Per fronteggiare la riduzione di produttività degli impianti di pero alla quale si assiste da diversi anni a questa parte, oltre al miglioramento varietale e alla ricerca di nuove soluzioni per le emergenze fitosanitarie, un tema molto dibattuto è la modifica dei tradizionali sistemi d’impianto e delle tecniche agronomiche non sempre adatte all’attuale contesto produttivo. Molto attiva su quest’ultimo fronte è l’azienda Geoplant Vivai che da anni ha deciso di investire sul ritorno a impianti più vigorosi, rispetto alla più diffusa coltivazione su cotogno, che risentono in misura minore di fenomeni di apoplessia, ridotta produttività ed elevata vulnerabilità agli agenti patogeni.
Oltre a condurre diverse prove tecniche con impianti di Abate e Conference autoradicati, ottenendo ottimi risultati produttivi, Geoplant ha iniziato anche a produrre piante di pero in vaso di Abate su Conference autoradicata disponibili a partire da aprile 2025. Una soluzione alternativa al tradizionale astone a radice nuda per ridurre problemi di attecchimento in post trapianto. Ne abbiamo parlato con Gianluca Pasi, tecnico commerciale di Geoplant Vivai.
Ritorno a impianti vigorosi
«L’azienda è nata nel 1982 e ha più di quarant’anni di attività. Siamo vivaisti puri, quindi ci occupiamo esclusivamente della produzione di piante, in particolare piante di fragola e piante da frutto. Nel corso degli anni ci siamo diversificati, aumentando i volumi di produzione. Attualmente lavoriamo su otto specie diverse per quanto riguarda le piante da frutto, incluso il pero. Quest’ultimo, insieme al pesco, è una delle due specie che ha visto la maggiore espansione negli ultimi 4-5 anni» ha introdotto Pasi.
Il pero è una specie sulla quale Geoplant sta investendo molto, sia in termini di miglioramento genetico che di tecniche colturali.
«Da anni lavoriamo sul miglioramento genetico del pero e presto lanceremo alcune selezioni. Abbiamo anche investito nella tecnica colturale, cercando di offrire varietà classiche come Abate, William, Conference, Carmen, Kaiser con portinnesti più performanti e resilienti rispetto ai tradizionali cotogni, che hanno dominato il mercato del pero per circa quarant’anni in Italia e in Europa ma che, a partire dal 2015-2016, con i problemi di moria e mancate produzioni, sono progressivamente caduti in disuso – ha precisato il vivaista. La tendenza a ridurre la vigoria degli impianti, iniziata negli anni ‘60, non è più sostenibile. Piante meno vigorose facilitano la potatura e la raccolta ma oggi non riescono a garantire rese adeguate a coprire i costi di produzione. 140-150 quintali a ettaro oggi non sono sostenibili.
È necessario tornare a impianti più vigorosi e resilienti per affrontare le attuali sfide climatiche (bombe d’acqua o siccità, infestazioni parassitarie) e agronomiche (stanchezza del terreno). Ma si tratta proprio di cambiare nuovamente la filosofia dell’impianto e non è facile. Probabilmente tanti agricoltori smetteranno di fare pere perché non vorranno più tornare a un tipo di impianto vigoroso. Perciò abbiamo iniziato a lavorare su alternative, come il Farold 40 e 87, e più recentemente con il Conference autoradicato, per offrire ai produttori la possibilità di continuare a coltivare pere. Finora i risultati sono stati positivi, sia in termini produttivi sia qualitativi. Gli impianti con il Conference autoradicato, ad esempio, sono già adulti e in produzione da molti anni, con rese superiori a 450 quintali per ettaro, arrivando in alcuni casi a oltre 600 quintali per ettaro. Rese assolutamente inarrivabili con il cotogno».
Il tecnico di Geoplant ha spiegato che rispetto agli impianti su cotogno, quelli su Conference autoradicato mostrano una maggiore vigoria e non sono soggetti alla moria radicale, grazie alla rusticità dell’apparato stesso. Per questa ragione gli impianti richiedono distanze maggiori tra le piante (sesto 4 x 2 o 4x 2,30) e forme di allevamento in parete (a palmetta o candelabro tendenzialmente). Ricordando poi l’importanza all’interno di un impianto degli impollinatori (es. William, Passacrassana, Santa Maria ecc.).
L’unica vera difficoltà riguarda lo stress post-trapianto, soprattutto nel primo anno dopo l’impianto, che richiede una maggiore attenzione agronomica, in particolare per quanto riguarda l’irrigazione. Questo dipende dalla morfologia dell’apparato radicale, per cui i peri franchi fanno più fatica a radicare dopo il trapianto rispetto ai cotogni. Da questa caratteristica dipende anche l’entrata in produzione più tarda, con un Abate su Conference autoradicato mediamente si inizia a raccogliere in quarta foglia. Questo aspetto potrebbe essere un altro difetto anche se il ritardo nell’entrata in produzione viene più che bilanciato dalla produttività a ettaro e dalla durata dell’impianto.
La produzione di piante di pero in vaso
Per affrontare il problema dell’attecchimento, da aprile 2025 Geoplant Vivai inizierà a proporre piante di pero coltivate in vaso, una soluzione alternativa al tradizionale astone a radice nuda.
«Questa tecnica – ha detto Gianluca Pasi – permette di ridurre lo stress da trapianto e accelerare il ciclo produttivo (8-9 mesi in totale), consegnando una pianta vegetante di alta qualità. Infatti, anziché mettere la pianta nel vivaio classico in pieno campo ed estirparla alla fine del secondo anno, il portinnesto viene trapiantato in vaso dove viene direttamente innestato.
Le piante in vaso offrono numerosi vantaggi, tra cui un apparato radicale molto più sviluppato e una maggiore resistenza allo stress da trapianto. Rispetto all’astone a radice nuda la pianta in vaso è più piccola (70-80 cm di altezza per 8-10 mm di diametro) ma ha un apparato radicale che è nettamente superiore al livello quantitativo e qualitativo. Lavorando in substrato, sviluppa pelli radicali in quantità e questo permette alla pianta di affrontare meglio il trapianto in pieno campo. Questo passaggio avviene a fine primavera quindi anche in questo caso è fondamentale un impianto di irrigazione a goccia pronto per irrigare. Riteniamo che con una pianta in vaso si possa guadagnare circa un annetto nell’entrata in produzione».
Ha poi aggiunto che la produzione in vaso consente di ridurre significativamente anche i problemi di natura abiotica. Ovviamente produrre una pianta in ambiente protetto risolve il problema della grandine ma riduce anche l’incidenza di infezioni di Erwinia amylovora, Pseudomonas ma anche maculatura bruna, consegnando una pianta molto più sana rispetto a un astone che è rimasto in pieno campo per 18-19 mesi.
«Sulla carta ci sono tutti gli elementi per avere un impianto produttivo – ha affermato Pasi -. Lo scoglio più grande è rappresentato dalla reticenza da parte dei frutticoltori verso la pianta in vaso di pero. Da un lato perché non fa parte della tecnica colturale tradizionale e dall’altro perché per anni i vivaisti hanno proposto piante in vaso di scarsissima qualità. Il “si è sempre fatto così” non può più essere una giustificazione ma anche da parte dei vivaisti ci deve essere uno sforzo per trasmettere ai clienti la validità di un prodotto e le ragioni agronomiche che impongono un cambio di paradigma. La nostra offerta varietale per il pero include ancora le classiche William, Abate, Conference, Carmen e Kaiser. Per quanto riguarda le piante in vaso, inizieremo con Abate innestata su Conference autoradicato, ma in futuro potrebbe essere applicata anche ad altre varietà come il William o la Carmen».
Nel prossimo futuro
«Sul fronte del miglioramento genetico, stiamo valutando alcune selezioni avanzate, nostre e di terzi, con particolare attenzione a conservabilità e colore (selezioni a buccia rossa) ma anche alla resistenza a patogeni come Erwinia amylovora e Psilla. Crediamo infatti che le nuove varietà debbano avere obbligatoriamente resistenze genetiche per ridurre l’uso di trattamenti fitosanitari. Ma servirà ancora un po’ di tempo prima di proporle in vivaio. Tra le innovazioni quella più rilevante e concreta che stiamo introducendo oggi è la serie canadese Harrow.
Infine, per quanto riguarda il futuro del settore vivaistico e frutticolo, la situazione è critica. Negli ultimi dieci anni, abbiamo perso oltre il 50% delle superfici dedicate a specie come il pesco e il pero. Il melo è un po’ più stabile al momento ma è calerà in futuro. Tuttavia, chi saprà innovare e adattarsi alle nuove sfide potrà trovare opportunità economiche. Con un calo così drastico delle superfici è ipotizzabile che per un po’ di anni i prezzi si mantengano su livelli elevati.
Anche il ruolo dell’export diventerà sempre più rilevante, con una crescente domanda di piante dall’Asia. In questo momento parliamo soprattutto di melo, ciliegio e pesco ma è in crescita anche la richiesta di pero. Tuttavia, all’interno dell’Ue, prevediamo una continua riduzione delle superfici dedicate a queste colture».
Cambiare il portinnesto e la vigoria degli impianti
Apoplessia, ridotta produttività ed elevata vulnerabilità agli agenti patogeni esterni responsabili di malattie come la maculatura bruna sono le difficoltà a livello agronomico che devono affrontare i produttori di pere, specialmente le Abate Fetel la varietà più diffusa in Italia e anche quella più sensibile.
Proprio con l’obiettivo di trovare soluzioni efficaci a tali problematiche, Geoplant Vivai, in collaborazione con Fondazione Fratelli Navarra, si è da tempo concentrata nel testare portinnesti alternativi ai tradizionali cotogni, in grado di rendere le piante più resilienti e produttive. In particolare, in alcune aziende romagnole, sono stati valutati dal 2017 a oggi tre tipologie di portinnesti alternativi: la Conference autoradicata, il Farold 40 e l’Abate autoradicato. I risultati sono stati messi in luce in diverse visite tecniche condotte annualmente presso le aziende che hanno adottato queste soluzioni d’impianto: azienda Bartolotti di Fusignano (Ra) e azienda Dosi di Bagnacavallo (Ra).
«L’idea iniziale era di riscoprire i portinnesti abitualmente utilizzati prima dell’introduzione dei cotogni. Abbiamo collaborato nella messa a dimora di prove e impianti su diversi portinnesti franchi e alla fine i risultati più performanti fino ad ora sono stati ottenuti con il portinnesto di Conference autoradicata - ha spiegato Gianluca Pasi, tecnico di Geoplant Vivai, in occasione dell’ultima visita tecnica. Il Conference autoradicato ha dimostrato un’ottima affinità di innesto, elevata rusticità e produttività dell’impianto, alte rese di raccolta (dal 2019 al 2023 sono stati raccolti mediamente 450 quintali a ettaro) e frutti di elevata pezzatura e forma allungata. Il sesto d’impianto consigliato è di 4 - 4,5 metri tra le file e di 2-3 metri sulla fila, per una densità media di 800-1200 piante/ha».
Nella prima azienda si è potuto osservare un impianto con sesto 4x2 di Abate Fetel innestato su Farold 40 e su Conference autoradicata. Qui la produzione negli anni si è attestata su una media di 480 quintali/ha. Nella seconda azienda, con solo Abate su Conference autoradicata, la produzione si è mantenuta sui 460 quintali a ettaro di cui il 52% di calibro 65+ e il 30% per le 70+ (media 2017-2022). Questo tipo di portinnesto si è dimostrato la soluzione migliore per la tipologia di terreno della zona. Ha un portamento più contenuto rispetto all’Abate autoradicato ed è molto produttivo (se non diradato arriva anche sui 700 q ettaro).