Esplosa in forma epidemica qualche anno fa in alcune regioni del centro-nord Italia (Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto), oggi la batteriosi dell’actinidia fa meno paura lasciando intravedere una possibile via di convivenza con la malattia, grazie a una più attenta gestione agronomica dell’actinidieto e una maggiore applicazione degli interventi preventivi e di difesa da parte dei produttori.
Tuttavia il cancro batterico causato da Pseudomonas syringae pv. actinidiae (Psa) resta la più pericolosa e distruttiva malattia del kiwi, perciò la guardia non va abbassata.
La sua estrema pericolosità si deve alla capacità del batterio di arrivare ai tessuti vascolari e quindi di traslocare all’interno della pianta dando origine a cancri su tronchi, cordoni e tralci con disseccamento della loro parte distale (dopo emissione di copioso essudato color ruggine nel periodo di fine inverno) (foto 1) e conseguente deperimento in breve tempo dell’intera pianta.
Inverno, periodo critico
Come quasi tutte le batteriosi, l’espansione è favorita dal clima umido e dalle stagioni piovose.
In condizione di elevate temperature (>28-30 °C) si riduce molto la sua capacità di riproduzione e diffusione, ma il batterio può rimanere allo stato latente per lunghi periodi e riprendere a infettare quando le condizioni climatiche tornano favorevoli.
Il periodo più critico per l’espansione e l’insediamento della malattia è quello compreso tra la raccolta dei frutti e la caduta delle foglie, fino alla fine della potatura e il “pianto” di fine inverno.
Il batterio si diffonde nell’aria anche grazie a condizioni di elevata umidità e quindi le ferite e i tagli di potatura (come anche l’area di distacco delle foglie e dei frutti) costituiscono possibili vie di penetrazione di favore del batterio nei tessuti vegetali, all’interno dei quali può sopravvivere fino alla ripresa vegetativa. In primavera i sintomi sono rappresentati da maculature fogliari (foto 2) e disseccamenti dei tralci (foto 3).
I frutti non trasmettono il patogeno
Recenti ricerche hanno dimostrato che il Psa è del tutto incapace di sopravvivere sulla superficie esterna dei frutti, specie nella fase di maturazione e soprattutto durante la conservazione in cella frigorifera. Si tratta di un importante risultato poiché prova che la loro commercializzazione, tanto sui mercati nazionali quanto su quelli esteri, è esente da qualsiasi rischio fitosanitario, a ulteriore garanzia dell’ottima qualità del kiwi italiano. Altrettanto non si può dire del polline, che invece è in grado di veicolare il batterio soprattutto se distribuito attraverso soluzione acquosa (rispetto alla tecnica a secco) e in presenza di elevata umidità.
Le aree colpite
Dopo il 2007, anno in cui il Psa fu isolato in diversi actinidieti del Lazio, le infezioni si sono estese a tutte le più importanti zone di produzione del Nord Italia causando l’estirpazione di 1.871 ha ripartiti tra Piemonte (1.013 ha), Veneto (168 ha), Emilia-Romagna (209 ha) e lo stesso Lazio dove gli ettari abbattuti a causa della batteriosi sono 481 (tabella 1).
Nel conteggio non sono considerati gli ettari di Hort 16A (si stimano in oltre un migliaio) capitozzati per riallevare Hayward o innestare Gold 3, nuova varietà a polpa gialla sempre del gruppo Zespri™.
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