’impianto del vigneto perché la scelta varietale condizionerà l’offerta produttiva del suo impianto per almeno un ventennio. I costi di piantagione sono molto alti e incidono significativamente sul costo di produzione. Sbagliare la scelta varietale può compromettere il futuro economico dell’azienda agricola.
Anche dal punto di vista del consumatore la situazione è confusa: in una moltitudine varietale offerta sui mercati ha difficoltà a riconoscere quella di maggior gradimento e spesso rischia di non ritrovarla sui banchi di vendita all’acquisto successivo. Infatti, l’offerta è troppo variegata e poco stabile. In questa situazione, l’uva da tavola rischia di essere differenziata solo per macro caratteri: colore (bianca, rossa, nera) e presenza o no di semi. Nei prossimi anni, pertanto, si renderà necessario effettuare iniziative volte alla semplificazione e distinguibilità dell’offerta di uva da tavola al mercato, mettendo il consumatore in condizione di poter riconoscere e ricomprare l’uva più gradita, informandolo al meglio anche sulle implicazioni dietetiche. Infatti, notevole interesse potranno avere i recenti studi nutraceutici che stanno evidenziando aspetti molto positivi per la salute umana legati all’introduzione di uva nella dieta.
Le biotecnologie potranno dare un importante aiuto; l’evoluzione normativa verso l’utilizzo di nuove tecniche “sicure” che il progresso della conoscenza scientifica ha reso disponibili (cis-genesi, “genome editing”, silenziamento genico), capaci di agire con elevata precisione sul Dna, aiutando la natura a manifestare mutazioni possibili anche senza l’intervento dell’uomo, potrà darci nuove varietà partendo da quelle più importanti del recente passato e ancora apprezzate, ma con nuovi caratteri che conferiscano loro i più importanti requisiti richiesti oggi. Immaginiamo, per fare un esempio, una nuova uva Italia senza semi e con resistenza/tolleranza verso malattie come peronospora, oidio e marciumi? E se si riuscisse ad aggiungere anche una maggiore resistenza agli stress idrici agendo anche sui portinnesti? Significherebbe un grande miglioramento della sostenibilità della produzione, minor consumo della risorsa non rinnovabile “acqua” per l’irrigazione, minore immissione nell’ambiente di agrofarmaci, disponibilità di prodotto con la qualità storicamente gradita, ma potenziata con nuovi caratteri in grado di renderla ancora più ricercata e adatta a soddisfare tutte le esigenze.
C’è un altro aspetto importante da ricordare: rispetto al periodo d’oro di affermazione della commercializzazione dell’uva da tavola italiana (seconda metà del secolo scorso), il mercato è cambiato. Mentre l’organizzazione della parte produttiva e di offerta dell’uva da tavola al mercato è rimasta stabile (piccole aziende produttrici e piccole/medie dimensioni delle aziende di commercializzazione che svolgono la fase di taglio dei grappoli, confezione e spedizione), la fase successiva, che prima era rappresentata dai mercati generali delle grandi città e dai tanti venditori al dettaglio, ha concentrato fortemente la fase intermedia con l’avvento della GDO. È seguita un’ulteriore concentrazione con lo sviluppo di piattaforme di acquisto che operano per conto di diverse catene della grande distribuzione organizzata. Pertanto, esiste un grande potere contrattuale in confronto alla debolezza dell’offerta, che è rimasta frammentata.
L’ottimale conoscenza di ciascun mercato di destinazione dell’uva e dei requisiti qualitativi più apprezzati e richiesti in ciascuno di essi, la messa in atto di forme di aggregazione dell’offerta, la selezione di un numero limitato di novità varietali da destinare alla quota prevalente del consumo, l’ampliamento dei mercati di commercializzazione a nuove destinazioni, la previsione e l’utilizzo di contromisure per superare le difficoltà dei cambiamenti climatici, insieme con il miglioramento della sostenibilità produttiva, sono gli obiettivi da raggiungere per creare le condizioni per il prosieguo del successo del settore uva da tavola italiana.

Dove va l’uva da tavola italiana? - Ultima modifica: 2019-01-22T10:29:39+01:00 da Lucia Berti

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