Il kiwi è un frutto da tempo presente sul mercato dell’Ue; nel corso di qualche decennio è passato da curiosità esotica stagionale a prodotto di largo consumo disponibile durante l’intero arco dell’anno; l’originale curiosità per il kiwi si è dunque progressivamente trasformata in interesse commerciale ed ha incoraggiato il diffondersi di questa coltivazione in molti Paesi.
L’Italia è da tempo il principale produttore comunitario, ma questa coltura è oggi presente con volumi significativi anche in altri quattro Paesi membri: Grecia, Francia, Portogallo e Spagna. La produzione media annua dell’Ue ammonta a circa 6-700 mila t, cioè oltre un quinto di quella mondiale; nel 2016 la produzione si è attestata a 714.000 t, in ribasso rispetto al passato, a causa della contrazione delle rese registrate proprio in Italia (fonte: IKO).
La diffusione della coltura nella Ue è sintomatica dello sforzo che operatori e tecnici stanno facendo alla ricerca di varietà che si adattino alle tipologie di suolo e di clima locali, nella convinzione che questo frutto sia naturalmente predisposto a soddisfare le esigenze di consumo dei Paesi produttori e possa anche costituire un elemento di traino commerciale tramite le esportazioni. Nell’Ue il consumo apparente medio annuo di kiwi è al momento di 1,6 kg/pro capite. Si tratta però di un valore che si distribuisce in modo asimmetrico, con picchi di consumo in Grecia (6,79 kg/p.c.) e Italia (3,38 kg/p.c.), a fronte di almeno la metà dei Paesi comunitari che stazionano al di sotto di 1 kg p.c. annuo (fonte: Freshfel).
In questo contesto, se si tiene conto del fatto che soltanto in otto Paesi membri su ventotto i livelli di consumo di ortaggi e frutta freschi sono in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di consumarne giornalmente 400 g/p.c., la possibilità di innalzare i livelli di consumo di kiwi all’interno dell’Ue è realistica. Per raggiungere questo obiettivo è però necessario mettere in campo una di strategia ben definita a supporto del prodotto, come dimostra la dinamica dei consumi nel mercato di alcuni Paesi membri, importatori abituali di questo frutto.
Consumi europei in forte crescita
All’interno dell’Ue il mercato di maggiore interesse per l’Italia, in quanto tradizionale sbocco di significative quote delle esportazioni ortofrutticole, è la Germania, dove l’offerta italiana compete con quella degli altri principali Paesi produttori comunitari nei mesi autunnali e invernali. Sul mercato tedesco l’offerta di kiwi continentale prosegue fino alle soglie dell’estate, quando arriva il prodotto extra-comunitario di origine cilena e, soprattutto, neozelandese. Nel 2016 le importazioni di kiwi della Germania sono ammontate ad oltre 170 Ml €, quasi interamente riconducibili a due soli Paesi: Italia (50,3%) e Nuova Zelanda (35,6%). Malgrado la leadership nell’export detenuta dal nostro Paese, le prospettive di sviluppo del mercato tedesco per i prossimi anni sembrano molto diverse; nel 2016 le importazioni dall’Italia sono rimaste sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente (circa 71.000 t), mentre quelle dalla Nuova Zelanda sono aumentate del 47,6%, superando le 33.000 t, e questo risultato è stato ottenuto anche grazie ad un’efficace strategia di valorizzazione del prodotto che ne ha aumentato l’attrattività per il consumatore (vedi box).
L’offerta si allarga ai mercati
extra-europei
Il kiwi si è progressivamente ritagliato un ruolo di ancora maggior rilievo anche nel panorama del commercio interemisferico, favorito in questo dal progredire dei sistemi di conservazione della frutta deperibile (trasporto refrigerati, atmosfera controllata) che ne hanno agevolato la destagionalizzazione dell’offerta. Nel 2016 l’export mondiale di kiwi si è attestato oltre i 2 Md € (+ 8,9% sul 2015; +39,3% sul 2012) a dimostrazione dell’esistenza di una forte spinta espansiva del mercato mondiale. Le esportazioni sono riconducibili per l’85% a quattro soli Paesi. In questo contesto l’Italia (18,9%) occupa il secondo posto della graduatoria mondiale, alle spalle della Nuova Zelanda (47,2%), ma davanti a Belgio (11,2%) – che è riesportatore di prodotto extra-comunitario – e Cile (7,1%). Il primo Paese comunitario in graduatoria, dopo l’Italia, è la Grecia, ma con solo il 3,9%. Il resto dell’export mondiale (11,7%) si ripartisce tra almeno una cinquantina di Paesi sparsi nei cinque continenti. Nei principali Paesi importatori di tutto il mondo, Italia e Nuova Zelanda si dividono dunque la leadership di mercato (Tab.1).
Ancora spazio per kiwi verde
e giallo, ma di qualità
Dal momento che la spinta fondamentale all’espansione del mercato mondiale del kiwi è venuta dall’allargamento dello “standard” varietale, la strada dell’innovazione e della valorizzazione dei nuovi prodotti deve costituire un punto di partenza anche per la produzione italiana. Il nostro Paese, fino ad ora, tramite l’accordo interprofessionale 2016-18, si è mosso per rafforzare la tutela del livello qualitativo del prodotto messo in vendita. Il kiwi italiano è ancora spesso penalizzato sui mercati comunitario e d’oltremare in ragione della messa in vendita di frutti immaturi perché raccolti troppo precocemente (grado Brix al di sotto degli standard), quindi di scarsa qualità e penalizzante in termini di immagine.
Tuttavia il salto di qualità decisivo verso l’innovazione deve derivare, da un lato, da una maggiore collaborazione tra ricerca di base e produzione nella introduzione di varietà con caratteristiche che possano connotare al meglio l’offerta italiana presso i consumatori di tutto il mondo, perché più il mercato globale si arricchisce di nuovi prodotti (polpa, verde, rossa bicolore), maggiori sono gli scambi complessivi tra Paesi e tanto più è necessario enfatizzare le specificità del kiwi italiano.
Nel mercato globale il kiwi punta sul giallo
La lungimirante politica produttiva e commerciale condotta dalla Nuova Zelanda, grazie soprattutto all’aggregazione organizzativa di Zespri®, da sempre delinea le tendenze di sviluppo dell’actinidia nel mondo.