L’ortofrutta italiana e la sfida “Green”

«Se l’Europa ha fissato l’obiettivo di ridurre entro il 2030 l’uso dei fitofarmaci, è la stessa Europa che prima ancora di nuovi atti legislativi, dovrà indicarci, previa adeguate valutazioni di impatto, quali saranno gli step necessari e la gradualità con cui determinate molecole potranno essere effettivamente tolte dal mercato»

La svolta Green annunciata dall’Europa ormai più di un anno fa ha trovato la sua prima formulazione in due documenti programmatici, la Farm to fork e la strategia sulla biodiversità. Come è noto, in queste pagine vengono fissati alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2030, quali l’adozione di misure per ridurre del 50% l’uso di pesticidi e uno sviluppo dell’agricoltura biologica che arrivi fino al 25% del totale dei terreni agricoli. La strada indicata è certamente ambiziosa, poiché si prefigge di cambiare il sistema agroalimentare europeo con l’obiettivo di garantire ai cittadini comunitari l’accesso a cibi sani e sostenibili, affrontando al contempo la sfida dei cambiamenti climatici e della salvaguardia della biodiversità. La filiera dell'ortofrutta italiana non si trova certo “impreparata” rispetto a questi grandi obiettivi di sostenibilità.

L'Editoriale di Giorgio Mercuri su rivista di Frutticoltura 2/2021

Filiera ortofrutticola già avanti

In altre parole: non siamo nella situazione di dover iniziare a fare ora i primi passi per adeguare i nostri sistemi produttivi in risposta a quanto l’Europa ci chiede. Per nostra fortuna, infatti, i principi di sostenibilità fanno parte da tempo del background delle filiere cooperative ed in particolare delle Organizzazioni di produttori che rappresentano un concreto e avanzato esempio di sostenibilità.  Gran parte delle OP persegue infatti da tempo impegni ambientali sia attraverso le misure specifiche previste dall’OCM, sia anche per soddisfare le disposizioni dei Disciplinari di produzione richiesti dalla GDO.

Non solo. Nelle strutture cooperative ortofrutticole più rappresentative l’incidenza del sistema di produzione integrato volontario – che prevede l'uso coordinato di tutti i fattori produttivi allo scopo di ridurre al minimo il ricorso a mezzi tecnici che hanno impatto sull'ambiente o sulla salute dei consumatori - è superiore al 70%: se a questo aggiungiamo la quota di produzione biologica e biodinamica, arriviamo ad un totale che supera il 90%.

Anche l’introduzione delle nuove tecniche irrigue e di fertilizzazione e, più recentemente, degli strumenti dell’agricoltura 4.0 va proprio nella direzione di una maggiore sostenibilità. L’utilizzo dei droni e dei software gestionali consente di riuscire a mappare i terreni dall’alto e di individuare le zone che necessitano effettivamente di trattamenti. In generale, quindi, non solo possiamo affermare che tutti i prodotti ortofrutticoli dell’Unione europea presentino elevatissimi standard qualitativi, ambientali e di sicurezza alimentare, ma anche che il sistema cooperativo ortofrutticolo organizzato contribuisca già e in ampia misura agli obiettivi fissati dall’Europa.

Due considerazioni sugli obiettivi: tema fitofarmaci

Il tema della riduzione dell’utilizzo dei fitofarmaci andrebbe a mio avviso discusso e ragionato spostando ogni tipo di riflessione, o peggio ancora di “contesa”, da un piano puramente ideologico a quello squisitamente scientifico. Non esiste cioè il partito degli ambientalisti da un lato, contrari ad ogni tipo di chimica, e i produttori dall’altro, i quali rischiano di apparire nell’immaginario collettivo come strenui difensori ad oltranza di chimica e fitofarmaci.

L’approccio non deve cioè essere quello di due idee o due tesi tra di loro contrapposte.

Come sistema cooperativo, noi non esprimiamo a priori alcuna contrarietà alla diminuzione dei fitofarmaci, ma ribadiamo la necessità che la problematica venga affrontata su un piano scientifico, lì dove dovranno essere indicate e proposte soluzioni e misure alternative, anche intermedie, che consentano a ciascun produttore, nessuno escluso, di continuare a garantire cure adeguate alle piante e alle coltivazioni. Non si ragiona mai abbastanza sul fatto che una pianta possa ammalarsi o essere preda di virus e insetti, al pari di tutti gli esseri viventi, necessitando di conseguenza di cure e “medicine” affinché non interrompa il suo ciclo produttivo.

Se l’Europa ha fissato l’obiettivo di ridurre entro il 2030 l’uso dei fitofarmaci, è la stessa Europa che prima ancora di nuovi atti legislativi, dovrà indicarci, previa adeguate valutazioni di impatto, quali saranno gli step necessari e la gradualità con cui determinate molecole potranno essere effettivamente tolte dal mercato.

Se invece a prevalere è un approccio ideologico si spalancherebbe la prospettiva, da molti temuta, di una reale perdita di produttività, aggravata da un aumento dei prezzi finali dei prodotti comunitari, che finirebbero per non essere più accessibili a tutti i consumatori. Quando si ribadisce l’esigenza che la sostenibilità ambientale debba andare di pari passo con quella economica non si vuole fare solo una mera, ancorché legittima, difesa del reddito delle imprese o della competitività delle nostre filiere. Per me difendere sostenibilità economica e ambientale vuol dire ricordare in primo luogo all’Europa che non può in alcun modo perdere di vista l’obiettivo del mantenimento delle attività produttive e, con esso, della garanzia di una produzione di cibo sufficiente a rispondere ai fabbisogni di una popolazione mondiale in crescita.

Per scongiurare questo rischio, vanno messe a disposizione dei produttori in tempi rapidi alternative valide per produrre di più e in modo più sostenibile. Un ruolo fondamentale in tal senso può essere svolto dalla ricerca, che sta sviluppando un ampio ventaglio di biotecnologie sostenibili che consentano di produrre nei vari settori, dai cereali al vino, specie resistenti alle malattie. Anche in questo caso l’autorizzazione all’utilizzo di biotecnologie di ultima generazione può aiutare, ma l’Europa è chiamata a prendere decisioni in tal senso evitando di indugiare ancora per molto.

La ricerca svolge un ruolo importante anche per individuare delle alternative ad alcune sostanze ed è questa la strada da percorrere. Considerato però che i tempi della ricerca non sono affatto veloci, troviamo irrealistico riuscire a raggiungere l’obiettivo entro il 2030 di eliminare del tutto alcune molecole. Una strada potrebbe essere quella di non vietare la sostanza, bensì di circoscriverne l’utilizzo e di ridurne i quantitativi ammessi, facendo ricorso alla tecnologia, con l’uso di sensori e macchine innovative.

Una riflessione analoga sul mercato del biologico

Si sta già discutendo in questi mesi per capire se e come l’obiettivo del 25% di superfici investite indicato dall’Europa sia perseguibile. Anche qui, per valutare l’effettiva realizzabilità di tali obiettivi, è indispensabile uscire dalle contese di principio e ideologiche e fare ricorso al supporto dei numeri, che in questo caso sono quelli che ci provengono dal mercato. L’interrogativo primario che dobbiamo porci è se l’offerta di prodotto sia in grado di crescere fino all’obiettivo posto e se e quali potrebbero essere le conseguenze sui prezzi finali se non si creerà un equilibrio tra domanda e offerta. Allo stesso tempo non si può non considerare che con l’aumento delle superfici biologiche, sarà inevitabile una perdita complessiva dei volumi di produzione. Possiamo permettercelo? Forse anche qui andrebbe fatta una valutazione attenta, definendo settori e colture nei quali è possibile realisticamente incrementare le produzioni biologiche.

L’ortofrutta italiana e la sfida “Green” - Ultima modifica: 2021-03-09T09:52:33+01:00 da Sara Vitali

1 commento

  1. Sono favorevole al contenimento dell’uso dei fitofarmaci, soprattutto all’uso corretto. Ritengo giusta,per ora, la diffusione del BIO SOLO a titolo sperimentale.

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