Pericoltura al tramonto. Il declino può essere invertito

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Sempre più frequente vedere in Emilia-Romagna estirpazioni anticipate di pereti
Le cause della debacle sono diverse e sono state ignorate troppo a lungo. Urge un piano di rilancio del settore che intervenga su tutta la filiera

Parlare male della situazione in cui versa la pericoltura dell’Emilia- Romagna è come plagiare la famosa frase di Maramaldo; tre anni di disastri, di cui l’ultimo catastrofico, hanno costretto alla resa anche i frutticoltori più appassionati e capaci. Il rumore più diffuso che si sente fra le campagne, ora che sono terminate le grandi raccolte e i terreni sono già preparati per le semine autunnali, è il ronzio delle motoseghe o il rombo delle ruspe che fanno piazza pulita dei pereti, molti dei quali sono ancora lontani dall’aver raggiunto la fine fisiologica del loro ciclo produttivo.

Il passaparola che si diffonde fra i frutticoltori è che, se non si fanno partire quanto prima le ruspe per abbattere tutto, si rischia seriamente la bancarotta, viste le perdite finanziarie già accumulate. Poco importa che i tre chili di pere raccolti quest’anno spuntino prezzi mai raggiunti prima; se si trattasse di un problema di carattere commerciale, prima o poi, la legge della domanda è dell’offerta troverebbe i giusti equilibri; purtroppo, la vera ragione di questa “debacle” è di carattere agronomico, le cui origini risalgono ad almeno un decennio fa.

I primi a risentire questo cambio radicale nell’umore dei frutticoltori sono stati i vivaisti, i quali, negli ultimi anni, hanno visto crollare le vendite, fino a quasi vederle azzerate nelle aree emiliano-romagnole classicamente vocate alla pericoltura, tanto di portinnesti, quanto di astoni finiti. Per vedere se è ancora possibile trovare delle soluzioni, occorre cercare di analizzare la tempesta perfetta che ha contribuito a creare una situazione tale da portare al collasso un comparto fino a pochi anni fa tra i più performanti e positivi.

I problemi fitosanitari

La prima grossa grana risale a circa 40 anni fa, con la comparsa della maculatura bruna (Stemphylium vesicarium); da allora ad oggi si sa ancora ben poco su questo patogeno; ora, dare la colpa dei massicci attacchi visti negli ultimi anni alla mancanza di mezzi di difesa significa avere poca memoria; decenni fa, quando vi era ampia disponibilità di prodotti chimici, senza troppe limitazioni di impiego, al punto che le piante erano completamente verniciate di residui, gli attacchi si susseguivano con cadenze più o meno randomizzate, senza trovare un nesso certo causa-effetto. I frutticoltori che ogni tanto venivano risparmiati da attacchi devastanti pensavano di aver scoperto la ricetta magica, che veniva regolarmente sconfessata negli anni seguenti.

Probabilmente si erano rotti degli equilibri che prima tenevano sotto controllo il patogeno; una prova può essere data dal caso dei campi prova che sono presenti a San Giuseppe di Comacchio, presso il CIV; in questi campi non vi è ombra di maculatura, men che meno nel campo biologico, dove non si fa uso di fungicidi per testare la resistenza delle selezioni in prova.

pericolturaPoi è arrivata la cimice asiatica, le cui nefaste conseguenze si riscontrano su molte specie frutticole, comprese le nocciole. Il danno non si limita alla sola deformazione dei frutti, che si tradurrebbe “solo” in un deprezzamento del prodotto, ma al superamento di determinate soglie di residui che possono rendere non più commercializzabili i frutti; vedi il caso della William destinata alla trasformazione industriale. Nei confronti di questa pestilenza si è, purtroppo, disarmati; la chiusura dei frutteti con reti anti-insetto dà un certo aiuto, mentre l’introduzione della vespa predatrice è troppo recente per dare risultati certi ed efficaci.

Il cambiamento climatico

Il progressivo riscaldamento globale esercita molteplici influenze negative su molte specie frutticole, ma il pero sembra soffrirne in modo molto più accentuato rispetto ad altre e nel 2021 ne abbiamo potuto constatare appieno gli effetti nefandi. Gli inverni sempre più miti e brevi inducono le piante ad un precoce risveglio vegetativo, anticipando sempre di più le epoche di fioritura, ma ciò significa renderle maggiormente soggette ai danni delle gelate primaverili e, mai come quest’anno, se ne sono viste le devastanti conseguenze. E’ una situazione di rischio sempre più frequente. I pochi impianti antibrina non si sono dimostrati sufficientemente efficaci, ma, in molti casi, visto il pericolo di reiterazione delle gelate, l’accumulo di acqua nei terreni ha causato problemi ai già deboli apparati radicali del pero.

Il protrarsi di temperature estive molto elevate, con notevole irraggiamento solare, ha causato stress prolungati alle piante, con pessime conseguenze sul loro equilibrio vegetativo.

La gestione e la qualità dell’acqua

La siccità prolungata e i livelli elevati di evapotraspirazione hanno reso inadeguati molti impianti di irrigazione, specialmente quelli a goccia che, in queste circostanze, si sono dimostrati sottodimensionati. Oltre a ciò, le condizioni climatiche hanno fatto sì che l’acqua si diffondesse su di un’area molto ristretta dell’apparato radicale, creando ulteriore insufficienza idrica alle piante.

Ma vi è un altro fattore, ben più pericoloso, non solo per i pereti, ma per l’agricoltura nel suo complesso: la qualità delle acque irrigue. In Emilia-Romagna vi è uno strano silenzio su questo tema; difficile capire se dovuto ad una mancata conoscenza del problema o ad una sua sottovalutazione; certo è che si sta assistendo ad un sempre più rapido aumento della salinità delle acque irrigue. Le aree più a rischio sono quelle del bacino del Po di Volano, le cui acque, da fine estate a primavera avanzata, raggiungono facilmente valori di 2.000 ms, per poi attestarsi attorno ai 900/1.000 ms per lunghi periodi durante l’estate. L’elemento che gioca il ruolo primario nell’aumento della conducibilità elettrica è il cloruro di sodio; un bravo agronomo sa che simili valori sono nocivi a molte specie vegetali e il pero ne é particolarmente soggetto.

Questa situazione ha dell’incredibile, visto che, negli stessi periodi, l’acqua del Po a Pontelagoscuro (alle porte di Ferrara) registra valori costantemente attestati sui 400 ms. Questi valori così elevati nel Po di Volano sono dovuti ad uno scarso flusso di acqua dovuto alla regimazione delle acque per rendere navigabile la grande idrovia. Probabilmente le bettoline passano a notte fonda, forse per non disturbare i pescatori; di certo, durante il giorno, per la via d’ acqua non passa nemmeno una barchetta.

Conseguenza di questa situazione è che stiamo spargendo sempre più cloruro di sodio nei nostri terreni e quando si effettuano irrigazioni o, peggio, si usa l’antibrina, la conducibilità può raggiungere valori tossici. Se si aggiunge il fatto che molti dei terreni su cui sono insediati i pereti contengono valori più o meno elevati di argilla, è facile comprendere l’estrema pericolosità data dalla combinazione dei due fattori, argilla e cloruro di sodio, che portano alla destrutturazione del terreno e impediscono al sodio di dilavarsi, anche in presenza di piogge prolungate (sempre più rare).

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Le conseguenze di una simile combinazione di avverse condizioni climatiche ed agronomiche ha certamente causato il rapido degrado dell’apparato fogliare nella stragrande maggioranza dei pereti, con particolare evidenza in impianti in giovane età. Già a fine agosto si notavano frutteti con foglie di colore anormalmente cupo, che poi è virato al rossastro in breve tempo. Ad una osservazione attenta e ravvicinata, molte foglie presentavano margini bruciati, sintomo di qualche fitotossicità. In molti casi si è assistito ad una prematura filloptosi, le cui conseguenze sull’assetto vegeto-produttivo del prossimo anno non sono certo rassicuranti.

Escluderei trattarsi di deperimento da fitoplasmi (“pear decline”) o disaffinità di innesto perché l’arrossamento fogliare riguarda tutte le varietà, anche quelle affini ai cotogni e quindi apparentemente sane.

L’aggregazione

L’ultima aggregazione dei vari soggetti commerciali del comparto pero può servire a stabilizzare in senso positivo i prezzi alla produzione, ma rischia di avere lo stesso effetto di un aumento delle tariffe del taxi quando il taxi ha il motore fuso. Oggi la neonata AOP UNaPera sta, giustamente, chiedendo aiuto finanziario per superare un periodo veramente apocalittico, ma, al di là di ciò, non si riesce ad intravvedere alcuna analisi delle cause che hanno portato ad una simile “debacle”, né una progettualità, se non vista in un’ottica puramente mercantilistica (il taxi di prima).

Queste poche righe hanno sollevato diversi punti, contestabilissimi, ma che meriterebbero una riflessione più approfondita se si vuole tentare di salvare un comparto che, in Emilia-Romagna, comprendendo un indotto non trascurabile, vale molte centinaia di milioni di euro. Se non ci si rende conto che occorre investire risorse economiche e umane per affrontare il “problema pero” nella sua interezza, tanto vale tirare giù la “claire”, come dicono due famosi conduttori radiofonici, della Zanzara, cioé “chiudere bottega”.

Pericoltura al tramonto. Il declino può essere invertito - Ultima modifica: 2021-11-22T17:46:56+01:00 da Sara Vitali

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