Cambiamenti climatici, in crisi la sostenibilità dei sistemi agricoli

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Il cambiamento climatico rischia di alterare, per le drupacee, il soddisfacimento del fabbisogno in freddo, fattore chiave affinché le gemme si formino bene
Favoriscono l’attività di patogeni e fitofagi, che alterano la potenzialità produttiva delle piante, con diminuzione di rese e qualità. È perciò necessaria una più adeguata gestione del rischio

I cambiamenti climatici minano la sostenibilità economica dei sistemi agricoli e in particolare della frutticoltura e della viticoltura. Oltre a causare eventi estremi, come siccità e alluvioni, favoriscono l’attività di patogeni e fitofagi, che alterano la potenzialità produttiva delle piante, con diminuzione di rese e qualità. Parallelamente all’aumento dei danni da gravi eventi climatici, anche la gestione del rischio deve essere più attenta ed efficace. Sono queste le tematiche su cui si sono confrontati i numerosi partecipanti al convegno “Cambiamenti climatici: gli effetti in frutticoltura e viticoltura - Gestione del rischio in agricoltura” organizzato a Bari dal Consorzio di difesa delle produzioni agricole “Agri Difesa del Mediterraneo” insieme con Agrimeca Grape & Fruit Consulting.

Verso la desertificazione dei sistemi produttivi

Per bloccare la crisi climatica in atto occorre decarbonizzare, ridurre le emissioni e quindi l’utilizzo dei combustibili fossili. Sono questi gli obiettivi dello sviluppo sostenibile da conseguire entro il 2030, ha introdotto Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (Ipsp) del Cnr.

«Senza il ricorso ad adeguate politiche di mitigazione, la temperatura della Terra potrà aumentare di 4 °C entro la fine di questo secolo. In pericolo non è la Terra, bensì le attività umane. Tuttavia accordi internazionali possono consentire di non superare limiti estremi di temperatura per il pianeta, così come il Protocollo di Montreal ha permesso il rispristino dello strato di ozono nella stratosfera mediante la riduzione e la successiva completa rinuncia a livello mondiale della produzione e del consumo dei gas CFC o clorofluorocarburi, che lo impoveriscono».

L’aumento progressivo della temperatura, accompagnato da siccità e ondate di calore, favorisce e amplifica la desertificazione dei sistemi produttivi agricoli.

«Attualmente il 49% del territorio mondiale soffre un lento ma inarrestabile processo di degradazione del suolo, cioè la riduzione o la perdita della capacità produttiva biologica ed economica. La superficie terrestre destinata all’agricoltura tende a rimanere stabile, mentre la popolazione mondiale aumenta e, di conseguenza, cresce la domanda di cibo, energia e acqua. Occorre, quindi, mitigare gli impatti crescenti della siccità, dedicando particolare impegno alla promozione di soluzioni e tecnologie innovative in grado di aumentare la produttività e l’efficienza dell’uso dell’acqua in agricoltura. In questa direzione va l’impegno del Centro ricerca congiunto Eni-Cnr realizzato a Metaponto per la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile delle risorse idriche, le cui attività si sviluppano su tre direttrici progettuali: ottimizzazione dell’uso dell’acqua in agricoltura, tecnologie avanzate di riutilizzo di acque reflue urbane e gestione ottimale delle acque sotterranee costiere e dei rischi di salinizzazione».

In tale prospettiva le acque reflue urbane costituiscono un’autentica ricchezza perché piove sempre meno e le risorse idriche diminuiscono, ha rilevato Centritto.

«Stiamo elaborando tecnologie digitali estremamente avanzate, fra cui quelle di fenotipizzazione: solo mettendo insieme genotipo, ambiente e gestione possiamo capire quali sono le varietà impiegabili nei diversi ambienti e come utilizzare al meglio le risorse. Fra queste spiccano le acque reflue urbane, che non possiamo permetterci di non utilizzare per uso agricolo, trasformandole da grosso problema ambientale in risorsa preziosa. Al Centro Eni-Cnr stiamo lavorando su tre prototipi di trattamento delle acque reflue, che da maggio prossimo saranno attivi e trasportabili, per dimostrarne e divulgarne l’operatività e l’efficacia».

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Danni da gelata tardiva su frutticini di ciliegio

Forte ricaduta sui patogeni

I cambiamenti cimatici impattano sui microrganismi, sia patogeni sia utili, modificandone la distribuzione geografica, la biologia e la dinamica di popolazione, ha evidenziato Stefania Pollastro, docente di Patologia vegetale del Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti (Disspa) dell’Università di Bari.

«La crisi climatica ha forti ricadute sui patogeni (funghi, oomiceti, batteri, virus e fitoplasmi), con significativi impatti sulla produzione agricola, per i danni diretti in campo, le perdite in post-raccolta e la contaminazione da micotossine, nonché per la loro gestione fitosanitaria. Il triangolo della malattia (pianta, ospite, ambiente) è inefficace per spiegare la complessità dei patosistemi, figure circolari meglio spiegano le interconnessioni fra tutti i fattori. L’innalzamento delle temperature medie, ad esempio, influenza la resistenza delle piante e, di conseguenza, lo sviluppo complessivo della malattia, così come favorisce l’adattabilità di nuove specie».

Anche l’aumento della CO2, uno degli effetti più evidenti dei cambiamenti climatici, ha conseguenze sulla temperatura e quindi sulla vita di piante e microrganismi.

«Modifica la crescita delle piante, la fotosintesi, l’area fogliare, il contenuto di zuccheri e la resa del raccolto (l’aumento di vegetazione agevola l’incidenza di ruggini, oidi, alternariosi e antracnosi), favorisce una più rapida sporulazione dei funghi patogeni, facilita lo svernamento dei patogeni e la loro riproduzione. I modelli previsionali sul clima indicano che, con l’aumento delle temperature, gli eventi piovosi diventeranno più frequenti e intensi, determinando un incremento del vapore acqueo nell’atmosfera. Ebbene, batteri, oomiceti e funghi fitopatogeni si avvantaggiano molto di condizioni di elevata umidità, necessaria per la germinazione, la penetrazione, la crescita e l’infezione».

L'influenza dei cambiamenti climatici sugli insetti

I cambiamenti climatici, principalmente sotto forma di aumento delle temperature medie, influenzano l’espansione geografica, il successo biologico, la sostituzione o la marginalizzazione degli artropodi (acari e insetti), che sono organismi temperatura-dipendenti, ha riferito Enrico de Lillo, docente di Entomologia agraria del Disspa dell’Università di Bari.

«L’aumento della temperatura influenza gli artropodi in vari modi: aumento del numero delle generazioni per anno, e quindi maggiore capacità di adattarsi alle nuove condizioni climatiche ambientali; aumento degli agenti patogeni trasmessi dagli insetti; aumento della sopravvivenza invernale, perché fa meno freddo o il periodo di freddo è accorciato; asincronia della biologia tra fitofagi e loro nemici naturali; asincronia della biologia tra fitofagi e piante ospiti».

Oltre ai cambiamenti climatici (principalmente per l’aumento delle temperature medie), altri fattori che influenzano l’espansione di fitofagi sono la globalizzazione (che favorisce l’introduzione di specie non native o alloctone, negli ultimi decenni in forte crescita in Italia), le trasformazioni colturali (è il caso della margaronia negli oliveti intensivi e superintensivi), le modifiche nelle strategie di controllo e nei mezzi per la difesa (riduzione delle sostanze attive, ecc.).

«L’insieme di questi fattori provoca direttamente e indirettamente l’allentamento della resilienza degli agroecosistemi per alcuni organismi nocivi con le seguenti conseguenze: invasioni biologiche di specie non native, cambiamento del pest-status (fitofagi senza interesse economico che si elevano a rango di “nuove” emergenze fitosanitarie) anche nel caso di specie native (autoctone), in seguito ad alterazioni delle reti trofiche. L’alterazione delle reti trofiche si manifesta in più modi: specie (fitofaghe e non) con il più alto tasso di specializzazione per stile di vita e/o habitat sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici; la vulnerabilità si amplifica ai più alti livelli della catena trofica e i nemici naturali ne soffrono maggiormente dei fitofagi/prede; la vulnerabilità aumenta passando dai generalisti “indigeni” agli specialisti parassitoidi “esotici” che mantengono in vita il proprio ospite/vittima».

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Germogli di vite per uva da tavola collassati per gelata tardiva

Mancato soddisfacimento del fabbisogno in freddo

Il cambiamento climatico influenza in particolare il soddisfacimento del fabbisogno in freddo delle piante in frutticoltura e viticoltura durante il periodo invernale, ha ricordato Lorenzo Laghezza, agronomo di Agrimeca Grape & Fruit Consulting.

«La produzione dell’anno corrente comincia ad essere costruita in quello precedente. È a partire da giugno-luglio che si formano le gemme che poi, dalla differenziazione a fiore fino alla loro schiusura, hanno bisogno di condizioni climatiche favorevoli affinché possano diventare fiori perfettamente sviluppati. In questo percorso il fattore chiave affinché le gemme si formino bene è il soddisfacimento del fabbisogno in freddo.

Inverni miti, se non addirittura caldi, lo impediscono. Infatti la ripresa vegetativa delle gemme è condizionata dall’azione delle basse temperature invernali, comprese fra 0 °C e 12 °C. Questa caratteristica varia fortemente in funzione del genotipo: se la specie o varietà è di origine continentale, il fabbisogno in freddo è elevato, se invece è di origine mediterranea tale fabbisogno è basso. Quando si coltiva una nuova varietà, che nasce da parentali di origine a volte nota, a volte ignota, il mancato soddisfacimento del fabbisogno in freddo può determinare la comparsa di anomalie nella formazione delle gemme a fiore, per cui si hanno fiori imperfetti, elevate percentuali di cascola, scarsa fioritura e bassa allegagione».

Il fabbisogno in freddo è uno dei fattori principali della scarsa adattabilità in areali differenti da quelli di origine. «Ci sono varietà a basso, medio e alto fabbisogno in freddo. Varietà a molto basso fabbisogno in freddo negli areali mediterranei rischiano tanto quando, per effetto dei cambiamenti climatici, il freddo arriva nei momenti sbagliati: se la pianta è ripartita, il freddo, invece di essere un fattore positivo per la formazione di una buona gemma a fiore, diventa un elemento negativo perché causa il danneggiamento del fiore e la morte del frutto.

Per le drupacee le temperature critiche nelle diverse fasi fenologiche sono: -14 °C in pieno riposo, -4 °C a gemma rigonfia, -2 °C in fioritura, -1 °C a frutticino allegato. Perciò un abbassamento termico tardivo sotto 0 °C può causare la perdita completa della produzione. Questo è un fattore molto importante per colture realizzate in ambienti in cui prima non erano presenti: varietà tradizionali di mandorlo in alcune zone della bassa pianura foggiana hanno mostrato criticità perché sono state le prime a subire danni da gelate tardive. Il miglioramento genetico aiuta il produttore offrendo nuove varietà che si possano adattare alle nuove condizioni climatiche, come quelle di mandorlo che manifestano fioriture molto più tardive rispetto alle varietà tradizionali e quindi riescono a sfuggire alle gelate tardive che si verificano ormai quasi tutti gli anni».

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Impianto antibrina in azione

Serve un'adeguata gestione del rischio

L’importanza di un’adeguata gestione del rischio in agricoltura, accresciuta dai sempre più evidenti cambiamenti climatici e dalle turbolenze sui mercati, è stata sottolineata da Fabian Capitanio, docente dell’Università di Napoli Federico II.

«Il punto centrale da cui partire è non identificare la soluzione finale di tutte le problematiche con la stipula di una polizza assicurativa - ha continuato Capitanio. Questa resta uno strumento importantissimo, anche se da innovare, ma non può gestire calo dei prezzi, innalzamento dei costi e così via.

Oltre a identificare la gestione del rischio con la polizza assicurativa, le altre criticità nazionali sono: la scarsa conoscenza verso gli strumenti di gestione del rischio da parte degli agricoltori e dei tecnici agricoli del Centro-Sud; un’offerta assicurativa inadeguata alla domanda; indirizzi produttivi molto diversificati, con minore esposizione ai rischi di norma assicurati dall’attuale offerta di polizze assicurative tradizionali; la forza dei consorzi di difesa non omogenea in tutto il territorio nazionale, anche per un diverso trattamento compagnie/banche; il 99% delle polizze assicurative oggi viene scambiato dai consorzi di difesa, ma il Dlgs 102 dice che non solo i consorzi di difesa possono scambiarle, ma anche le Op, i grandi gruppi cooperativi, ecc.

Per un’adeguata e moderna gestione del rischio proposte serie sono, quindi, l’azzeramento della misura nazionale e l’avvio di un sistema misto Stato-Regioni, per avvicinarsi alle esigenze dei territori».

Cambiamenti climatici, in crisi la sostenibilità dei sistemi agricoli - Ultima modifica: 2024-02-21T12:22:28+01:00 da Sara Vitali

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