Moria del kiwi, come irrigare per controllare la sindrome

moria del kiwi
Actinidieto colpito da moria nell'areale di Latina
Va ottimizzata la gestione degli apporti idrici sia in termini di soluzioni realizzative, sia in termini di tempi e quantità, facendo riferimento a sistemi più efficienti e capaci di soddisfare il reale fabbisogno idrico della coltura nelle diverse fasi fenologiche. Gli interventi da adottare nei nuovi actinidieti per favorire condizioni agronomiche ideali per la proliferazione dell’apparato radicale

L’actinidia è una coltura con un notevole fabbisogno di acqua, ma è anche estremamente sensibile ai ristagni idrici, anche transitori, i cui effetti deleteri possono insorgere qualora nel terreno non avvenga un rapido drenaggio dell’acqua in eccesso, con il conseguente instaurarsi di condizioni anossiche. La produzione di kiwi ha una grande importanza commerciale in Italia, ma, negli ultimi anni, la filiera di questa coltura è stata minacciata dall'emergere di una sindrome che causa un severo e rapido declino (KVDS, sindrome da declino del kiwi, comunemente chiamata moria), che porta al collasso della pianta entro pochi anni dalla comparsa dei primi sintomi.

I sintomi precoci associati alla moria sono a carico dell’apparato radicale, con fenomeni di imbrunimento, scomparsa delle radici giovani assorbenti, anomalie morfologiche e anatomiche, rottura e decomposizione dei tessuti, con conseguente blocco dei vasi xilematici, seguiti da necrosi fogliare, appassimento dei germogli e, nella sua fase acuta, morte delle piante. Solitamente, sintomi di necrosi sulle foglie possono comparire sulle piante di actinidia già dopo un giorno dall’instaurarsi delle condizioni di asfissia. Esistono, inoltre, sufficienti evidenze che riportano come danni alla chioma in piante di actinidia soggette ad asfissia radicale siano associati all’incremento di etilene e acido abscissico e alla diminuzione di citochinine provenienti dalle radici danneggiate.

Nell'ambito del progetto “Water and Soil management of Gold3 in Italy” finanziato da Zespri Innovation in collaborazione con l’Università della Basilicata, nel 2020 è stata avviata una sperimentazione in actinidieti colpiti da moria a Latina (regione Lazio) al fine di indagare sulle possibili cause e suggerire soluzioni per contrastare questa fisiopatia.


Leggi anche:

Morìa del kiwi, capire le cause per mettere in atto i rimedi

La Moria dell’actinidia preoccupa tutti gli operatori della filiera

Implicazioni della gestione idrica nella “moria del kiwi” del veronese


Analisi climatica dei siti sperimentali colpiti
da moria del kiwi

moria del kiwi
Ristagno idrico del suolo nel periodo invernale in un actinidieto colpito da moria

L’analisi dei dati climatici evidenzia che la piovosità media nella zona dove si trovano i siti sperimentali è di ca. 1.130 mm/anno e, di questi, ben 545 mm cadono nel periodo che va dalla ripresa vegetativa (15 marzo) alla fine del ciclo vegetativo (31 ottobre). In tutti e tre gli anni presi come riferimento (2018-2020), le piogge soddisfano le esigenze idriche nelle prime fasi di sviluppo vegetativo della coltura sino a quasi la metà di giugno. Il delta medio tra ET0 e le piogge nel triennio considerato è di 288 mm con un valore minimo nel 2018 di soli 136 mm. Valori così bassi di deficit ambientali richiedono elevate professionalità nella gestione idrica, ove commettere errori di gestione in presenza di terreni poco o per nulla drenanti e con falde acquifere superficiali può risultare deleterio per la coltura (Sorrenti et al., 2016). Nella zona presa in considerazione i volumi idrici medi distribuiti negli actinidieti riportano valori di 6.500-7.000 m3/ha, calcolati secondo un bilancio idrico teorico. Alla luce della presente analisi dei dati climatici risulta evidente che tali volumi siano da considerarsi sovrastimati. Bisogna tener conto che molti eventi piovosi, per la loro abbondanza (50-70 mm), generano molta acqua di drenaggio che potrebbe far innalzare la falda superficiale, creando situazioni asfittiche per le radici dell’actinidia.

Struttura e gas tellurici del suolo

A settembre 2020 nei siti di interesse sono stati effettuati scavi pedologici (trincee 2 × 1 m) che hanno rivelato uno strato impermeabile a 1 m di profondità del suolo, un inizio di compattazione del terreno a partire da una profondità di 40 cm, con un’adeguata struttura del suolo e crescita radicale solo nei primi 30 cm. La superficie freatica nelle trincee è stata rilevata a 40-50 cm di profondità, principalmente a causa dell'elevata quantità di acqua sotterranea accumulata. Il verificarsi di eventi piovosi fuori stagione ha aumentato il ristagno idrico del suolo. Pertanto, dall’analisi dei gas tellurici, è emerso che nei suoli attorno alle piante colpite da moria il potenziale redox, un parametro inversamente correlato alla concentrazione di ossigeno, è risultato significativamente più basso (+331 vs. +368 mV; media 0-90 cm di profondità), mentre sono state riscontrate concentrazioni più elevate di CO2 (7467 vs. 5870 ppm; media 0-90 cm di profondità), un indicatore di condizioni anossiche del suolo. Inoltre, l'analisi fisico-chimica del suolo ha evidenziato che i suoli nei siti affetti da moria hanno meno macropori, il cui numero è direttamente correlato al contenuto di ossigeno. È stato anche osservato che la saturazione dell'acqua è influenzata anche dalla struttura del suolo e dalla topografia, risultando più acuta nei terreni argillosi e a valle.

Alcuni microrganismi potenzialmente patogeni (Paraphaeosphaeria michotii, Fusarium oxysporum e Ilyonectria vredenhoekensis) sono stati identificati in radici di piante di kiwi colpite da moria. Si ritiene che la scarsa aerazione del suolo e il declino fisiologico delle radici siano fattori predisponenti lo sviluppo di tali microrganismi. La moria, infatti, è prevalente nei suoli interessati da ristagni e/o compattati, come rivelato dagli scavi pedologici. I ricercatori dell’Università della Basilicata ipotizzano anche un ruolo chiave delle comunità microbiche della rizosfera, poiché i microrganismi saprofiti e patogeni dei suoli anossici possono differire notevolmente da quelli di suoli ben aerati e sani. Alcuni studi recenti hanno dimostrato un possibile ruolo nel declino da parte di alcuni batteri anaerobi (Clostridium spp.) a causa delle condizioni anossiche del suolo.

Caratterizzazione anatomo-morfologica di radici

Scavo con radici di una pianta colpita da moria

Nei siti sperimentali, dopo aver effettuato lo scavo per il prelievo delle radici (Foto 6), sono stati raccolti campioni di radici da piante sane e confrontati con campioni raccolti da piante colpite da moria. L'apparato radicale nelle piante colpite da moria è caratterizzato dalla scarsità o assenza di radici giovani assorbenti; macroscopicamente, le radici strutturali sono risultate marcescenti, con aree brune diffuse e in decomposizione, mostrando una perdita di rizoderma. Per l’analisi microscopica, le radici sono state fissate in formalina al 10%, disidratate e incluse in paraffina. Ogni singolo campione è stato sezionato in sezioni dello spessore di 5 µm e colorato con diverse metodiche. L’analisi microscopica ha rivelato danneggiamenti al sistema radicale, con rottura e decomposizione tissutale, sfaldamento di rizoderma, area corticale con evidente perdita di turgore cellulare, disfacimento iniziale della stele ed evidente distacco della corteccia dai tessuti conduttori. Nel campione di controllo le radici hanno presentato un rizoderma con spessore di 13 µm e una dimensione media di cellule del parenchima di 44,5 µm, a differenza del campione affetto da moria, in cui lo spessore del rizoderma, quasi assente, risulta di 8,3 µm e la dimensione media delle cellule di 34,7 µm. Le caratteristiche delle radici osservate nelle piante di kiwi a seguito di ristagno idrico sembrano corrispondere ai sintomi osservati sulle radici colpite da moria. Infatti, il ristagno idrico e la diminuzione dell’ossigeno attorno alle radici di actinidia (condizioni asfittiche) hanno avuto un effetto negativo, rapido e significativo sullo stato fisiologico e sulla crescita delle piante.

moria del kiwi
Radici danneggiate da moria

Le radici di actinidia presentano un elevato consumo di ossigeno, nonostante lo spazio tra le cellule radicali destinato alla circolazione dei gas sia piuttosto limitato (circa il 2% dell’intero volume). Per tale ragione, la specie è annoverata tra quelle altamente sensibili (spazio vuoto tra le cellule radicali inferiore al 5% del volume radicale totale) a condizioni di anossia nella rizosfera. Basse concentrazioni di ossigeno potrebbero anche essere correlate a modifiche del metabolismo dei tessuti delle radici colpite da moria. I meristemi sono i tessuti più sensibili all’anossia, essendo caratterizzati da elevata densità cellulare e alta attività metabolica aerobia. Pertanto, essi sono spesso la prima parte del sistema radicale ad essere danneggiata. Questo potrebbe spiegare la crescita stentata di nuove radici fibrose, un sintomo tipico in piante di kiwi colpite da moria e la mancata riattivazione delle radici suberizzate. Inoltre, condizioni asfittiche del suolo possono attivare il metabolismo fermentativo indotto dalla mancanza di ossigeno, con conseguente morte cellulare nel momento in cui terminano le riserve di amido. La concentrazione bassa di ossigeno potrebbe indurre anche la perdita di rigidità del tessuto corticale osservata in radici di piante colpite da moria a causa dell’induzione di alcuni enzimi, quali cellulasi, pectinasi e xilanasi. Infine, i tessuti delle radici danneggiate possono essere più facilmente colonizzati da microrganismi del suolo che normalmente non sono patogeni.

Strategie di gestione dell’actinidieto
per il contrasto alla moria del kiwi

I risultati preliminari suggeriscono un'origine primaria di tipo fisiologico di questo declino. Il declino avviene principalmente in terreni compattati e saturi d'acqua, due caratteristiche predisponenti l'asfissia radicale, che può poi evolvere in moria. I partner coinvolti nel progetto, Zespri Innovation e Università della Basilicata, sono fiduciosi che le plausibili soluzioni della moria potrebbero risiedere nel miglioramento della qualità fisica del suolo, in modo da assicurare una crescita ottimale delle radici. Pertanto, nel sito sperimentale sono state realizzate le opere di drenaggio, il primo passo preparatorio per favorire il movimento orizzontale e verticale dell'acqua nel terreno mediante l'installazione di dreni sotterranei (una linea per fila, ad una profondità del suolo di 80 cm e ad 1 m dal tronco). Questo sistema è stato progettato anche per evitare le condizioni di ristagno temporaneo durante la stagione irrigua. La sperimentazione include una gestione innovativa del suolo volta ad aumentarne la sostanza organica e a ridurne la compattazione. Questo fornirebbe alle radici di actinidia l'ossigeno necessario per mitigare gli effetti di microrganismi potenzialmente patogeni, molti dei quali proliferano in ambienti anaerobi.

Al fine di rigenerare l’apparato radicale e la chioma, le piante sono state classificate in tre gruppi in relazione alla gravità dei sintomi di declino manifestati. Su tutti i gruppi sono stati effettuati interventi di potatura dell’apparato radicale attraverso tagli a circa 60 cm dal tronco, mentre la potatura della chioma è stata differenziata per i tre gruppi effettuando l’eliminazione totale dei rami produttivi nelle piante con sintomi più gravi. La modifica del rapporto radici e foglie è programmata per favorire   l’emissione di nuove radici assorbenti, bilanciare le relazioni idriche della pianta e, quindi, favorire la ripresa di tutte le attività fisiologiche.

La gestione dell’irrigazione (volumi e turni irrigui) è stata progettata considerando la variabilità orizzontale e verticale del contenuto idrico del suolo, monitorata attraverso una fitta rete di sensori di umidità programmati con l’acquisizione dei dati in continuo. Il processo di decisione irrigua supportata dal monitoraggio dell’umidità del profilo di suolo permetterà di ottimizzare l’irrigazione ed eviterà l’accumulo di acqua nel suolo e l’innalzamento della falda, come riscontrato nell’attività preliminare di studio (Foto 2).

Un’altra strategia irrigua proposta è l’applicazione del volume irriguo attraverso due ali gocciolanti (a destra e sinistra della pianta) che erogano acqua in modalità alternata. In questa modalità, nella porzione di suolo che nel turno non viene irrigata, ci sarà un depauperamento del contenuto idrico anche oltre l’acqua facilmente disponibile (AFD), in modo da favorire un maggior ingresso di ossigeno nel terreno.

Moria del kiwi, come irrigare per controllare la sindrome - Ultima modifica: 2021-10-01T10:32:30+02:00 da Sara Vitali

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome