Il Convegno di Latina, tenutosi nel dicembre scorso, è stato l’ultimo di una lunga serie di incontri, seminari, convegni che hanno caratterizzato il settore del kiwi nel 2014, quasi tutti incentrati sulla batteriosi da Pseudomonas syringae pv. actindiae (Psa) per i gravi danni causati alla coltura in tutte le principali aree di coltivazione italiane. Tra relazioni ad invito, comunicazioni e poster sono stati presentati oltre 30 contributi, molti dei quali relativi alla batteriosi, ma anche al rinnovamento varietale, alla gestione del frutteto e alla situazione economico-commerciale.
I dati relativi alla situazione e alle prospettive della coltura (Macchi, CSO; Cacioppo, KiwiInforma; Bastoni, Apofruit) hanno evidenziato un leggero calo delle superfici coltivate ad actinidia, sia a livello mondiale (qualche punto percentuale), sia a livello italiano (8-9%), dovuto alla diffusione di Psa, soprattutto in Nuova Zelanda e Italia. In controtendenza sono, soprattutto, Cina e Grecia e anche Cile che sembra, però, aver esaurito la fase espansiva. Dall’esame della situazione mondiale è emerso che la domanda di kiwi è in aumento nei Paesi ad economia emergente e che l’incremento produttivo che è previsto, superata la fase critica dovuta a Psa, potrà essere positivamente assorbito dall’aumento della domanda mondiale. In Italia è necessario migliorare il livello qualitativo medio della produzione, ancora troppo variabile da produttore a produttore e da zona a zona; il modello Zespri dovrebbe guidare anche i produttori italiani per consolidare la positiva posizione conquistata sui mercati mondiali.
Le ricerche sulla Psa
Le tre relazioni sul patogeno più importante hanno fatto il punto sulla diagnosi di Pseudomonas syringae pv. actindiae (Loreti e coll., Cra-Pav) che, sulla base di prove di patogenicità, ha messo in evidenza, con certezza, tre “biovar”: 1, che comprende ceppi isolati in Giappone e Italia prima del 2008; 2, che riunisce i ceppi isolati in Corea; 3 o Psa V, che include i ceppi virulenti responsabili dei recenti attacchi epidemici in vari Paesi dove il kiwi è coltivato. Un ceppo, denominato in Nuova Zelanda “biovar 4”, non sarebbe, secondo diversi studiosi, un pv. actinidiae e non è individuato da tutti i metodi diagnostici che invece riconoscono i “biovar” 1, 2 e 3. Infine, un “biovar 5”, isolato in Giappone, non è, al momento, confermato da dettagliate informazioni scientifiche.
Balestra e collaboratori (Università della Tuscia) hanno applicato a Psa, per la prima volta, la tecnica MLVA (“Multiple Locus VNTS Analisys”), utilizzando un’ampia collezione di isolati provenienti da tutto il mondo, al fine di ottenere informazioni accurate sulla variabilità genetica della popolazione mondiale di Psa. I risultati di questo interessante studio hanno dimostrato l’ampia variabilità dei ceppi batterici provenienti dalla Cina (variabilità delle specie, delle cultivar, dei climi e degli ambienti di coltivazione). E’ stata confermata la grande omogeneità dei ceppi appartenenti a “biovar 3” indipendentemente dal loro luogo di origine. Alcuni di questi ceppi, provenienti da una precisa area geografica della Cina, mostrano un’altissima affinità, ciò che fa ipotizzare che questa sia la zona di origine del ceppo virulento che ha colpito la coltura in Italia e Nuova Zelanda. Lo studio ha anche evidenziato che la popolazione virulenta presente in Corea del Sud è diversa da tutte le altre, comprese quelle precedentemente segnalate nello stesso Paese. I pochi ceppi giapponesi analizzati sono uguali a quelli del ceppo isolato in Italia nel 1992; infine, si conferma che il “biovar 4” è completamente diverso da tutti gli altri isolati di Psa a conferma degli studi più recenti.
Gli aspetti agronomici
Alla luce delle numerose sperimentazioni condotte negli ultimi anni sul controllo della batteriosi state presentate le strategie di controllo integrato (Scortichini, Cra-Fru) che consentono di convivere con la malattia e di guardare al futuro con un certo ottimismo (vedi Frutticoltura n.12, 2014). Tra gli elementi fortemente predisponenti l’insediamento del batterio ci sono le gelate, soprattutto se si verificano tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, quando ancora la pianta non è in pieno riposo, ma anche le grandinate e le forti e persistenti piogge. Le buone pratiche agronomiche, dalla preparazione del terreno alla razionale sistemazione superficiale, dalla scelta delle distanze di impianto e della forma di allevamento alle concimazioni e irrigazioni equilibrate, fino alla limitazione o esclusione dell’uso di fitoregolatori che possono provocare squilibri vegeto-produttivi, sono una buona premessa per ridurre i rischi di gravi attacchi batterici; così come, ove possibile, la scelta di cultivar e impollinatori poco sensibili. La difesa è attualmente basata sull’uso di prodotti rameici, sull’acibenzolar-S-methyl e il Bacillus amyloliquefaciens subsp. plantarum D747 e su un calendario ben preciso di interventi legato alle fasi fenologiche e agli eventi meteorici.
La relazione di Xiloyannis e collaboratori (Università della Basilicata) ha confermato l’importanza di una gestione del frutteto attenta alla eco-sostenibilità, non solo per ridurre i costi di produzione e migliorare la qualità dei frutti, ma anche per ridurre i rischi di incidenza delle malattie con particolare riguardo a Psa, favorite da eccessi/carenze nella nutrizione idrica e minerale. La recente moria dell’actinidia registrata nel veronese è una chiara conferma delle considerazioni fatte da Xiloyannis: l’irrigazione a scorrimento ha favorito condizioni di asfissia dell’apparato radicale e l’insediamento di patogeni del terreno, in particolare Phytophthora, che sono risultate le cause della elevata mortalità registrata a partire dal 2012, anche in concomitanza con andamenti piovosi invernali superiori agli anni precedenti (Tacconi et al., Cra-Gpg, Agrea, UniBo, UPS, UniPd, Consorzio Tutela Kiwi del Garda).
E’ stato accertato che la maggiore sensibilità al batterio sia di A. deliciosa che di A. chinensis, è favorita da un pH acido del terreno (Marocchi et al., Apofruit, Cra-Fru, Cra-Frc, UniPi) e da un basso contenuto di calcio nell’estratto acquoso. Actinidia deliciosa si è dimostrata più colpita rispetto ad A. chinensis in terreno con basso contenuto di magnesio nella soluzione acquosa.
Prove in laboratorio su dischi fogliari inoculati (Brunetti et al., Cra-Pav) hanno dimostrato l’efficacia di Fosetyl Al, di Ac β-aminobutirrico, di isotianyl e di saccarina nel ridurre la severità dei sintomi di Psa, mentre i fitoregolatori Triclopyr, Bion, ac. jasmonico e chinetina hanno aumentato la severità dei sintomi, in alcuni casi (vedi Bion) in contrasto con ripetute prove di campo. Di qui la necessità assoluta di una verifica di campo prima di confermare la validità delle prove di laboratorio. Trattamenti in campo con diversi prodotti, effettuati nel veronese nel biennio 2012-13, hanno dimostrato la buona efficacia dei trattamenti a base di rame, sia ossido che solfato, e di acibenzolar-S-methyl, soprattutto se miscelati tra loro (Tacconi et al., UniBo, CReSO, Agrea, Cra-Gpg, ZespriGlobal, UniBz, Pfr, Agrintesa). Prospettive interessanti per il controllo di Psa ha mostrato l’uso di batteriofagi isolati dalla Università di Tor Vergata (Evangelisti et al.). Le positive prove di laboratorio devono ora essere trasferite in pieno campo per una conferma applicativa.
La riduzione dell’inoculo è molto importante per contrastare la diffusione della malattia e risultati incoraggianti sono stati ottenuti con una macchina operatrice in grado di trinciare il legno di potatura infetto e di disinfettarlo con il fuoco alimentato a gas liquido (Tomasoni et al., Cra-Fru, Cra-Ing, Officine Mengozzi).
Il miglioramento genetico
L’esplosione di Psa ha reso più che mai urgente il problema del miglioramento varietale per individuare cultivar più tolleranti di quelle attualmente disponibili. Le oltre 50 specie di actinidia e il gran numero di genotipi presenti in Cina (il Whuan Botanical Garden possiede la più ricca collezione di germoplasma) fanno ritenere che sarà possibile, un giorno, disporre di varietà tolleranti (Cipriani, UniUd); oltre ad Hayward, al momento è la cultivar G3, appartenente alla specie A. chinensis, selezionata in Nuova Zelanda e diffusa dal gruppo Zespri, la sola commercialmente valida a possedere una relativa, scarsa sensibilità e anche in Italia sta dando buoni risultati agronomici (Cacioppo).
Vari programmi di miglioramento genetico sono attivi in Italia, sia mediante incroci che mediante selezioni di variazioni somaclonali in vitro, con risultati in fase di valutazione (Università di Udine, Bologna, Viterbo, Pisa, Cra-Fru di Roma). La tutela giuridica delle nuove varietà nell’Ue è sotto la responsabilità del CPVO (“Community Plant Variety Office”), un organismo comunitario con sede ad Angers, in Francia, che ha demandato i controlli DUS (Differenziabilità, Uniformità, Stabilità) per l’actinidia al Cra-Fru di Roma; De Salvador ne ha illustrato la procedura e i costi per gli esami.