Analisi dei costi e della redditività. La qualità paga?

Più che alla tipologia di impianto, la redditività della coltura del ciliegio in Emilia-Romagna appare strettamente legata alla qualità del prodotto, in termini sia varietali, sia di calibro e presentazione dei frutti. Costi di impianto molto elevati, soprattutto con la variante dei teli antipioggia e delle reti di protezione dagli insetti dannosi.

La cerasicoltura attraversa da tempo una fase caratterizzata da una continua evoluzione sia a livello varietale, sia a livello tecnologico: il difficile contenimento in altezza delle piante, la sensibilità dei frutti alla pioggia o il basso rendimento dei cantieri di raccolta, ne possono infatti minare la sostenibilità economica. Negli ultimi anni si è, inoltre, aggiunta un’ulteriore problematica, rappresentata dalla crescente diffusione di Drosophila suzukii, parassita di difficile contenimento che può essere limitato solo al costo di numerosi e dispendiosi trattamenti. Ciò si traduce non soltanto in un aggravio dei costi per l’impresa coltivatrice, ma determina problemi di residualità nei frutti e, a lungo termine, potrebbe anche riflettersi negativamente sull’immagine qualitativa di un frutto come la ciliegia, tradizionalmente associato ad elevati contenuti salutistici.

Se l’introduzione di innovazioni colturali può garantire, da un lato, un miglioramento quali–quantitativo del raccolto, sono tuttavia da analizzare attentamente le implicazioni economiche e finanziarie connesse agli elevati investimenti iniziali richiesti ed alla tendenziale diminuzione della durata degli impianti che deriva dall’intensificazione degli stessi. A questo fine, il presente studio propone una comparazione dei costi medi per impianti di specifiche cultivar e portinnesti, a densità crescente e con diverse forme di protezione.

Metodologia ed impianti comparati

Lo studio è stato svolto in Emilia-Romagna, nelle provincie di Modena e Ferrara, per mezzo di rilievi tecnico–economici condotti nell’ambito di un campione di imprese frutticole ad elevata professionalità. Sono stati posti a confronto impianti delle cv Lapins, Grace Star, Ferrovia e Bigarreau Burlat al fine di mettere in evidenza le differenze nei risultati produttivi, talvolta di grande rilievo, derivanti dall’impiego di tecniche e portinnesti differenti. Più nello specifico, per ciascuna delle cultivar individuate sono stati analizzati impianti a densità media (6-700 piante/ha), infittiti (800 piante/ha) e ad altissima densità (5.500 piante/ha), sui portinnesti Colt e Gisela 6, gestiti senza forme di copertura, con copertura anti-grandine e anti-pioggia e, infine, con moderne coperture complete di rete anti-insetto. Il quadro di sintesi delle caratteristiche degli impianti posti a confronto è riportato nella tabella 1.

I costi di produzione sono stati elaborati per centro di costo, aggregando sia gli oneri di natura esplicita, concretamente sostenuti dalle imprese, ad esempio per materie prime e remunerazione della manodopera salariata, sia gli oneri impliciti o figurativi, dovuti ai fattori capitale e lavoro, direttamente apportati dall’impresa. Il costo monetario può, pertanto, anche essere più basso in funzione della tipologia di impresa, soprattutto se di ridotte dimensioni e gestita con elevato apporto di lavoro familiare.

Come rilevabile, gli impianti considerati presentano una diversa durata e, in aggiunta, prevedono differenti velocità di entrata in produzione e differenti curve produttive: alla luce di ciò, per un più corretto confronto, risulta di grande utilità analizzare i costi non soltanto in un’ottica di staticità, ma con un’elaborazione finanziaria che consideri l’intera durata degli impianti. Tale elaborazione è stata condotta per mezzo di analisi costi-ricavi, valutando i flussi finanziari annui in entrata e in uscita per l’intera durata prevista per l’impianto, sulla base di varie ipotesi di prezzo, ed attualizzandoli tramite un saggio di interesse del 3%.

Analisi dei costi di produzione

Il primo aspetto da considerare nell’analisi di costo è rappresentato dall’investimento iniziale richiesto dalle diverse tipologie di impianto. A tale proposito, va ricordato che occorre computare non soltanto i costi sostenuti nell’anno di impianto, ma anche quelli necessari fino all’entrata in fase di piena produzione. Per quanto concerne i casi considerati, ciò avviene non prima del 5° anno negli impianti tradizionali, mentre anticipa al 3° anno per quelli ad alta densità ed al 2° per quelli ad altissima densità. L’entità di tali costi può divenire significativa considerando che, anche negli anni improduttivi, l’impresa sostiene comunque spese fisse, come quelle per oneri finanziari, per tributi, amministrazione, manutenzioni o prezzo d’uso del terreno, oltre ai costi per la formazione, difesa, nutrizione e governo delle piante. In considerazione di ciò, il costo complessivo di impianto ed allevamento parte da circa 50.000 €/ha per impianti privi di copertura (Fig. 1), per salire a 70-80.000 €/ha in impianti dotati di protezione anti-pioggia ed anti-grandine. L’impianto ad elevatissima densità richiede poco più di 70.000 €/ha se privo di copertura, mentre con protezione completa di rete anti-insetto l’esborso si aggira attorno a 100.000 €/ha. In termini di quota annua di ammortamento, tali valori si traducono in un onere di 2-3.000 €/ha per impianti tradizionali, di durata complessiva pari a 25 anni, e fino a 5-7.000 €/ha per impianti ad alta ed altissima densità, la cui durata economica si riduce a soli 15 anni.

In fase di piena produzione il costo medio di produzione, escludendo la raccolta ed il trasporto dei frutti, può oscillare da poco più di 11.000 fino a 18.000 €/ha (Fig. 2). Buona parte di tale differenza è spiegabile con la diversa entità della quota annua di ammortamento e dei relativi interessi passivi generati dalle spese sostenute durante la fase improduttiva, mentre la restante quota è dovuta, sostanzialmente, alla manodopera necessaria per la gestione delle coperture o alle maggiori tempistiche per la potatura. Di minima entità sono le variazioni nel costo per le materie prime, ad eccezione degli impianti protetti da rete anti-insetto, nei quali si può risparmiare fino a 1.000 €/ha tra agro-farmaci e carburante necessario all’esecuzione dei trattamenti.

Nella coltivazione del ciliegio sono comunque due i parametri che rivestono un ruolo determinante nel computo dei costi complessivi da sostenere e nei relativi confronti: la “resa produttiva” ed il “rendimento del cantiere di raccolta”. Circa il primo aspetto, emergono evidenti differenze tra le cultivar considerate e la rispettiva produttività in abbinamento alle diverse tecniche di impianto. In particolare, per talune varietà come Bigarreau Burlat, il passaggio da densità tradizionali all’alta densità può determinare una resa media quasi doppia, mentre su Ferrovia e Grace Star l’incremento è dell’ordine del 10-15% e, infine, su Lapins non si registrano incrementi, a meno di compromettere decisamente la qualità del raccolto. Relativamente agli impianti ad altissima densità, esaminati sulle cv. Ferrovia e Grace Star, si rilevano rese sensibilmente superiori rispetto alle analoghe varietà in impianti ad alta densità, con valori oscillanti da 11 a poco meno di 14 t/ha. Va evidenziato che l’impianto su Gisela 5 o 6 determina una più rapida entrata in produzione, con rese elevate nei primi anni che tendono, tuttavia, a diminuire in quantità e calibro nel corso del tempo, rendendo dunque più difficile il calcolo di una resa media pluriennale. La protezione dell’impianto con reti anti-pioggia può svolgere un ruolo determinante nella definizione della resa, poiché la garanzia offerta da tale forma di difesa permette di effettuare lo stacco al momento ottimale senza correre rischi di compromissione del raccolto e, dunque, di ottenere un raccolto quantitativamente superiore e di maggior calibro.

Gli effetti delle coperture degli impianti si riflettono anche sul rendimento del cantiere di raccolta (resa in kg/ora) che, grazie alla maggiore uniformità e migliore distribuzione della produzione sulle piante, può aumentare nel lungo periodo anche del 10-15%, incidendo con decisione sulla struttura dei costi aziendali, costituiti per il 40-50% circa dalle spese di raccolta.

Le diverse combinazioni di rese e rendimenti alla raccolta considerati per i diversi impianti in esame si traducono in livelli di costo per chilogrammo sintetizzati nelle figure 3, 4 e 5. Per ciascun impianto è riportato il costo medio annuo di produzione ed il prezzo soglia che nell’analisi costi-ricavi consente di annullare il Valore Attuale Netto (VAN), cioè la sommatoria attualizzata dei flussi finanziari annui. Come rilevabile, il confronto intra-varietale relativo ai diversi portinnesti e ai conseguenti gradi di intensificazione permette di evidenziare con decisione un chiaro vantaggio solamente per l’impiego di Gisela 6 per la cv. Bigarreau Burlat, dove il marcato aumento delle rese produttive permette una diminuzione del costo complessivo pari al 25-30%. Per le rimanenti varietà confrontate su due portinnesti il differenziale rilevato a livello di prezzo soglia non supera i 0,10 €/kg, una percentuale di modesto rilievo rispetto al costo totale di coltivazione.

Per quanto concerne i confronti relativi alle coperture degli impianti, su Lapins e Grace Star nel Modenese i costi tendono ad un sostanziale equilibrio, mentre per Burlat e Ferrovia la copertura anti-pioggia e grandine impone un prezzo soglia superiore di circa 0,10 €/kg. Nel Ferrarese, invece, la copertura completa di rete anti-insetto permette un risparmio, rispetto ad analoghi impianti non protetti, di 0,10-0,12 €/kg.

Prezzi alla produzione e redditività

Al fine di esprimere un confronto completo tra gli impianti esaminati è necessaria, dopo la determinazione dei costi di produzione, una valutazione delle potenziali entrate ottenibili dagli stessi. Il calcolo della Produzione Lorda Vendibile, tuttavia, si presenta estremamente difficoltoso a causa delle numerose variabili che incidono sui prezzi effettivamente percepiti dalle imprese. Oltre a varietà e calibro, infatti, il prezzo alla produzione è fortemente influenzato dall’epoca di raccolta, nonché dai canali di commercializzazione che, nelle zone in esame, sono rappresentati principalmente dal conferimento a cooperative, dalla vendita presso il locale Mercato Ortofrutticolo, oppure ancora dalla vendita diretta al consumatore. Ciascuna forma di commercializzazione presenta specifiche peculiarità e differenti modalità di apprezzamento del prodotto, nonché tipologie di confezionamento e differenti impegni in fase di condizionamento per l’impresa coltivatrice.

In considerazione di tale variabilità e delle differenti combinazioni qualitative ricavabili da varietà, portinnesti e modalità di coltivazione considerate, non è possibile definire in maniera attendibile una PLV media annua, ma solamente esprimere considerazioni generali ed ipotesi sulla base di livelli di prezzo predefiniti.

Circa quest’ultimo aspetto, nella tabella 2 sono riportati alcuni risultati relativi ai principali indicatori derivanti dall’analisi costi-ricavi, tra i quali il già citato Valore Attuale Netto, il Saggio di Rendimento Interno (SRI), che rappresenta sinteticamente il rendimento finanziario dell’investimento, ed il tempo di ritorno del capitale (TRC), che indica il numero di anni necessario a recuperare quanto investito. Va evidenziata, in particolare, la buona risposta in termini di ritorno dei capitali investiti da parte degli impianti “fitti” su Gisela 6, i quali entrano precocemente in produzione e con rese particolarmente alte nei primi anni, sebbene il calo produttivo e qualitativo successivo ne ridimensioni la “performance” finanziaria complessiva. Per quanto concerne gli impianti ad altissima densità e dotati di rete anti-insetto, si registra un recupero del capitale solo all’8° anno, purché il prezzo medio percepito sia pari a 2,5 €/kg e dopo 5 anni con prezzo di 3,5 €/kg.

In termini più generali, analizzando i listini di cooperative locali, si può rilevare una certa preoccupazione per il crollo dei prezzi registrato nell’ultima campagna, sebbene a ciò abbia corrisposto una buona annata in termini di rese produttive. Considerando la media ponderata sul conferito di prima scelta, le cultivar considerate hanno percepito, rispetto al 2013, una quotazione inferiore dal 25% per Burlat fino ad oltre il 40% per Ferrovia e Lapins, attestandosi su valori compresi tra 2,15 e 2,80 €/kg al netto dei costi di lavorazione. Appare, tuttavia, piuttosto evidente il “premium” attribuito ai calibri più elevati: a titolo di esempio (Fig. 6), includendo la totalità delle cultivar trattate e considerando pari a 100 il calibro centrale 26/28, passando a calibri maggiori si ricava un prezzo superiore del 15 e del 30% circa per ciascuno “step” di calibro. Al contrario, la perdita di calibro determina riduzioni dal 20% in su.

Considerazioni conclusive

Lo studio comparativo ha evidenziato una notevole eterogeneità dei risultati emersi e, come appena rilevato, risulta particolarmente difficile esprimere un giudizio univoco. Nonostante ciò, talune considerazioni emergono con chiarezza e, fra queste, vi è la sostanziale sostenibilità economico-finanziaria di tutte le soluzioni indagate. I maggiori costi connessi agli investimenti per l’infittimento o per la protezione degli impianti, vengono di fatto riequilibrati da combinazioni di maggior resa produttiva e migliore rendimento della raccolta ragionevolmente ottenibili nel medio-lungo periodo. Il limitato differenziale di costo che permane appare colmabile da una migliore remunerazione del raccolto che deriva dall’opportunità di realizzare produzioni qualitativamente più elevate grazie alle tecniche di protezione dalle avversità. Circa l’applicazione di moderne reti anti-insetto, ciò appare sostenibile economicamente alla luce delle migliori rese e del risparmio annuo di materie prime e manodopera necessarie ai trattamenti fitosanitari. Inoltre, in termini più generali, elimina i problemi di residualità che possono derivare dalla difesa chimica contro la Drosophila, a vantaggio dell’immagine legata ai contenuti salutistici della ciliegia.

Per quanto concerne gli impianti ad altissima densità, il giudizio si può definire accettabile, ma strettamente vincolato alle durate produttive ipotizzate, che permangono tuttora fortemente condizionate dagli aspetti agronomici e gestionali del mantenimento dell’efficienza produttiva degli alberi e, in particolare, dalle tecniche di potatura variabili nel tempo.

Partendo da tale presupposto, si conclude sottolineando i vantaggi che un’efficace protezione degli impianti può offrire non solo all’impresa agricola, ma anche all’intera filiera, garantendo una costanza di approvvigionamento dei mercati, sia quantitativa, sia qualitativa, oggi sempre più requisito fondamentale per dialogare con le piattaforme distributive ed espandere le proprie quote di mercato.

Relazione presentata al Convegno Nazionale del Ciliegio 2.0 tenutosi a Vignola (Mo) il 25 febbraio 2015.

Gli autori sono del Dipartimento di Scienze Agrarie - Università di Bologna

 

Analisi dei costi e della redditività. La qualità paga? - Ultima modifica: 2015-04-01T11:12:00+02:00 da Lucia Berti

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome