Nuove strategie di mercato: qualità, marketing e molto altro

Fare un passo indietro rispetto alle proprie esigenze mettendo al centro del proprio agire il consumatore: questa la giusta filosofia del più grande gruppo distributivo organizzato in Italia. Superare la ricerca dei colpevoli e iniziare a lavorare in sinergia per aumentare la percezione di valore dell’ortofrutta, onde evitare che l’unico parametro di scelta del consumatore e di leva per la vendita sia il prezzo (al ribasso). Il dibattito continua.

“Houston, we have a problem”, così iniziava una mia recente intervista sul tema della qualità dei prodotti ortofrutticoli e, oggi come qualche mese fa, la situazione, se possibile, è peggiorata. Il 2018 si è chiuso con dati mediamente negativi per tutta la distribuzione, sia a volume, sia a valore, e nemmeno i primi mesi del 2019 brillano. Questo nonostante l’ortofrutta non abbia nemici mediatici, dietetici o religiosi. Tuttavia, dal 2000 ad oggi gli italiani hanno “rinunciato” a consumare oltre 1,7 Ml t di frutta e verdura che, riportati a casa di ciascuno di noi, vuol dire 17 kg in meno di consumi di frutta e verdura freschi, in media 1,5 kg in meno ogni anno.
A questo aggiungiamo che l’export italiano è in calo, mentre cresce l’import; i dati di Fruitimprese dicono che più o meno nello stesso periodo (gli ultimi vent’anni) abbiamo perso volumi importanti di prodotto esportato e accresciuto le importazioni in maniera esponenziale. L’import è cresciuto in valore del 142,5%; quindi, importiamo 1 Ml t di prodotti in più. L’import di agrumi è cresciuto in valore del 214%, di legumi e ortaggi del 114,5%. Tutti prodotti spesso in diretta concorrenza coi nostri o provenienti da Paesi nostri competitori sui mercati internazionali. Nello stesso periodo abbiamo esportato quasi 100.000 t in meno di legumi-ortaggi e perso 73.000 t di frutta fresca.


Sui consumi sprechiamo meno. Certamente la crescita di consumi più orientati al servizio (gamme più evolute che vanno verso il netto edibile) riducono inevitabilmente il “peso” della spesa, ma il calo complessivo è certamente dovuto ad un calo di “appeal” del nostro sistema ortofrutticolo ed è evidente che nella filiera abbiamo un problema e non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo.
Non avendo lo spazio per analizzare tutte le leve in maniera diffusa di tutte le problematiche del sistema ortofrutticolo italiano, vorrei concentrarmi su uno, il più immediato, il più facilmente misurabile: la qualità organolettica. L’ortofrutta oggi è mediamente meno buona di quanto non lo fosse nel periodo di cui sopra, questa purtroppo è un’evidenza. Su questo punto, al momento, vedo il settore dibattersi tra negazionisti e fatalisti. I primi continuano a dire che non è vero che la qualità è peggiorata, anzi, la frutta di oggi è migliore perché più uniforme, più colorata, più serbevole, confondendo la vista “commerciale” con la qualità sensoriale. I secondi danno la colpa ad altro: alla stagione (non ha fatto abbastanza caldo-freddo), ai mercati, alla volatilità dei consumatori. Ma fino a quando non arriveremo ad accettare che dobbiamo tornare a produrre la qualità che si aspettano i consumatori, al giusto prezzo, e invertire la spirale innescata da prodotti che fanno rese sempre maggiori, facili da coltivare, raccogliere, conservare, esporre e manipolare, il tutto a discapito di profumi, sapori, colori che fanno dell’ortofrutta un settore unico e meraviglioso, non avremo risolto il problema della qualità.
Non è certo un problema di dimensione produttiva – offriamo di norma più di quanto siamo capaci di vendere – né di gamma d’offerta, la più ampia e diversificata disponibile, ma di adeguatezza per le esigenze del mercato di oggi. L’insoddisfazione dei clienti deriva dalla qualità in generale, dai parametri di maturazione, freschezza, gusto e dall’incostanza della qualità.
Il mercato, anche nelle forme più semplificate, va verso una segmentazione d’offerta, sia differenziando i livelli qualitativi reali, “brandizzando” le proprie scelte in maniera da fidelizzare i consumatori e introducendo “linee premium” con qualità realmente distintiva, sia introducendo in maniera massiccia produzioni da agricoltura biologica. Grande sviluppo hanno le “linee convenience” che hanno come driver la praticità e la comodità di utilizzo. Elementi importanti della segmentazione sono anche la trasparenza, ovvero le informazioni sui sistemi di produzione e di legalità e qui molto si può fare con il supporto della tecnologia.
I prodotti vanno “raccontati”; le esperienze di successo in questi anni hanno iniziato a raccontare e rendere più trasparente i propri processi produttivi iniziando a diffondere di più e meglio tutte quelle informazioni che spesso gli operatori danno per scontato, ma che l’aumentata distanza tra chi consuma e chi produce ha reso non più patrimonio comune. Questo è certamente un territorio comune tra chi produce e chi distribuisce, per fornire strumenti di standardizzazioni e linguaggi necessari per renderla possibile, perché altrimenti l’unica variabile possibile sarà quella del prezzo. Anche la territorialità, quando non vissuta come utopica autarchia, ma valorizzazione del territorio e dell’economia ad esso connessa, è un elemento importante di valorizzazione dell’offerta.
Dalla teoria alla pratica
Per passare dalla teoria alla pratica, all’interno della rete vendita di Coop Italia, negli ultimi anni abbiamo implementato progetti e utilizzato alcune delle leve suddette, con ottimi risultati. Ad esempio: l’offerta del nostro brand “Vivi Verde”, sempre più ampia e diversificata, ha portato negli ultimi 3 anni al raddoppio di vendite, portando da nicchia a segmento il prodotto biologico; oppure l’estensione della nostra linea “Fior Fiore”, che al momento vede, come unico limite allo sviluppo, proprio la qualità delle produzioni; oppure, ancora, la linea “Origine” che, dopo il restyling del 2018, si conferma, da indagini interne, il brand più conosciuto della GDO italiana come notorietà e valutazione dopo l’acquisto. Sui banchi frigo e sul secco abbiamo lavorato su logiche espositive e assortimenti per eliminare le sovrapposizioni e aumentare al contempo le possibilità di scelta; ne sono un esempio l’introduzione in tempi non sospetti di una linea di zuppe a marchio con ricette differenti e innovative rispetto a quelle proposte da altri leader di mercato e che hanno contribuito ad innalzare significativamente le vendite del comparto. Infine, posso sicuramente citare il progetto “avancasse del benessere”, partito a diffusione nazionale nel 2018, con quasi 1.000 avancasse che da cioccolate e caramelle sono passate a frutta secca monoporzione, con risultati davvero importanti.)
Altre sfide della filiera sono certamente legate ad un utilizzo migliore delle leve di marketing. Il digitale sta modificando profondamente le strategie e gli strumenti operativi che le imprese impiegano per promuovere i propri prodotti. Per l’ortofrutta siamo solo agli inizi, ma le possibilità sono straordinarie. Intercettare e analizzare le abitudini di acquisto è necessario non solo per disegnare con maggiore precisione le strategie di marketing, personalizzandole sempre più su gruppi di individui omogenei, o sviluppare nuove varietà e prodotti partendo dai bisogni dei consumatori per far sì che questi riconoscano le caratteristiche dell’offerta: tutto questo serve se vogliamo davvero intercettare i nuovi consumatori che sono molto più fluidi e meno “clusterizzabili”.
Per valorizzare queste iniziative occorrono adeguati percorsi di semplificazione delle scelte (e del tempo) al punto vendita, che non possono diventare meri espositori di tutto ciò che si produce, ma hanno il compito di facilitare e indirizzare le scelte del consumatore verso un recupero del valore. Per fare questo serve un nuovo patto di filiera dove ciascuno deve fare un passo indietro rispetto alle proprie esigenze, mettendo al centro del proprio agire il consumatore.

Nuove strategie di mercato: qualità, marketing e molto altro - Ultima modifica: 2019-04-29T10:17:21+02:00 da Lucia Berti

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