La produzione di piante di fragola segue di pari passo quella relativa alla commercializzazione del frutto: oggi i consumatori, molto più attenti che in passato, puntano alla qualità del prodotto che acquistano. Pertanto, i produttori hanno compreso, oggi più che mai, come la buona riuscita di un fragoleto dipenda sempre più dalla qualità del materiale vivaistico utilizzato e, in particolare, dalla sua sanità. L’attenzione da parte delle aziende vivaistiche che operano in questo settore fa sì che le piante di fragola attualmente prodotte in Italia siano di elevata qualità, anche se questo fattore, parallelamente, spesso incide sui costi di produzione delle piantine stesse, che risultano più alti rispetto a produzioni vivaistiche ottenute in altri paesi, ma con caratteristiche qualitative e sanitarie inferiori.
L’elevata dinamicità delle aziende vivaistiche, unita alla diversificazione delle diverse tipologie di piante prodotte e agli accorgimenti di tecnica colturale volti a migliorare le produzioni vivaistiche dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo, sono tutti fattori che incidono positivamente sul costante aumento delle superfici vivaistiche nazionali di questi ultimi anni (Fig. 1). Il settore, pertanto, grazie anche a questi aspetti, ha raggiunto ottimi riscontri, in particolare sul fronte dell’esportazione, che riguarda Paesi sia Ue, sia extra-Ue. Per alcune delle principali aziende vivaistiche nazionali la voce “export” ricopre oltre l’80% delle proprie produzioni.
L’elevato standard qualitativo delle piante di fragola prodotte in Italia si è raggiunto sia grazie alla elevata professionalità delle aziende del settore, sia grazie ad un processo di miglioramento delle produzioni attraverso il sistema di certificazione nazionale volontario, attivo in Italia da oltre trent’anni. Si tratta di un processo messo in atto al fine di garantire ai produttori piante sane dal punto di vista fitosanitario e geneticamente rispondenti alle caratteristiche varietali. Le aziende che vi aderiscono devono attenersi a normative quadro specifiche e a disciplinari tecnici di produzione molto stringenti. Al termine del processo, se si è operato correttamente, si ottiene l’idoneità a certificare il materiale prodotto con l’apposizione del cartellino “certificato”. Questa tipologia di materiale garantisce una qualità e una tracciabilità di prodotto maggiore rispetto a produzioni che seguono l’iter della CAC (Conformità Agricola Comunitaria) o finanche quello della certificazione europea.
Garanzie fitosanitarie sul materiale vivaistico
Il nuovo regime fitosanitario europeo (Reg. Ue 2016/2031) prevede l’intervento anche del fornitore interessato (vivaista) nei controlli sui prodotti, sulle merci in import e sulla tracciabilità dei prodotti, per ridurre l’alto rischio di introduzione e diffusione di organismi nocivi che causano emergenze fitosanitarie nel territorio europeo. Questo nuovo regime inizierà ad essere applicato dal 14 dicembre 2019. Gli organismi nocivi da controllare sulla fragola per consentire la commercializzazione dei materiali di propagazione saranno, oltre a quelli da quarantena, anche quelli “nocivi regolamentati non da quarantena”. Le categorie dei materiali di propagazione offerti sul mercato sono fondamentalmente tre: materiale CAC, materiale certificato europeo e materiale certificato nel sistema nazionale di qualificazione. Per quest’ultima categoria gli organismi nocivi da controllare comprendono, oltre a quelli indicati nelle categorie CAC e certificato europeo, quelli previsti dal “vecchio” DM del 20 dicembre 2006 (“Norme tecniche per la produzione di materiali di moltiplicazione certificati”) (Tab. 1).
La responsabilità dei controlli per garantire i requisiti fitosanitari e di rispondenza varietale del materiale CAC (requisiti minimi obbligatori) è del fornitore autorizzato, mentre per i materiali di categoria certificato europeo e certificato nazionale (entrambe volontari) è condivisa tra il fornitore e il Servizio Fitosanitario Regionale. Va rilevato, inoltre, il sempre maggiore coinvolgimento dell’organismo interprofessionale CIVI-Italia per garantire un corretto funzionamento della certificazione volontaria nazionale, dalle fasi di controllo delle domande di certificazione predisposte dai vivaisti, fino alla stampa dei sigilli–certificato.
Per consentire l’applicazione del Reg. 2031/2016 sono in corso di formalizzazione tutta una serie di allegati tecnici attuativi che dovranno essere adottati entro il prossimo 14 dicembre 2019 e di cui, al momento, sono in circolazione solo testi “draft” in fase di revisione da parte dei diversi esperti degli Stati Membri dell’Ue. Questo riguarda anche gli elenchi degli organismi di quarantena (QP) e degli organismi regolamentati non di quarantena (RNQP). In quest’ultima categoria sono stati inclusi molti organismi precedentemente considerati di quarantena, ma ormai presenti da molto tempo e diffusi su tutto il territorio europeo, per i quali, però, non sono state previste soglie di tolleranza e quindi deve essere garantita la loro assenza nel materiale di propagazione. Per gli altri organismi RNQP sono invece previste soglie di tolleranza, in quanto un minimo livello di presenza/infestazione viene ritenuto non pregiudizievole della qualità commerciale del materiale.
Negli ultimi anni, il settore vivaistico delle piante di fragola ha dovuto far fronte a diverse problematiche, sia di natura socio-economica, quale la difficile reperibilità di mano d’opera che pone un freno allo sviluppo delle produzioni vivaistiche nazionali, sia tecnico–agronomiche. L’applicazione da parte della Ue di misure volte a ridurre i rischi e l’impatto dei pesticidi rende in alcuni casi alquanto difficile e complessa la difesa nei confronti di alcuni organismi nocivi che colpiscono questa coltura (es. batteri, funghi e nematodi). Anche i cambiamenti climatici in atto impattano negativamente sulle produzioni vivaistiche. L’alternanza di periodi di siccità a periodi piovosi incide negativamente in termini di qualità e quantità sulle produzioni. I repentini sbalzi termici, ormai frequenti in diversi periodi dell’anno, possono compromettere molto seriamente la produzione delle piante, in particolare per la tipologia “frigo-conservato”, che richiede nel periodo tardo autunno-inizio inverno temperature inferiori a 7°C al fine di portare la pianta nella fase di pieno riposo vegetativo prima di essere estirpata dai vivai e posta in celle frigorifere alla temperatura di -2C°. Purtroppo, queste condizioni climatiche - che erano la norma negli ambienti della Pianura Padana, dove il vivaismo della fragola si concentra - ora non sempre sono garantite e, se lo sono, avviene per periodi abbastanza brevi. Ciò ha spinto le aziende vivaistiche operanti in queste aree ad adottare strategie diverse, quali, ad esempio, quella di ricorrere all’estirpazione delle piante dal vivaio nel più breve tempo possibile, ponendo immediatamente parte di queste, allo stato grezzo, in celle frigorifere alla temperatura di -2 C°, per essere lavorate per la selezione solo in un momento successivo. Questa operazione richiede più passaggi rispetto alla lavorazione diretta delle piante, aumentando i costi di lavorazione per il vivaista.
Vengono di seguito approfondite le principali strategie per ridurre l’insorgenza di malattie nei vivai di fragola, basate su 3 punti fondamentali: a) corretta applicazione dei protocolli di certificazione; b) impiego di metodi diagnostici sempre più sensibili; c) ricerca di nuovi formulati ad azione antimicrobica. Si riportano di seguito le esperienze riguardanti il batterio Xanthomonas fragariae e i nematodi fitopatogeni della fragola.
Strategia 1:
corretta applicazione della certificazione volontaria
Alla luce delle problematiche sopra indicate, emerge la necessità di porre in essere nel migliore dei modi le indicazioni che scaturiscono dai disciplinari di certificazione volontaria nazionale, volte a sostenere, attraverso l’utilizzo di buone pratiche agronomiche e l’esecuzione di controlli sanitari di laboratorio, la riduzione dei rischi di presenza e diffusione degli organismi nocivi normati per questa coltura.
La produzione di materiale di propagazione di categoria pre-base (Fig. 2) e base 1, realizzata in ambiente protetto con reti antinsetto, preserva le piante da agenti di malattie virali e fitoplasmatiche trasmessi da vettori e dalla presenza di acari e insetti dannosi per la coltura. Cosi come l’isolamento delle piante dalle acque superficiali, la protezione dalle acque meteoriche, l’esclusivo utilizzo di substrati nuovi e controllati per l’allevamento e produzione delle piante, le distanze da mantenere da altre piante di categoria inferiore (Certificato Ue o CAC), la presenza di impianti idonei alla disinfezione delle strutture e l’utilizzo da parte del personale che accede ad esse di abbigliamento monouso, sono tutte misure atte a ridurre il rischio di introduzione e diffusione di organismi nocivi. I controlli visivi eseguiti periodicamente sul materiale in moltiplicazione e i saggi di laboratorio effettuati su campioni asintomatici sono strumenti indispensabili a conferma della sanità delle piante.
Per i materiali di categoria base 2 e certificato (nelle diverse tipologie di piante prodotte – frigoconservato, waiting-bed, trayplant, mini tray, modulo, cime radicate e apici di stolone) l’allevamento e la moltiplicazione delle piante avviene in pieno campo (Fig. 3). Per questo il rispetto dei requisiti indicati dai disciplinari di produzione, che vanno dall’osservanza delle distanze da coltivazioni di piante di fragola (500 m per il base 2, 250 m per il certificato), la rotazione dei terreni che non devono aver ospitato piante di fragola da almeno 5 anni per il base 2 e 2 anni per il certificato, oltre a rispondere ai normali requisiti di idoneità agronomica e sanitaria delle piante, sono fattori indispensabili per garantire la qualità del materiale prodotto. Qualità che deve essere confermata da periodiche osservazioni visive sulle piante in moltiplicazione, affiancate per il materiale base 2 da analisi di laboratorio su campioni asintomatici per gli organismi nocivi indicati nel disciplinare di produzione.
Particolare attenzione deve essere prestata per i substrati e i terreni utilizzati per la produzione di materiale di categoria pre-base, base 1 e 2 e certificato, per i quali è richiesta l’esenzione dai nematodi indicati in tabella 1. Tale assenza deve essere documentata attraverso analisi eseguite presso un laboratorio accreditato. La presenza dei nematodi, in particolare quelli galligeni, continua a rappresentare un problema per il settore vivaistico che riguarda, in particolare, la moltiplicazione delle piante in terreni sabbiosi siti nelle zone costiere. La riduzione dei fumiganti chimici necessaria per diminuire l’impatto ambientale, come ad esempio l’1,3-dicloropropene (non più autorizzato a livello europeo e utilizzato solo se concesso in uso d’emergenza per 120 giorni), ha indotto la ricerca ad individuare strategie di lotta alternative a basso impatto ambientale. L’utilizzo di sovesci di piante biocide, in particolare le brassicacee (Fig. 4), capaci di sviluppare isotiocianato, un fumigante naturale che colpisce il nematode, integrata alla letamazione che arricchisce i terreni di microrganismi e rende il pH del terreno sfavorevole ai nematodi, unitamente alla rotazione dei terreni con colture non ospiti come i cereali, appare una delle alternative più interessanti ed economicamente sostenibili ai fumiganti chimici.
Strategia 2:
aumentare la sensibilità dei metodi diagnostici
Diagnostica di Xanthomonas fragariae
La maculatura angolare della fragola causata dal batterio Gram negativo Xanthomonas fragariae (Xf) è stata riscontrata per la prima volta in Nord America (Minnesota) nel 1960; successivamente, tra gli anni ‘70 e ‘80, la sua presenza è stata rilevata in molte parti del mondo dove si coltiva la fragola tra cui Sud America e Europa. In Italia, in particolare, Xf è stato rilevato nel 1972 nelle province di Siracusa e Salerno; in seguito, la malattia è stata segnalata anche in altre regioni tra cui l’Emilia Romagna. Le cultivar commerciali di fragola sono tutte più o meno suscettibili alla malattia, pertanto il mezzo più efficace per prevenire le infezioni ed evitare la disseminazione dell’organismo nocivo a grande distanza è l’utilizzo di materiale Xf-esente attraverso monitoraggi e analisi diagnostiche del materiale di propagazione a scopo profilattico.
L’assenza di substrati microbiologici semi-selettivi, in grado di limitare la microflora contaminante, rende tuttavia difficile l’isolamento diretto dell’organismo nocivo. I substrati di crescita più sensibili (“SP-agar” e “wilbrink-agar”), in grado di rilevare fino a poche cellule dell’organismo nocivo, non sono tuttavia capaci di inibire la crescita di microrganismi contaminanti associati al campione, spesso più numerosi (in caso di analisi su materiale asintomatico) e più veloci nella crescita, e che limitano a loro volta la crescita di Xf o rendono arduo da parte dell’analista il riconoscimento delle caratteristiche morfologiche delle colonie Xf-simili.
L’impiego di tecniche molecolari quali PCR convenzionali o Real Time PCR applicate direttamente al DNA estratto dal campione, migliora la capacità di rilevamento del organismo nocivo riducendo tempi e costi di analisi: l’analisi diagnostica mediante isolamento diretto dall’estratto vegetale costituente il campione, infatti, necessita di ca. 4 giorni per la crescita delle colonie, ca. 4 giorni per la crescita delle colonie riconosciute come Xf-simili, poste in sub-coltura allo scopo di ottenere colonie axeniche, e da 2 a 5 ore per l’identificazione delle colonie mediante saggio molecolare. La soglia di sensibilità di tali saggi molecolari risulta tuttavia più alta (ca. 103-4 cellule) rispetto all’isolamento diretto. Per abbassare la soglia di rilevamento dei saggi molecolari è spesso necessario ricorrere all’uso di bio-PCR, PCR di estratti vegetali arricchiti nei substrati di crescita (SP o wilbrink) allo scopo di aumentare la concentrazione dell’organismo nocivo presente a bassa concentrazione nel campione analizzato. Ciò allunga i tempi di analisi; l’arricchimento infatti richiede da 2 a 4 giorni prima di sottoporre il campione alle indagini molecolari, ma aumenta la probabilità di rilevamento dell’organismo nocivo se presente nel campione asintomatico (Fig. 5).
Nematodi fogliari e radicali, diagnosi morfo-anatomica abbinata al molecolare
La presenza di nematodi fogliari e radicali può causare stress alle piante e ridurre la produzione, oltre che trasmettere virus, caso delle specie Longidorus e Xiphinema (es. “Strawberry Latent Ringspot” trasmesso da X. diversicaudatum). I sintomi di piante infestate da nematodi possono essere confusi con malattie infettive (causate da funghi, batteri e virus) o carenze nutrizionali. La gravità della problematica può essere tale da necessitare un intervento per ridurre le popolazioni dei nematodi.
La caratterizzazione dei nematodi e conseguente identificazione della/e specie è basilare per una lotta adeguata. Una volta estratti dal terreno o dalla pianta, i nematodi si preparano, generalmente su vetrini permanenti o semipermanenti, per osservazioni morfologiche e misurazioni al microscopio (tassonomia classica). Si effettuano misurazioni su determinate caratteristiche morfologiche quali: lunghezza del corpo, diametro massimo, lunghezza della coda e della faringe, posizione della vulva, lunghezza dello stiletto. Queste misure vengono poi messe in relazione usando principalmente le formule di de Man. Con le caratteristiche morfologiche osservate, misurazioni, calcolo delle relazioni e chiavi tassonomiche si identifica la specie. Non è semplice ed è necessaria una buona preparazione ed esperienza.
Attualmente, grazie all’utilizzo di tecniche biochimiche e molecolari, è possibile identificare la maggior parte dei nematodi fitoparassiti, compresi quelli considerati pericolosi per la fragola. In particolare, l’utilizzo di tecniche molecolari basate sulla PCR ha accelerato il processo di identificazione e risolto eventuali difficoltà relative a variazioni fenotipiche o stadi giovanili, essendo questi ultimi non ancora morfologicamente completi. La regione del DNA più comunemente usata per l’amplificazione è quella dell’ITS (“Internal Trascribed Spacer”) grazie all’impiego di primer universali o specifici.
L’approccio molecolare nel campo della nematologia è cresciuto negli ultimi anni grazie alla normalizzazione dei costi relativi ad attrezzature e reagenti e, oltre che nel campo diagnostico, si sta rivelando utile anche nella classificazione tassonomica. Sono già disponibili protocolli standard di analisi molecolare validati, certificati e divulgati dall’Organizzazione Europea e Mediterranea per la Protezione delle Piante (EPPO).
Le nuove frontiere della diagnostica molecolare
Quanto sopra descritto illustra chiaramente come i metodi di diagnosi basati sulle tecniche molecolari stiano diventando sempre più necessari nell’attività analitica che accompagna il processo di selezione e moltiplicazione di materiali vivaistici altamente qualificati, in particolare ottenuti in applicazione dei disciplinari di certificazione. Per questo, il CAV di Faenza (Ra) partecipa ad un progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna (Programma Regionale di Sviluppo Rurale 2014-2020, misura 16.2.01, dal titolo “Innovazione, efficienza e competitività del vivaismo frutticolo della regione Emilia-Romagna – Vivaismo 3.0”) assieme all’Università di Bologna e al CRPV, finalizzato al trasferimento di protocolli diagnostici sulla piattaforma “Digital Droplet PCR”.
Questa tecnologia è la più sensibile tra le tecniche di diagnostica molecolare basate sulla PCR, basti pensare che nell’uomo viene impiegata per una diagnostica precoce del virus HIV. Nel nostro caso rileva la presenza dell’organismo nocivo (es. virus, viroide, fitoplasma o batterio) nel campione analizzato anche quando presente a bassissima concentrazione; di fatto, basta una sola copia del microorganismo nel campione oggetto di analisi per avere un segnale positivo.
La miscela di reazione PCR viene sottoposta a emulsione in apposito olio al fine di scomporla in una miscela di oltre 20.000 goccioline, ciascuna sottoposta ad amplificazione PCR. Solo le goccioline contenenti il DNA/RNA dell’organismo nocivo, al termine dell’analisi, emetteranno fluorescenza, rendendo possibile misurare in modo preciso il numero di copie dell’organismo nocivo presenti nel campione da cui si è partiti (Fig. 6). Il progetto in corso si concentra sulle malattie delle drupacee e della vite (virus della sharka-PPV, viroide del “mosaico latente del pesco”-PLMd, fitoplasma delle drupacee-ESFYP e virus del Pinot Grigio-GPGV); successivamente la tecnica “Digital Droplet PCR” verrà applicata alle malattie di altre specie, tra cui la fragola.
Strategia 3:
nuove formulazioni di origine naturale
Allo scopo di verificare l’efficacia di formulazioni di origine naturale nella gestione di Xanthomonas fragariae (Xf) è iniziata presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna una specifica sperimentazione. Una prova preliminare in vitro ha individuato nel formulato Vitibiosap® 458 Plus (NDG-“Natural Development Group” Srl) un interessante candidato con cui proseguire gli esperimenti in vivo. Il saggio ha previsto l’allestimento di 3 tesi in substrato liquido (SP broth) contenenti Vitibiosap® 458 Plus, streptomicina (controllo positivo battericida di riferimento, 100 ppm) e acqua sterile (controllo negativo). Ogni tesi è stata inseminata con una sospensione di Xf (ceppo PHS-ER 36365,7 - Servizio Fitosanitario Regione Emilia-Romagna; ca. 106 cellule/mL) allevata per 48 ore in agitazione a 22°C e, infine sottoposta a conta batterica in piastra. Per ogni tesi la prova è stata replicata 2 volte.
I risultati ottenuti hanno evidenziato l’azione battericida del prodotto Vitibiosap® 458 Plus che ha inibito in modo significativo la crescita del patogeno, azione comparabile a quella dell’antibiotico streptomicina utilizzato come controllo positivo; nel controllo negativo Xf ha raggiunto la concentrazione di ca. 108 cellule/ml. I dati sono riassunti in figura 7. L’attività di sperimentazione proseguirà con l’esecuzione delle prove in vivo su piante di fragola prima in ambiente controllato e poi in pieno campo per confermare l’attività dei formulati in prova evidenziata mediante le prove in vitro.
Conclusioni
L’applicazione dei nuovi regolamenti fitosanitari, soprattutto del Reg. Ue 2031, prevede un cambiamento sostanziale dei compiti e dei ruoli, sia degli operatori (privati) che dei controllori (pubblici) impegnati nella filiera delle produzioni vivaistiche, nella prevenzione e controllo degli organismi nocivi. Viene modificata in maniera sostanziale la classificazione e la gestione degli organismi di quarantena e anche di quelli regolamentati non di quarantena (RNQP). Lo stesso fornitore, in primis, è chiamato ad eseguire sistematici controlli, previsti in uno specifico piano di gestione del rischio fitosanitario, con lo scopo di essere il primo garante della tracciabilità, della qualità e dello stato fitosanitario delle proprie produzioni vivaistiche. Il Servizio Fitosanitario, per la parte “pubblica”, dovrà approvare il piano di gestione dei rischi così approntato e accertare, con controlli mirati a campione, che quanto previsto dal piano venga puntualmente applicato.
Per gli organismi di quarantena sono previste anche attività di specifica pertinenza dell’ente pubblico (monitoraggi del territorio e controllo import); ma gli organismi RNQP ricadono sotto il diretto controllo del produttore di materiali di propagazione, che ne deve garantire l’assenza. Per fare questo, l’operatore può contare su un concreto supporto che gli deriva dalla corretta applicazione dei disciplinari di certificazione, in particolare quelli previsti dal sistema nazionale di qualificazione del materiale vivaistico.
Questo scenario, in prima battuta, può apparire difficoltoso per un ulteriore aggravio dei costi e dei compiti dell’operatore; però, nel medio periodo, l’applicazione delle nuove norme porterà a indispensabili cambiamenti delle aziende vivaistiche, soprattutto per l’apertura di nuovi mercati, sempre più esigenti in termini di qualità delle piante. Per la fragola, in particolare, si prospettano concrete possibilità di creare nuove partnership commerciali verso mercati che ad oggi appaiono “difficili” per motivi fitosanitari (esempio Giappone e Australia).