In Romagna è molto facile: basta guardare il colore della rete antigrandine dell’actinidia. “Il frutto ha la polpa gialla, dunque ci vuole la rete gialla, è logico”. Annuisco, mentre la mente scorre i testi di fisiologia vegetale alla ricerca del pigmento fotorecettore sensibile alla luce gialla. Finora non se ne conosce neanche uno, ma questo piccolo dettaglio non preoccupa nessuno, anzi! D’altra parte, un fisiologo degli alberi, in che mondo vive?!? Non si sa bene, però anche un fisiologo smarrito sa che le reti foto-selettive costano di più delle normali reti antigrandine e che un investimento ha bisogno anzitutto di essere ammortizzato e perciò dovrà portare ad un aumento di redditività. Sempre con la sua aria un po’ “scollegata”, il nostro poi si fa domande anche sulla stabilità spettrale del prodotto. Se dopo un anno o due il colore non è più quello originale, saranno rimaste inalterate le caratteristiche di foto-selettività? I conti cosa dicono? Quel consiglio tecnico era veramente un consiglio?
Fra le ultime entrate sul fronte dei fitofagi c’è la cimice asiatica, che colpisce, tra le altre, molte specie frutticole. Ormai l’arrivo di una nuova avversità è un evento così sicuro che ci si può regolare l’orologio, anche se tutti ne faremmo a meno molto volentieri. O forse non tutti: ad un agricoltore preoccupato di difendere le proprie ciliegie è stato suggerito l’uso di un nuovo insetticida “garantito come il più efficace”, però dal costo molto elevato: diverse centinaia di euro ad ettaro. Stesso discorso, stessa domanda: l’adozione di un mezzo di produzione così costoso è giustificata dal punto di vista economico? Se devo sostenere maggiori costi, quante ciliegie in più devo produrre per preservare la redditività? Con quali processi decisionali viene scelto il nuovo insetticida?
Visitavo un albicoccheto ed era in corso un trattamento di fertirrigazione, completo di chelato di Fe (a giudicare dal colore). La crescita era vigorosa, evidenziata dall’altezza e dallo spessore dei rami, però sulla chioma era evidente l’effetto di un fitoregolatore brachizzante: internodi cortissimi e crescita totale dell’anno assai ridotta rispetto a quella che ci si aspetterebbe. Svolgo un semplice ragionamento: “Se si fosse meno aggressivi con la nutrizione, forse il fitoregolatore diventerebbe inutile. Si risparmierebbe due volte.” Il tecnico allarga le braccia e dice: “lo so, è come dare gas e pestare sul freno contemporaneamente. Chi sa fare a guidare, spesso lo fa, ma è roba per pochi. Purtroppo, in campagna non è sempre facile mettere nella giusta prospettiva un consiglio tecnico che viene da parte di chi ha un interesse legato alla vendita di un prodotto”.
Un servizio di frutticoltura di precisione che permette al frutticoltore di conoscere in tempo reale la bontà del proprio processo di coltivazione, e gli dà quindi la possibilità di modulare irrigazione, diradamento, eventualmente nutrizione, messo sul mercato ad un costo che rappresenta una frazione del reale beneficio economico che apporta, si sta affermando, ma lentamente. Curiosamente, la convenienza economica o il costo non sono citati tra gli elementi a favore o contro. Il primo dubbio dell’agricoltore è relativo all’impegno richiesto per effettuare le misure. Incontrando gli agricoltori, perfino i più propensi ad adottarlo, si capisce facilmente che la soglia da superare è quella della conquista della loro fiducia da parte di chi propone l’innovazione.
Quelli sopra sono solo alcuni dei tanti esempi che vengono alla mente quando ci si interroga sui canali attraverso cui arriva innovazione in frutticoltura e quando, relativamente a quelli che ci sono, ci si chiede: come funzionano? Detta in un altro modo: che conoscenze abbiamo sul processo di adozione di innovazione da parte del frutticoltore e cosa stiamo facendo perché egli possa disporre della migliore innovazione disponibile?
L’innovazione più presente e facile a prendere piede è sempre stata quella genetica. In tutte le principali specie da frutto il panorama varietale di 30 anni fa è stato completamente rivoltato, come un calzino. Fa eccezione il pero, in cui Passa Crassana, Decana del Comizio, Spadona estiva, Coscia e Butirre varie non si coltivano più; al loro posto sono rimaste, come i moschettieri, 4 delle vecchie (William è del 1770). Includendo Carmen, che però sarebbe del 1980 o giù di lì, la lista varietale del pero è cortissima e statica, ma è appunto, un’eccezione.
L’innovazione varietale è giustificata con la necessità di avere un “altro” prodotto da immettere sul mercato. Dal punto di vista del marketing non fa una piega anche se non è poi un pensiero così innovativo. Ma tant’è. Per fortuna oggi questo tipo di innovazione viene introdotto con meccanismi più o meno consolidati che lasciano poco spazio a costose escursioni in “terra incognita”. I processi di valutazione da parte dei tecnici preposti iniziano presso i costitutori, e proseguono con prove di valutazione su piccola scala, poi crescente, fino all’introduzione controllata. Questo sostituisce ormai l’attività di valutazione varietale che era condotta, grazie a finanziamenti ministeriali, da centri universitari, Crea e altre istituzioni ed enti di sperimentazione. Ma i finanziamenti sono cessati da tempo e si va avanti grazie ad un impegno totalmente volontario, da parte di un manipolo di “sopravvissuti” che fortunatamente si rifiuta di smettere, come certi soldati giapponesi sperduti nella giungla a cui nessuno aveva detto che la guerra era finita!
L’innovazione tecnologica in frutticoltura fa invece molto più fatica a penetrare, e non sembra farlo praticamente mai attraverso processi che garantiscano imparzialità da parte di chi rilascia un consiglio tecnico che ha un costo, e quindi deve garantire un ritorno. Un’indagine svolta da uno studente di dottorato dell’Università di Bologna a questo proposito ha rivelato che l’età è il fattore che più contrasta la propensione all’adozione di innovazione del frutticoltore (nessuna sorpresa in questo), mentre il primo fattore mitigante risulterebbe essere la disponibilità di una persona (reale, non un “call center”) che fornisca assistenza nel caso di difficoltà.
Questo forse spiega come mai la decisione di affrontare maggiori costi senza certezza del ritorno sull’investimento venga in certi casi presa con facilità, mentre in altri no. Il rapporto di fiducia interpersonale sembra essere ancora un elemento molto pesante nel processo, capace di indirizzarlo con maggiore efficacia, a prescindere dai costi connessi, rispetto ad altri fattori. Ciò però apre la porta alla domanda seguente: quali sono le garanzie che l’innovazione introdotta sia davvero tale?
In molti Paesi esiste(va) il servizio di “extension”, fornito da personale specializzato (con le stesse qualifiche dei professori universitari) cui erano affidate le missioni dell’assistenza tecnica/disseminazione dei risultati della ricerca (quella più funzionale alle esigenze) e dell’istruzione/aggiornamento dei frutticoltori di una determinata zona geografica (es. California o Michigan, ecc.). In Italia esistevano le Cattedre Ambulanti, modellate su un’istituzione francese della seconda metà dell’800. Il prof. Francesco Dotti aveva iniziato così, a Ravenna, prima di diventare docente alla Statale di Milano. Oggi, con i processi di “deregulation” che, a partire dagli anni ‘80 in Inghilterra, hanno ridotto di parecchi ordini di grandezza i finanziamenti pubblici in agricoltura nei Paesi più avanzati, nessuno se la passa più tanto bene. Si può oggi chiedere di re-instaurare le Cattedre Ambulanti o altre forme di extension? No, non si può, anche se si vorrebbe.
Oggi è senz’altro più utile cercare di capire il sistema di introduzione all’innovazione dell’Ue, pressoché l’unica istituzione nel nostro continente che esplicitamente dichiara di avere ancora questo obiettivo. A fine 2017 si è tenuto a Milano il workshop “Progetti multi-attore per la ricerca e l’innovazione in agricoltura: un’opportunità di dialogo” (http://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/17749). L’obiettivo principale era “dare evidenza ai primi risultati di alcuni progetti di ricerca al fine di identificare possibili opportunità per la costituzione di futuri Gruppi Operativi (GO) e favorirne il trasferimento nella pratica aziendale, e inoltre stimolare la partecipazione dei GO a progetti multi-attore e a network tematici”.
Con sintesi efficace è stato spiegato che “Il Partenariato Europeo per l’Innovazione in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura (PEI AGRI) promuove l’innovazione favorendo la collaborazione tra ricercatori, imprenditori agricoli, aziende alimentari, imprese rurali, consulenti e altri soggetti coinvolti nel settore agro-alimentare. La politica della ricerca – attraverso il programma quadro Horizon 2020 – e la politica di sviluppo rurale – attraverso i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) – sono le principali fonti di finanziamento messe a disposizione dall’Ue per il raggiungimento degli obiettivi del PEI AGRI. Horizon 2020 promuove l’attuazione di progetti multi-attore e network tematici, mentre i PSR la formazione dei Gruppi Operativi (GO) e l’attuazione dei loro progetti. Questi strumenti utilizzano un approccio comune basato sul modello di innovazione interattiva, ovvero la collaborazione tra attori diversi che assicuri l’utilizzo complementare di molteplici tipologie di conoscenza. Questo concorre alla creazione e alla diffusione di soluzioni innovative direttamente utilizzabili in azienda.”
Dunque, ci sono molteplici forme di finanziamento disponibili per la produzione, diffusione e l’adozione di innovazione; si tratta di capire come fare per sfruttarle appieno. Anzitutto, siamo di fronte ad assetti “bottom-up”, in cui la domanda di ricerca proviene dagli agricoltori, attraverso strumenti appositi, come i GO. Questi mirano a raccogliere tali esigenze e farle confluire in progetti, anche piccoli, che forniscano risposte mirate agli specifici bisogni. Qualora le problematiche siano affrontate con successo su piccola scala, si possono adottare misure “sperimentali” a scala più larga della singola azienda, coinvolgendo in un Progetto di Filiera un numero più elevato di aziende, con impegni economici di maggiore respiro. Il passo successivo dovrebbe essere l’implementazione su scala ancora più larga, ad es. di OCM per un gruppo cooperativo, delle tecnologie verificate come valide per un determinato territorio e specie. Se, ad esempio, si fosse dimostrata l’utilità di prevedere le dimensioni alla raccolta dei frutti durante la stagione di crescita, l’OCM potrebbe includere il finanziamento dello strumento necessario a rendere speditiva la misura dei frutti, in modo da permettere al frutticoltore socio di dotarsi di uno strumento che ne aumenti l’efficienza e la sostenibilità.
L’ulteriore passo sarebbe la costituzione di GO internazionali, capaci di raccogliere le esigenze di ricerca fondamentali e di proporle attraverso la PEI-AGRI, ma non solo, ai decisori che stilano i bandi per i progetti competitivi di Horizon 2020. Il tutto con la collaborazione dei network tematici, anch’essi finanziati dall’Ue su bandi competitivi, veri e propri centri di raccolta e diffusione dell’informazione. Per la frutta, il network Eufrin (eufrin.org) ha proposto con successo Eufrut (http://eufrin.org/index.php?id=55), che ha la finalità di “colmare la Valle della Morte (sic!) che separa ricerca e pratica nel settore della frutticoltura” raccogliendo, catalogando e diffondendo attraverso Internet le conoscenze più recenti e significative su tematiche come l’innovazione varietale, le tecnologie e strategie per la riduzione dell’uso di pesticidi, il miglioramento della qualità post-raccolta, l’introduzione di tecniche sostenibili di coltivazione.
Non è chiaro quanto sia diffusa la consapevolezza che questi meccanismi sono stati pensati ed implementati come componenti di un unico schema e quanto li si pensi appunto come strumenti di produzione, organizzazione e diffusione dell’innovazione, piuttosto che come entità separate le une dalle altre da adottare in contesti diversi di volta in volta. Senz’altro è possibile farlo, ma non sarebbe il loro miglior uso. Dispiace constatare che sono partiti in ritardo rispetto ad Horizon 2020, hanno regole diverse nelle varie Regioni e, in generale, sono affetti da incredibile complessità burocratica, procedure estremamente laboriose e spesso francamente assurde (il sito reterurale.it di cui sopra fornisce abbondanti esempi di questo).
Naturalmente, aldilà di tutti questi aspetti, decisamente perfettibili (e non c’è motivo che non vengano affrontate le principali criticità), ben vengano nuovi modi di diffondere conoscenze e pratiche colturali in grado di sostenere i processi decisionali del frutticultore, che devono essere sempre più tempestivi, concreti, pragmatici e basati su dati e informazioni reali, confermati dal vaglio di esperti terzi e non lasciati a sensazioni o rapporti di fiducia interpersonali.