Fin dalla sua identificazione avvenuta a Latina nel 2008, la batteriosi del kiwi (PSA) causata dal batterio Pseudomonas syringae pv actinidiae ha prodotto agli impianti di actinidia danni tanto inaspettati quanto dirompenti, comportando l’abbattimento di migliaia di ha in tutto il territorio nazionale. Un recente studio italiano (Prencipe et al., 2016) pubblicato su “Postharvest biology” ha inoltre chiarito che nei frutti infetti dal batterio si verificano squilibri fisiologici anche in fase di conservazione, poiché il processo di maturazione dei frutti non si arresta esponendoli alle basse temperature. Nello studio, i frutti colpiti dal batterio hanno presentato un’elevata incidenza di muffa grigia durante la frigoconservazione a causa di bassi valori di acidità, calcio, consistenza e scarso accumulo di solidi solubili e sostanza secca della polpa. Tuttavia, l’impiego di 1-MCP e dell’atmosfera modificata sembra aver attenuato sensibilmente l’incidenza dei suddetti marciumi.
Nonostante le gravi conseguenze che la batteriosi ha inizialmente causato all’intero settore, i frutticoltori, senza arrendersi, hanno in fretta (relativamente) imparato a convivere con il batterio (grazie al supporto della ricerca e dell’assistenza tecnica), prevenendone e contenendone l’aggressività anche grazie all’introduzione di nuovo materiale genetico considerato più tollerante. Nelle ultime stagioni, poi, sembrava essersi ulteriormente assopito l’allarme legato alle infezioni di PSA negli actinidieti nostrani, poiché i sintomi riconducibili alla batteriosi (fuoriuscita di essudati dalle branche principali e dal tronco) sono risultati limitati. Anche per la stagione appena iniziata ci si aspettava di scamparla, ma un autunno piuttosto umido e un inverno relativamente freddo hanno favorito ovunque una recrudescenza della malattia.
Il periodo più critico per l’infezione dovrebbe essere tra marzo e aprile poiché le piogge primaverili sembrano un fattore determinante per l’infezione; infatti, già dai primi di marzo, sono stati segnalati nuovi sintomi riconducibili alla batteriosi negli impianti di actinidia allevati sia nel comprensorio faentino, in Romagna, sia in tutti gli altri areali italiani ove è fortemente presente la specie. E con essi si riaccendono i timori, poiché la prospettiva per le piante colpite è di essere estirpate o quantomeno ridimensionate onde evitare il diffondersi del focolaio.
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