Resistenze genetiche ed editing molecolare per una viticoltura più sostenibile

resistenze vite
Peronospora su grappolino di uva da tavola
I moderni approcci nel miglioramento genetico e l’innovazione nella gestione irrigua sono tra i più importanti aspetti per il miglioramento della coltivazione della vite (da tavola e da vino)

Nel miglioramento genetico della vite finalizzato a produrre varietà resistenti a oidio e peronospora l’utilizzo di più fonti di resistenza e della selezione assistita da marcatori molecolari (Mas, Marker assisted selection) facilita la piramidazione dei geni di resistenza. Ma la disponibilità di nuovi strumenti, come gli approcci di selezione genomica e il genome editing, saranno sicuramente più adatti a implementare la complessa architettura genetica della resistenza. Per Cinzia Montemurro, docente di Genetica agraria e miglioramento genetico presso il Dipartimento di scienze della pianta, del suolo e degli alimenti (Disspa) dell’Università di Bari e responsabile Mas del programma di miglioramento genetico dell’uva da tavola “Rete Italian Variety Club”, l’attuazione di questi moderni approcci nel miglioramento genetico della vite offrirà nuove opportunità per promuovere una viticoltura più sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Lo ha ribadito durante l’incontro sulla vite nell’ambito della 13ª edizione di Vigna & Olivo, appuntamento annuale che ha trattato anche l’innovazione nella gestione irrigua del vigneto.

Resistenze e miglioramento genetico della vite

«La specie Vitis vinifera subsp. vinifera, genere Vitis, famiglia delle Vitaceae, è originaria del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Oggi sono censite più di 79 specie appartenenti al genere Vitis, ma si ritiene che questo catalogo sia sottostimato e che nel mondo esistano molte più specie appartenenti a tale genere di quelle finora censite. Le principali fitopatie di V. vinifera sono l’oidio e la peronospora. L’oidio è un ascomicete (forma sessuata Erysiphe (Uncinula) necator, forma asessuata Oidium tuckeri): è la forma sessuata che crea variabilità nel fungo e lo predispone a mutare e ad acquisire resistenza ai fitofarmaci. L’agente eziologico della peronospora della vite è Plasmopara viticola».

V. vinifera naturalmente presenta scarsa resistenza all’infezione da parte dei due patogeni. Invece forme di resistenza si trovano in specie selvatiche originarie, per la maggior parte, dei territori americani e, in piccola parte, dei monti del Caucaso e dell’Uzbekistan (Tab. 1).

Tab. 1 - Classificazione delle specie appartenenti al genere Vitis in base all'origine
Viti americane Viti asiatiche Viti euroasiatiche
V. aestivalis V. amurensis V. vinifera ssp. vinifera
V. berlandieri V. piasezkii V. vinifera ssp. sylvestris
V. cinerea V. pseudoreticulata
V. labrusca V. romanetii
V. riparia
V. rotundifolia
V. rupestris
V. solonis

«I primi coloni americani coltivarono inizialmente specie selvatiche di Vitis come V. labrusca e V. aestivalis, però difficili da gestire e con frutti commercialmente non validi. In seguito queste specie vennero ibridate con cultivar di V. vinifera importate ottenendo genotipi ibridi interspecifici dotati sia di caratteristiche qualitative migliori rispetto alle specie selvatiche sia di caratteri di resistenza, acquisiti dai progenitori selvatici, a stress biotici, causati da patogeni come oidio, peronospora ecc., e abiotici, cioè a condizioni ambientali sfavorevoli. In America e Francia sono stati sviluppati finora diversi ibridi di prima generazione derivati da incroci diretti fra viti americane selvatiche e viti europee coltivate. Una grande svolta nella creazione di viti resistenti è stata data da Albert Seibel, agronomo francese che ha realizzato incroci ibridi di uve da vino europee con uve autoctone del Nord America. Poi gli ibridi di Seibel sono stati utilizzati da altri miglioratori genetici come parentali per costituire ibridi di seconda generazione, i quali, rispetto ai primi, avevano meno quota del genoma del parentale selvatico e più quota del genoma del parentale coltivato, riducendo gli aspetti di particolare rusticità che impedivano di ottenere vini dalle caratteristiche tecnologiche pregiate».

Le viti selvatiche sono importanti nel miglioramento genetico per la resistenza perché, ha spiegato Montemurro, attraverso un meccanismo di riconoscimento dell’effettore del patogeno, riescono ad attivare al proprio interno dei geni di resistenza.

«Questi geni producono delle proteine di resistenza in grado di riconoscere l’effettore e di attivare una vera e propria risposta immunitaria secondaria che porterà al confinamento del patogeno e, quindi, a una piccola necrosi sulla pagina fogliare, impedendogli di svilupparsi sulla pianta. Tale effetto, che si chiama Effector triggered immunity (Eti), conferisce una resistenza, su base genetica, stabile e duratura. In vite esistono diversi geni di resistenza, tutti presenti nelle viti selvatiche. Oggi conosciamo 35 loci (zone specifiche che contengono geni di resistenza diffusi sui 19 cromosomi della vite) che conferiscono resistenza alla peronospora (loci Rpv) e 13 loci per la resistenza all’oidio (loci Run e Ren)».

Il miglioramento genetico cerca di ottimizzare la presenza di tutti questi geni di resistenza in un’unica varietà.

«La varietà resistente più impiegata nei programmi di miglioramento genetico moderno è la Regent, che è un ibrido di quarta generazione rispetto ai tre ibridi Seibel da cui discende ed è portatrice di geni di resistenza. Grazie a essa sono state prodotte varietà, Solaris e Bianca, che mostrano elevata resistenza alle malattie di campo e, essendo ibridi di quinta generazione, anche buone caratteristiche organolettiche, e quindi conferiscono buona qualità al vino da esse prodotto».

Oggi esistono diverse varietà, derivate da incroci interspecifici e resistenti a oidio e peronospora, che vengono utilizzate in programmi di miglioramento genetico. Come ad esempio Terez, Guzun e Palatina, la cui resistenza ha un’origine comune con quella della Regent, identificata nel progenitore Seibel 6468, che a sua volta deriva dalla V. rupestris.
L’obiettivo del miglioratore genetico è piramidare, costituire una vera e propria piramide dei loci di resistenza, quindi cercare di introdurre in un unico genotipo tanti loci di resistenza per consentire alla vite di essere resistente ai diversi tipi di oidio e peronospora che possono manifestarsi.

Dalla Marker assisted selection ...

«Nel progetto di creazione di una vite resistente entrano in scena tanti donatori di resistenza, ciascuno dei quali conferisce la resistenza con uno specifico gene a una varietà, candidata ad accumulare al suo interno diversi geni di resistenza. Ovviamente questi sono programmi complessi, lunghi, che richiedono anni di sviluppo e le opportune selezioni, anche se la vite ha fortunatamente un ciclo biologico abbastanza semplice da gestire».

Il miglioramento genetico della vite può tuttavia essere abbreviato, ha aggiunto Montemurro, mediante una selezione per i geni di resistenza in uno stadio molto precoce della pianta (a livello di plantula), assistita da marcatori molecolari associati al carattere di interesse (Mas, Marker assisted selection).

«Invece di osservare la manifestazione del fenotipo e fare la prova di resistenza per capire se la pianta si infetta o meno, la selezione viene fatta con un marcatore molecolare, cioè una piccola sequenza di Dna strettamente associata al gene di resistenza: seguendo l’allele del marcatore con l’analisi del Dna si sa in anticipo se quella pianta ha ereditato o no il gene di resistenza. La selezione assistita da marcatori molecolari può essere utilizzata, come per il carattere della resistenza, anche per quello dell’apirenia. Attualmente è attivo in Puglia un importante programma di miglioramento genetico della “Rete Italian Variety Club”, che, attraverso la Mas, coniuga la selezione per l’apirenia con quella per la resistenza: così in poco tempo si riesce a capire se la progenie derivata da incrocio sarà resistente e apirena oppure no».

... all'editing molecolare in viticoltura

L’evoluzione ultima del miglioramento genetico è l’editing del genoma, cioè la possibilità di modificare o sostituire con grande precisione una specifica sequenza del Dna senza spostarla dalla sua posizione naturale nel genoma degli organismi viventi, utilizzando diverse tecniche, chiamate Tecniche di evoluzione assistita (Tea).

«Una di queste è il sistema Crispr di tipo II, formato da Rna guida e dalla proteina Cas9. Esso si basa sull’impiego della proteina Cas9, una sorta di forbice molecolare in grado di tagliare un Dna bersaglio, e può essere programmata per effettuare specifiche modifiche al genoma di una cellula. Questo sistema si può applicare sulla vite per generare resistenza. Invece di introdurre i geni di resistenza attraverso costosi programmi di miglioramento genetico, possiamo modificare gli alleli presenti nella vite che non conferiscono resistenza rendendoli resistenti.

Il sistema del genome editing è stato traslato per la prima volta in vite nella varietà Nebbiolo da una ricerca condotta da Cnr-Ipsp di Torino, Crea-VE di Conegliano e DSV dell’Università di Torino, per silenziare il gene della fitoene desaturasi e ottenere un individuo albino. Un’altra ricerca, condotta dall’Università di Verona, ha editato lo Chardonnay con la tecnologia Crispr-Cas9, la prima sperimentazione in Europa con viti editate, spegnendo un gene di suscettibilità e conferendogli resistenza. Rispetto alle viti tradizionali dovrebbe avere il vantaggio di potersi difendere dalla peronospora senza l’utilizzo di fitofarmaci, mantenendo l’identità genetica del vitigno. Purtroppo a febbraio 2025 ignoti vandali hanno distrutto la prova sperimentale delle prime viti Tea messe a dimora lo scorso ottobre nel vigneto sperimentale dell’Università di Verona a San Floriano di Valpolicella, sicché la sperimentazione in campo dovrà ricominciare per dimostrare l’effettiva validità di queste viti Tea resistenti».

L’innovazione nella gestione irrigua del vigneto

Importanza del compromesso quantità-qualità in funzione dell’obiettivo produttivo e/o enologico; difficoltà dovuta all’ampia diversità di comportamento idrico della vite per l’elevata variabilità varietale; pesante influenza del portainnesto e del suolo (particolarmente lungo il profilo); notevoli differenze in termini di forma di allevamento. Sono queste le peculiarità delle relazioni idriche in viticoltura evidenziate da Giuseppe Lopriore, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso il Disspa dell’Università di Bari, fondamentali per capire come innovare la gestione irrigua del vigneto a uva da vino e di quello a uva da tavola.

 

«A queste specificità occorre aggiungere gli effetti dei cambiamenti climatici, cioè aumento della domanda evapotraspirativa e rischio siccità. Ne consegue la necessità di raccogliere accurate informazioni sito-specifiche e avviare strategie di gestione irrigua più efficienti, per ottenere la stessa produzione con minore consumo di acqua in un contesto in cui il fabbisogno idrico è in costante crescita. A tal fine bisognerà investire in sensoristica per misurazioni su suolo, pianta e atmosfera, in rilevazioni satellitari e in modificazioni dei vigneti».

L’impostazione di adeguate strategie irrigue non può prescindere dal ricorso a metodi avanzati per la valutazione dello stato idrico delle piante.

«Fra i metodi diretti ci sono potenziale idrico del ceppo, scambi gassosi fogliari, misurazioni di flusso di linfa e misurazioni del diametro del ceppo con dendrometri. Fra i metodi indiretti ci sono monitoraggio dello stato idrico del suolo, monitoraggio dei parametri agroclimatici (stima ETo), immagini multispettrali e iperspettrali (singole bande e Vegetation Index) da terra o aeree, termografia (Crop Water Stress Index) da terra o aerea. Poi, con tutti i dati raccolti sullo stato idrico della vite è possibile impostare tecnologie irrigue innovative: i DSS irrigazione, in rapido sviluppo in viticoltura; i modelli previsionali dello stato idrico, elaborati usando dati da immagini e indici diretti di stato idrico della pianta; e infine strategie irrigue vere e proprie, come il deficit idrico controllato in pre-invaiatura, l’essiccazione parziale della zona radicale (Partial Root-zone Drying) e la settorializzazione dell’impianto irriguo».

Resistenze genetiche ed editing molecolare per una viticoltura più sostenibile - Ultima modifica: 2025-05-20T15:22:07+02:00 da Sara Vitali

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