L’albicocco è coltivato in tutto il Paese, dal Piemonte alla Sicilia. Rispetto alle altre drupacee, le superfici coltivate ad albicocco si mantengono pressoché stabili, pari a circa 20.000 ha, grazie soprattutto al forte “input” derivato dalle nuove varietà che dai primi anni 2000 hanno rivoluzionato gli standard commerciali fino ad allora proposti sul mercato. Se dapprima si è introdotto un frutto dal colore di fondo aranciato e sfumato di rosso più o meno esteso (si ricordino a questo proposito le varietà precursori Pinkcot®, Robada* e Kioto*), si sono poi diffuse albicocche a buccia in parte rossa, soprattutto in epoche molto tardive. I mercati sono stati alimentati così fino a fine luglio e tutto agosto, con notevoli vantaggi in termini economici per gli operatori della filiera.
Recentemente, si sono imposti standard gustativi a media e bassa acidità, sia di polpa che di buccia (vedi Orange Rubis® Coulumine*e Petra®), molto apprezzati dal consumatore, oltre alla messa in commercio di varietà portatrici del carattere di resistenza alla virosi della Sharka. Ultima innovazione, oggi tutt’ora da verificare nella sua affidabilità agronomica e commerciale, è la presenza di frutti a totale colorazione rossa (es: le serie Rubyngo®, Rougemont® e Red Premium®), che hanno fatto sì che le varietà degli impianti precedenti si distinguano da queste ultime come bicolori. L’inserimento di uno o più caratteri innovativi, se da un lato rappresenta un punto di forza per le nuove varietà proposte, dall’altro occorre mantenere quelli acquisiti al fine di permettere la coltivazione in aree più o meno estese. L’auto-fertilità, una fioritura medio-tardiva e abbondante, e una conseguente rusticità globale, debbono essere caratteri da considerare quando si selezionano e diffondono nuove varietà. Ciò non sempre è stato fatto e la cosa viene ad avere maggiore importanza soprattutto su questa specie, che è poco plastica nel suo adattamento ambientale, e si connota per specifiche esigenze in freddo e caldo per lo sviluppo delle gemme a fiore, la fioritura e conseguente allegagione, con risvolti molto marcati sulla produttività.
Ne consegue che, oltre ai caratteri innovativi, le nuove varietà dovrebbero avere un profilo pomologico corredato di tutte queste specifiche, allo scopo di poter individuare gli areali ad esse più adatti ed eventualmente i canali commerciali e le tipologie di filiera verso cui poterle indirizzare. Si aggiunga anche che ogni genotipo presenta specifiche modalità di sviluppo e fruttificazione, per cui anche la potatura e la fertirrigazione, soprattutto per le medio-tardive, andrebbero gestite secondo appositi disciplinari produttivi ben definiti per ciascuna varietà.
La presenza di un elevato numero di caratteri specifici da conoscere prima di piantare una nuova varietà, se da un lato rappresenta una ulteriore difficoltà per gli operatori agricoli quando debbono scegliere tra varie proposte, dall’altro rappresenta una opportunità al fine di coltivare varietà adatte al proprio clima per poterle caratterizzare anche commercialmente rispetto a quelle di altre aree. Ciò non deve ingenerare confusione a livello commerciale, ma rappresenta un’opportunità per coltivare e differenziare le specifiche aree produttive, con la possibilità di integrarle maggiormente, evitando periodi di sovrapproduzioni e conseguenti diminuzioni di prezzo unitario. Per caratterizzare al meglio le varietà sono necessari ambiti di sperimentazione ufficiali e riconosciuti, in cui tutte le varietà proposte siano coltivate e gestite nelle medesime condizioni; purtroppo, ad oggi questa attività, che deve avere un supporto pubblico, in Italia non esiste più da quando è terminato il Progetto ministeriale “Liste Varietali” e si sorregge soltanto in alcune regioni grazie a specifiche strutture operative che ancora propongono campi di confronto varietale e mostre pomologiche, spesso a proprie spese e senza ritorni economici per coprirle (es: Alsia-Basilicata, CRPV-Emilia-Romagna, Agrion-Piemonte).
Rispetto all’adattabilità ambientale, dipendente soprattutto dal fabbisogno in freddo e caldo di ciascuna varietà, si è assistito negli ultimi anni anche ad una variazione di accumulo di freddo durante l’inverno, con in genere i mesi iniziali (novembre e dicembre) con scarsi “abbassamenti termici” che rischiano di creare un deficit complessivo del fabbisogno di freddo (Mennone et al., 2015). Nel Meridione, dunque, l’eventuale deficit di freddo nelle varietà auto-incompatibili possono poi indurre rese produttive limitate. Da notare anche che, in presenza di auto-incompatibilità, essendo necessari gli impollinatori, anche su questi debbono essere fatte specifiche valutazioni perché in ambienti differenziati si potrebbero sfasare le epoche di fioritura generando in tal modo possibilità di scarsa impollinazione incrociata.
La variabilità pedoclimatica del nostro Paese, se associata a quella di adattamento e comportamento varietale, se opportunamente verificate, rappresenta però nell’insieme un volano di sviluppo per la specie albicocco; viene a cadere il classico pensiero delle varietà precoci da fare solo al Sud e di quelle medio-tardive solo al Centro-Nord; sussistono infatti aree adatte al tardivo anche al Sud, come specifici areali di collina al Centro-Nord dove le coltivazioni precoci trovano terreni e climi adatti per esplicare al massimo le proprie potenzialità. Il Sud dovrebbe valorizzare e magari incrementare le produzioni extra-precoci, anche sotto copertura, con le varietà adatte; da porre particolare attenzione al fattore qualitativo, che spesso viene a mancare nelle primizie; si trovano oggi sul mercato varietà molto belle esteticamente, ma dal sapore addirittura inferiore a quello standard delle vecchie varietà come ad es. Ninfa, che mantiene comunque un aroma caratteristico di albicocca. Non facciamo passi indietro sul sapore privilegiando solo la bellezza e la novità del colore completamente rosso del frutto; si compra con gli occhi, ma si ritorna ad acquistare con il gusto.
Per il Nord, oltre a evitare di piantare nelle aree precoci di collina le varietà molto tardive, si potrebbe prefigurare uno spostamento in avanti del calendario di produzione, verso luglio e anche agosto, proponendo modelli gestionali simili a quelli del pesco, con densità di impianto medio-alte e forme di allevamento adatte a potatura e diradamento meccanici (proponibile oggi su frutto).
Scelta varietale
Circa la scelta delle varietà, proviamo in questa nota a dare un’indicazione di massima sull’adattabilità e la fattibilità di coltivazione per i diversi areali, con l’intento di portare una maggiore integrazione produttiva a livello nazionale, che prescinda da esigenze aziendali o delle singole strutture di lavorazione e commercializzazione.
La presenza di innovazioni varietali extra-precoci ha condizionato la coltivazione in coltura forzata (sotto tunnel), tipicamente delle aree meridionali. Difatti, queste produzioni consentivano in passato di anticipare il calendario di raccolta di 10-15 giorni rispetto ai tradizionali areali di coltivazione, fasi produttive che oggi sono appannaggio di nuove varietà. A questo si deve aggiungere il fatto che la coltivazione in areali nazionali e stranieri caratterizzati da precocità non rende remunerativa la coltivazione forzata che richiede forti investimenti in termini di strutture, che oggi non vengono ripagati da prezzi di mercato più bassi dettati, come detto, dagli areali produttivi più precoci. Questo ha comportato un calendario produttivo e commerciale ben definito ed ogni areale si è ricavato uno spazio temporale di mercato ben preciso, in ambito sia nazionale che europeo.
Nel Meridione restano ancora delle coltivazioni in coltura forzata per vecchi campi e varietà, come Ninfa, che via via vengono abbandonati per obsolescenza tecnica e biologica delle piante. Ci sono stati dei tentativi per nuove varietà tipo Mogador*, però i risultati commerciali non sono stati commisurati agli investimenti previsti. Per le produzioni in pieno campo, nel periodo precoce negli ultimi anni sono state inserite diverse varietà, principalmente di provenienza spagnola per anticipare l’epoca di raccolta ai primi di maggio, fase che in passato era appannaggio delle varietà in coltura forzata. Il calendario ha inizio con Mikado*, interessante per l’aspetto, ma ancora da ben valutare per il sapore, che pare non eccelso; segue Mogador*, che ha trovato nel Meridione il suo areale vocato, soprattutto per il limitato fabbisogno in freddo e la fioritura precoce; il frutto è esteticamente molto bello e di media pezzatura; si segnala una certa sensibilità al “cracking” (Cembali, 2015); da non raccogliere precocemente in quanto l’acidità è spiccata.
Nel periodo della vecchia e precocissima Aurora, Wondercot* si è adattata a tutti gli ambienti produttivi; costanza produttiva (anche se auto-sterile), con frutti di idonea pezzatura, aspetto interessante e buon sapore, a bassa acidità, sono le caratteristiche principali. Da segnalare la presenza di nòccioli spaccati (“split pit”) e la cascola pre-raccolta. Il frutto, con caratteristica forma umbonata, deve essere opportunamente gestito durante le operazioni post-raccolta per evitare ammaccature. Tsunami*, auto-sterile, ma produttiva se ben impollinata, presenta media pezzatura, per cui necessita di diradamento intenso e precoce; il frutto ha un buon sapore, dolce e aromatico; in coincidenza con periodi piovosi nelle prime fasi post allegagione può presentare la caratteristica “setolatura” in corrispondenza della linea di sutura. Pricia*, pare più adatta ad areali settentrionali dove produce costantemente e in un’epoca molto interessante; bell’aspetto e buona pezzatura se ben diradata sono le principali caratteristiche positive; è richiesta però una attenta gestione della raccolta e del post-raccolta in quanto i frutti sono caratterizzati da elevato tenore in acidità. Non va quindi raccolta troppo presto.
Nel periodo intermedio sono richieste novità varietali che possano adattarsi a tutti gli ambienti e che producano costantemente frutti di buona tenuta e ottimo sapore; in questo senso, appaiono interessanti due cultivar italiane, Nirosa 1* e Nirosa 2*, oggi in diffusione sul territorio nazionale, e probabilmente abbastanza plastiche nel loro adattamento ambientale vista la genealogia che le caratterizza (nota personale di S. Foschi). Entrambe sono auto-fertili e di buon sapore. Nirosa 1* matura qualche giorno dopo Wondercot*, con frutti a colorazione aranciata e sovraccolorazione rossa sul 30% della superficie; il sapore è molto buono e aromatico, con buccia e polpa poco acidule, caratteristica questa che ne permette una ottimale gestione del periodo di raccolta, senza necessità di ritardarla. Nirosa 2* matura una settimana dopo, con frutti di forma rotonda e regolare, belli esteticamente, di buon sapore, a buccia e polpa di media acidità.
Molto affidabile in vari ambienti è risultata Flopria* (-10 Kioto*), perché auto-fertile e molto produttiva, con frutti di bell’aspetto e ottima sovraccolorazione rossa; la pezzatura è legata alla gestione della pianta, in particolar modo al diradamento che deve essere intenso; il sapore è acidulo, per cui sono da evitare raccolte anticipate. Su tutto il territorio nazionale rimane ancora valida Orange Rubis® Coulumine* per affidabilità agronomica e ottimo sapore; è una varietà che deve essere gestita attentamente in raccolta e durante le operazioni di confezionamento; ha l’unico limite di essere molto sensibile a Sharka. Kioto* rimane un riferimento valido al Nord per costanza produttiva, aspetto e tenuta in pianta; al Sud presenta incertezze produttive in annate con inverni miti. Sensibile a Sharka, presenta frutti di gusto intermedio, non eccellente.
In sostituzione di Kioto* si propone, ad oggi solo per le aree settentrionali, la varietà Gemma* (-4 Kioto*), di origine italiana, con bei frutti di forma ovata, aranciati e con sfumatura rosata (“blushing”) ben estesa; la pezzatura è elevata e il sapore molto dolce, a polpa e buccia mediamente acidula; si conserva molto bene, mantenendo la succosità per periodi molto prolungati. Nella stessa epoca al Nord è stata valutata positivamente la varietà Delice Cot*, contemporanea a Kioto*; di sapore molto buono, auto-fertile è costantemente produttiva; il frutto è rotondo, aranciato con bella sfaccettatura rosata; la pezzatura è media. In epoca Portici il nuovo riferimento è la varietà Ladycot*, molto adatta agli areali del Nord, con buoni risultati anche al Sud, auto-fertile, a fioritura medio-tardiva; i frutti, molto grossi, hanno aspetto molto bello per colorazione di fondo aranciata e sovraccolore rosato esteso. Il sapore è discreto, importante è non anticipare troppo la raccolta per non incorrere nella commercializzazione di frutti eccessivamente aciduli. La tenuta in pianta è elevata, si segnalano fenomeni di suscettibilità a scottature della buccia all’insolazione in corrispondenza di eventi piovosi vicino alla raccolta.
Fra le cultivar medio-tardive, sia al Nord che al Sud, si è diffusa Faralia* (+13 Kioto*), in ragione della possibilità di estendere il calendario di raccolta in epoca medio-tardiva, con frutti di bell’aspetto e buon sapore, tipico, a bassa acidità. La parziale auto-fertilità di questa varietà ha portato a fenomeni di produttività non sempre costante in alcune aree, anche unita ad una cascola prolungata dei frutti; ciò ne limita oggi una sua ulteriore diffusione, anche se rimane ancora un prodotto valido e ben remunerato. In questo periodo la novità potrebbe essere Swired* (+13 Kioto*), che al Nord ha dato i primi segnali positivi; la pianta è auto-fertile, produce costantemente frutti di elevata pezzatura e bella colorazione, di buon sapore. Si segnala la sensibilità a monilia sui fiori. Una varietà particolare anche perché a duplice attitudine (fresco e industria) è Petra®, auto-fertile, a fioritura tardiva, che pare anche avere una buona tolleranza a monilia sui fiori; il frutto è aranciato con sovraccolore rosato solo in ambienti collinari, di buona pezzatura e polpa molto consistente, da cui deriva il nome; il sapore è buono, dolce, con buccia e polpa poco acidula.
Farbaly* (auto-fertile), al Nord è oggi lo standard di riferimento per il periodo di fine luglio-inizio agosto; da coltivare ovviamente in ambienti che ne esaltino la tardività, quindi non nella bassa collina, produce costantemente con rese elevate; il frutto è di buona qualità, ma va raccolto alla giusta epoca. Nella stessa epoca, qualche giorno prima, la novità è Farbela*, che al Nord si è ben adattata e diffusa; pare produca costantemente in ragione della sua auto-fertilità e di un habitus della chioma di facile gestione, con frutti di buon sapore e bell’aspetto.
La produzione e la commercializzazione dell’albicocco possono avvenire anche nel periodo agosto-settembre scegliendo varietà auto-fertili come Farlis* (+45 Kioto*) o Farclo* (+55 Kioto*), che in Emilia-Romagna maturano dalla seconda metà di agosto e possono conservarsi per periodi abbastanza prolungati, mantenendo una buona qualità organolettica; la produttività è elevata e costante e si possono coltivare con sistemi di impianto a medio-alta densità, opportunamente gestiti con sistemi fertirrigui in areali di pianura. La coltivazione delle varietà di epoca medio-tardiva va collocata, in particolare al Sud, in aree con microclimi adatti a questa tipologia varietale perché occorre prima accertare se viene soddisfatto il fabbisogno in freddo (in genere medio sui genotipi tardivi); poi occorre evitare la sovrapposizione con le raccolte delle aree settentrionali, che hanno investito molto soprattutto sul binomio Faralia*-Farbaly*. A tale riguardo risulta interessante la diffusione di queste due varietà che in areali pugliesi pare abbiano trovato condizioni climatiche adeguate.
Conclusioni
In definitiva, le varietà oggi disponibili sono in grado di soddisfare le esigenze del mondo produttivo lungo tutta la dorsale del nostro territorio nazionale; c’è la possibilità di produrre da aprile fino a settembre, con un calendario di oltre 3 mesi in ciascuna delle due aree di riferimento (Basilicata ed Emilia-Romagna) alternando varietà, tipologie colturali (coltura protetta al Sud, medio alta densità al Nord) e scelta della zona produttiva in base ai fabbisogni in freddo e caldo. La presenza di strutture organizzate (quali cooperative, OP e AOP) che operano in collaborazione e che sono dislocate nelle principali aree produttive potrebbe essere l’anello di congiunzione tra i produttori che vorrebbero piantare nei periodi a loro più congeniali (per esigenze di continuità di lavoro aziendale-famigliare, per remunerazioni alte in determinati periodi) e il settore commerciale, che richiede prodotto omogeneo per periodi abbastanza lunghi e continuativi.
Si può quindi uscire dalla classica accezione che il prodotto precoce si fa al Sud, mentre il Nord è valido solo per quello medio-tardivo; ovviamente l’extra-precoce sotto copertura andrà fatto e incentivato solo nelle zone meridionali, ma un buon prodotto precoce si può fare anche nelle zone collinari del Nord, così come in particolari situazioni pedoclimatiche del Sud si possono mettere in programma produzioni tardive. La genetica e il miglioramento nelle tecniche colturali permettono tutto questo.
Ci si augura che per il rinnovamento della coltivazione, allineato e rispondente al cambiamento dei mercati e del gusto dei consumatori, la presente nota offra utili riflessioni e i suggerimenti tecnici necessari.