Moria del kiwi da prevenire a partire dal suolo

moria kiwi
Lo stretto legame fra corretta gestione dell’irrigazione e del suolo e sanità della pianta è il punto di partenza per prevenirla o, dove è possibile, curarla. Lo ha definito una giornata tecnica della Soi in Piemonte

Fra corretta gestione dell’irrigazione e del suolo e sanità della pianta del kiwi (o actinidia) esiste una stretta correlazione. Infatti la moria delle piante è diffusa soprattutto nelle aree dove i terreni non drenano bene e si ha una piovosità invernale elevata e/o una errata conduzione dell’irrigazione. Questo stretto legame è il punto di partenza per definire e prevenire o curare, dove è possibile, la moria del kiwi. È la conclusione operativa cui è giunta la giornata tecnica “Quale futuro per il kiwi?” organizzata dal Gruppo di lavoro Actinidia della Soi (Società di ortoflorofrutticoltura italiana) presso la Fondazione Agrion a Manta (Cn).

Migliaia di ettari persi a causa della moria

L’organizzazione della giornata tecnica presso la Fondazione Agrion nasce dal costante impegno di questa nell’affrontare il problema della moria delle piante di kiwi, sindrome presente dal 2018 e ormai sempre più diffusa in Piemonte, come, peraltro, in altre aree italiane vocate per questa coltura.

«Da noi il kiwi è asceso a vera coltura frutticola negli anni 80 del secolo scorso, quando è passato da piccole superfici a impianti specializzati – ha informato Lorenzo Berra della Fondazione Agrion tracciando la cronistoria della coltura in Piemonte –. Negli anni 90 è diventato una delle specie di riferimento per le aziende frutticole, basata al 95% sulla cultivar Hayward allevata a pergoletta doppia, con resa media di 28 t/ha. Nel 2010 ha raggiunto la massima espansione con 5421 ettari, concentrati in gran parte in provincia di Cuneo.

Era una coltura sana, senza particolari problemi fitosanitari, e capace di garantire ottime rese, sembrava perfetta per il territorio, grazie alla sua vocazionalità pedoclimatica. Poi, dal 2011, si sono avute le prime segnalazioni di Psa, che ha costretto i produttori a estirpare più di 1000 ettari. Dal 2018 si sono verificati i primi casi di moria delle piante, che negli anni successivi ha causato l’estirpazione di oltre 1500 ettari, tanto che nel 2023 gli ettari in produzione si sono ridotti a 1300».

Moria: sindrome multifattoriale molto complessa

«La moria del kiwi è un fisiopatia complessa perché alla sua formazione e al suo sviluppo concorrono più fattori, tanto che viene definita sindrome multifattoriale» ha evidenziato Luca Nari della Fondazione Agrion.

«Tra questi fattori spicca il clima, che, per i cambiamenti in atto, è sempre più caratterizzato da pluviometria anomala con eventi molto intensi, picchi termici estesi con frequenti escursioni eccezionali e inverni miti con danni occulti da gelate. Ma ricordo anche il suolo, che soffre di compattamento, per micro e macroporosità ridotte, e destrutturazione, e la pianta del kiwi, che si distingue per sensibilità ad asfissia radicale e irraggiamento eccessivo e forte fabbisogno traspirativo. Altri fattori sono l’azione di microrganismi, che rendono la pianta meno resistente e più sensibile agli attacchi di patogeni secondari, e le pratiche agronomiche scorrette, come gli eccessi irrigui».

Progetti Kimor e Kiris

Per dare risposte ai produttori piemontesi di kiwi alle prese con la moria delle piante la Fondazione Agrion, ha ricordato Nari, ha avviato negli ultimi anni diversi progetti di ricerca finanziati dalla Regione Piemonte.

«Il primo è stato il progetto Kimor (2017-2019), un iniziale approccio sperimentale per chiarire l’eziologia della fisiopatia e mettere a punto strumenti di prevenzione e difesa. Abbiamo messo a confronto 12 tesi basate sul ricorso a baulature, compost, microrganismi, portinnesti (D1 e Z1) e irrigazione pilotata. Fino al 2018 la situazione è stata buona, senza presenza di moria; invece nel 2019 la moria è apparsa su tutte le tesi, le tesi non baulate hanno accusato disseccamenti, la baulatura si è rivelata non risolutiva ma di aiuto, l’irrigazione controllata non è stata sufficiente, fra i portinnesti Z1 si è mostrato promettente ma da verificare».

Il progetto Kiris (2020-2023) ha continuato ad approfondire l’eziologia della moria delle piante e gli strumenti di prevenzione e difesa.

«Gli ambiti operativi del progetto sono stati quattro. In primo luogo il monitoraggio territoriale, con l’individuazione sul territorio di casi studio, con e senza sintomi, al fine di definire indicatori biologici sentinella tali da prevedere l’insorgere dei sintomi ed esplicativi delle cause primarie della moria. Dopo, la misurazione dei parametri fisiologici per determinare attività fotosintetica, traspirazione, conduttanza stomatica, CO2 sottostomatica e potenziale idrico di stelo. Poi, analisi fitopatologiche per approfondire il ruolo della componente biotica coinvolta nella moria del kiwi. Infine l’allestimento di campi sperimentali per identificare interventi agronomici (irrigazione sovrachioma climatizzante e reti ombreggianti) in grado di favorire la resilienza della pianta allo stress indotto dai cambiamenti climatici e per valutare i portinnesti Z1 Vitroplant®, ibrido di Actinidia chinensis var. deliciosa x Actinidia arguta, ottenuto da Vitroplant, e SAV1 (= Bounty 71), selezionato da Plant & Food da semenzali di Actinidia polygama».

Variazioni climatiche negative

Tutti i parametri analizzati nei progetti svolti hanno messo in evidenza l’incidenza negativa delle variazioni climatiche sulla coltivazione del kiwi, ha puntualizzato Nari.

«L’adozione di misure agronomiche preventive è l’unica strada possibile per limitare lo sviluppo della moria. La gestione del suolo va fatta in maniera diversa rispetto al passato: occorre sia mantenere una buona struttura del terreno verificando il contenuto in sostanza organica, sia, in caso di compattamento del suolo, intervenire in autunno, in condizioni di tempera, con erpici arieggiatori. Il monitoraggio costante dello sviluppo delle radici è utile per verificarne il percorso di crescita e lo stato di salute.

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Impianto di actinidia con sistema di monitoraggio in continuo dell’umidità del profilo di suolo fino a 90 cm per irrigazione di precisione (foto B. Dichio)

Le irrigazioni vanno modulate in base alla reale necessità della pianta e allo stato idrico del suolo, misurato con sensori. L’utilizzo di schermature ombreggianti (reti antigrandine ecc.) e di altre forme di mitigazione (come l’irrigazione climatizzante) può ridurre temperatura e deficit di pressione di vapore (Vpd), parametro direttamente correlato alla traspirazione, durante il periodo estivo. Importante è la tipologia di impianto irriguo: l’aumento della superficie bagnata, realizzata ad esempio con due ali gocciolanti distanziate, consente nella stagione irrigua di evitare situazioni di saturazione delle medesime porzioni di suolo, che possono favorire lo sviluppo di microrganismi idrofili, quali gli oomiceti.

L’impiego di portinnesti è in fase di valutazione, ma bisogna ricordare che, oltre ai punti di forza della radicazione, c’è da considerare il punto di debolezza del portinnesto».

Irrigazione e suolo

Lo stretto legame fra corretta gestione dell’irrigazione e del suolo e sanità della pianta del kiwi, ha spiegato Bartolomeo Dichio, docente dell’Università della Basilicata, è correlato alle caratteristiche di questa pianta: poco resiliente, non si adatta alle condizioni avverse, anzi è molto sensibile sia agli eccessi idrici sia alla carenza idrica.

«L’eccesso di acqua determina una sfavorevole interazione fra suolo e radici e danneggia l’apparato radicale, causando altresì la moria delle piante. Infatti la moria è diffusa soprattutto nelle aree dove i terreni non drenano bene e si ha una piovosità invernale elevata. I terreni mal strutturati, cioè carenti di sostanza organica, o addirittura destrutturati, privi di sostanza organica, o con strati impermeabili sono predisposti a tale fenomeno, perché suscettibili ad asfissia in condizioni di eccesso idrico. Se un suolo non drena bene, l’effetto cumulato delle piogge che cadono, a volte in grandi quantità, durante la stagione invernale e di una errata gestione irrigua forma terreni asfittici e ristagni idrici. In tali condizioni l’acqua invade i macropori a scapito dell’ossigeno vitale per la pianta».

Le piante di kiwi sono più sensibili all’asfissia durante la stagione vegetativa. È in questo periodo che le radici hanno maggiore bisogno di ossigeno per produrre energia biochimica per assorbire nutrienti e per crescere. Se le condizioni di asfissia permangono per un lungo periodo le radici muoiono e la pianta entra in un declino fisiologico.

«L’apparato radicale dell’actinidia in condizioni pedologiche e idriche ottimali è ricco di radichette bianche e quindi molto denso, con alta capacità di produzione e ricambio del capillizio radicale. Invece in condizioni di eccesso idrico collassa, imbrunisce, perde la funzione naturale di assorbire acqua e sali minerali. Un grave deterioramento dell’apparato radicale danneggia la funzionalità dell’apparato xilematico, deputato alla conduzione della linfa grezza, cioè di acqua e soluti in essa disciolti, dalle radici alle foglie, e porta prima a un irreversibile avvizzimento della chioma e dopo alla morte della pianta».

Anche il deficit idrico, per carenza idrica o elevata domanda evaporativa dell’ambiente, crea problemi alla coltura del kiwi, perché può portare al disseccamento parziale o totale del lembo fogliare, ha aggiunto Dichio.

«Il kiwi ha, quindi, bisogno di irrigazioni brevi e frequenti, da realizzare con la tecnica dell’irrigazione di precisione. Il fabbisogno idrico della pianta del kiwi è particolarmente elevato tra luglio e agosto, durante la fase di accrescimento del frutto, quanto le temperature sono alte e la probabilità di pioggia è bassa, soprattutto negli ambienti meridionali. Ovviamente un’attenta irrigazione di precisione deve tenere conto degli effetti dei cambiamenti climatici, spesso caratterizzati o da piogge irregolari, improvvise e abbondanti oppure da lunghi periodi siccitosi».

Recuperare un actinidieto colpito dalla moria

Un actinidieto è colpito da moria è comunque recuperabile, ha spiegato Dichio, purché si intervenga presto e bene.

«Il recupero dell’impianto è possibile grazie al forte potenziale rigenerativo delle radici del kiwi. In diverse prove sul campo siamo riusciti a ottenere risultati positivi operando nel seguente modo: prima le radici danneggiate sono state potate, dopo il suolo destrutturato è stato rimosso e sostituito con un substrato torboso, poi è stato approntato un adeguato drenaggio per allontanare l’acqua piovana, infine si è fatto ricorso all’irrigazione di precisione per eliminare gli eccessi irrigui. Di fatto le radici strutturali, nei siti colpiti da moria delle piante, possono recuperare la loro capacità di produrre nuove radici assorbenti in assenza di eccesso idrico e in presenza di suolo rigenerato».

Per prevenire la moria delle piante di kiwi, ha consigliato Dichio, occorre operare con un approccio olistico che unisca diverse pratiche agronomiche:

  • un efficiente sistema di drenaggio dell’acqua piovana;
  • il ricorso all’irrigazione di precisione misurando l’acqua data e monitorando con opportune sonde l’umidità del suolo per evitare eccessi irrigui;
  • l’apporto di sostanza organica con compost e/o letame;
  • l’inerbimento del terreno utilizzando un miscuglio di specie decompattanti del suolo;
  • la gestione della chioma e la potatura dell’apparato radicale finalizzate all’equilibrio fra chioma e radici.

«Un actinidieto che parta con questi requisiti potrà crescere e produrre bene senza incappare nella moria delle piante. Adottando, quindi, l’irrigazione di precisione, il monitoraggio continuo dell’umidità del suolo e la corretta gestione del suolo è possibile prevenire la moria delle piante.

Pur partendo nelle migliori condizioni, tuttavia, è sempre opportuno valutare lo stato di salute delle radici con scavi a trincea. È fondamentale effettuare una diagnosi precoce. Impianti con sintomi lievi si possono recuperare in tempi brevi. Impianti con sintomi molto evidenti, a livello sia dell’apparato radicale sia dell’apparato aereo, si possono ugualmente recuperare, ma nell’arco di diversi anni, per cui bisogna valutare la sostenibilità economica di tale recupero».

L’eccesso idrico è la causa principale dell’ulteriore destrutturazione del suolo, della mancanza di ossigeno, del deperimento dell’apparato radicale e del declino fisiologico delle piante di kiwi, cioè della moria, ha concluso Dichio. «Se l’agricoltore non irriga bene, tutti gli altri interventi esterni, con apporto di microrganismi, biostimolanti, agrofarmaci, sono inutili. Gestendo bene il suolo e l’irrigazione è possibile produrre anche in condizioni difficili, evitare o persino recuperare situazioni di moria. Ma, come sempre, è meglio prevenire che curare».

Moria del kiwi da prevenire a partire dal suolo - Ultima modifica: 2024-06-11T09:30:03+02:00 da K4

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