Da qualche anno seguiamo con molto interesse lo straordinario rinnovamento di cui è oggetto la coltivazione dell’albicocco, generato dall’apporto di nuove varietà e nuove tipologie di frutto. Sono ottenute da impianti intensivi adatti ad ambienti che interagiscono fortemente esaltando o deprimendo fruttificazione e qualità del prodotto, col vantaggio però di identificarsi col territorio di provenienza. Agli areali tradizionali della coltura, un tempo prevalentemente pede-collinari e collinari, si sono affiancate zone recentemente conquistate dall’albicocco (per esempio la pianura e la montagna al Nord), la decadenza (o l’abbandono) delle colture forzate al Sud, sostituite da varietà precoci che non abbisognano di tunnel o altre forzature. Al Nord, invece, prevalgono le varietà medio-tardive, cosicché il calendario produttivo si è esteso a sei mesi (da marzo a settembre!).
L’albicocco, dunque, è una specie biologicamente molto plastica, coltivabile, grazie alla grande variabilità genetica, dall’estremo Sud fino alla Val Venosta e altre zone vocate montane. Ci sono anche varietà, come sottolinea l’articolo degli esperti S. Foschi e C. Mennone, che si adattano tanto al Sud quanto al Nord e, addirittura, cultivar precoci che vanno meglio al Nord e altre tardive adatte al Sud.
Occorre, in ogni caso, prima di scegliere, conoscere il comportamento delineato dalla sperimentazione in campo delle novità, condotta in un arco di qualche anno per evitare le possibili disillusioni conseguenti al mancato adattamento ambientale, in particolare alla perdita di qualità dei frutti. Forse è anche per questo che, negli ultimi tre-quattro anni, molte speranze non si sono realizzate; i prezzi in vari momenti della stagione non sono stati abbastanza remunerativi o sono crollati; i mercati sono risultati instabili per la volatilità dei prezzi, nonostante la diluzione dei flussi commerciali di prodotto in un arco di tempo più lungo.
Uno dei fattori di disaffezione al consumo risale certamente all’insufficiente standard qualitativo di troppe nuove varietà precoci, molto belle, rosse, accattivanti per forma, colore, pezzatura, ma meno dolci, con gusto piuttosto acidulo e comunque di qualità sensoriali insufficienti rispetto ai livelli preferenziali di oggi, inferiori anche agli standard delle vecchie varietà vesuviane e italiane (dolci e aromatiche, anche se bruttine, medio-piccole, spesso un po’ molli e con breve vita di scaffale).
Occorre perciò scegliere bene le varietà dei nuovi impianti per recuperare o migliorare l’eccellenza qualitativa che si raggiunge non solo con la genetica, ma anche con una tecnica colturale moderna, aggiornata, sostenibile, capace di coniugare le innovazioni tecnologiche disponibili con il rispetto dell’ambiente e della salute dei consumatori.