L’albicocco, tra le drupacee, è specie in controtendenza in termini di superfici e produzioni; nella tabella 1 è riportato l’andamento degli investimenti in Italia e nelle più importanti regioni meridionali.
A livello nazionale, la maggior parte della produzione è concentrata in solo tre regioni: Emilia-Romagna, Campania e Basilicata. Nelle prima, ritenuta da sempre regione storica per la coltura, si è avuto un forte incremento, in Campania la superficie ha subito un contrazione di circa il 20%, mentre in Basilicata negli ultimi 10 anni si è avuto un leggero decremento. Un forte incremento delle superfici è stato registrato in Puglia, con impianti stimati in circa 1.120 ha.
Tale cambiamento è dovuto allo spostamento dalla destinazione industriale al mercato fresco, ma anche alla selezione di nuove tipologie di frutti con requisiti estetici, organolettici, di consistenza e serbevolezza superiori a quelli del passato. Questo anche per favorire la logistica verso i mercati di consumo distanti dal luogo di produzione. L’interesse dei frutticoltori scaturisce dalla maggiore redditività della coltura, nel solco di quel fenomeno noto come meridionalizzazione che coinvolge l’intera frutticoltura.
In Basilicata la coltivazione dell’albicocco ha avuto inizio dagli anni’70, con l’introduzione di varietà di origine campana che meglio si adattavano sia alle condizioni ambientali, sia alla destinazione del prodotto per la trasformazione industriale. L’epicentro dello sviluppo si è verificato nei comuni di Rotondella e Policoro, che ancora oggi rappresentano i maggiori centri di coltivazione per questa specie. L’incremento dell’ultimo decennio si è poi attenuato negli ultimi anni a causa di problematiche legate all’ambiente (poche ore di freddo) e alla diffusione del virus della sharka.
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