Del trio di solanacee, pomodoro, peperone e melanzana, quest’ultima è sempre stata considerata un po’ il parente povero, quello da nascondere in un angolo alle feste. Anche dal punto di vista delle varietà e delle tecniche colturali è sempre rimasta un passo indietro alle altre due.
Negli ultimi anni, invece, si è assistito a un maggior interesse per questa specie, con una rapida evoluzione sia delle tecniche, che dell’assortimento varietale.
Originaria dell’India orientale, o forse della Cina meridionale, è proprio in quelle aree che si coltiva di più nel mondo. La Cina, infatti, rappresenta da sola il 30-40% del totale mondiale, stimato in più di un milione di ettari.
Arrivata in Europa con gli Arabi, si è progressivamente affermata come pianta tipicamente mediterranea. È molto diffusa in Turchia, infatti, con circa 50.000 ha, ma anche la superficie italiana è di tutto rispetto: 10-11.000 ha, di cui il 10% in coltura protetta, soprattutto nelle regioni centro-meridionali (Campania, Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia). Nell’ultimo decennio le superfici coltivate sono un po’ diminuite, compensate però dall’aumento delle rese, passate da 40-50 a 60-70 t/ha. In condizioni ottimali, a pieno campo, si può arrivare fino a 80 t/ha, mentre in tunnel freddi e con colture fuori suolo, sono possibili rese fino a 18-20 kg/m2.
All’estero produzioni da primato
Come già successo con pomodoro e peperone, è stata l’Olanda ad aver investito di più, negli ultimi anni, nella messa a punto di sistemi più razionali e produttivi. La superficie olandese a melanzana fuori suolo è ancora ben poca cosa (circa 50-70 ha), rispetto al totale di pomodoro e peperone (circa 1500-1700 ha ciascuno), ma è già in grado di esibire risultati da primato, con produzioni unitarie che superano abbondantemente i 55 kg/m2, inimmaginabili per qualsiasi coltivatore italiano.
Le altre due colonne portanti di questi risultati da primato, oltre al fuori suolo e al riscaldamento, sono state sicuramente l’uso di piante innestate e una continua e razionale potatura di germogli laterali, foglie e frutti, al fine di mantenere costante l’equilibrio vegetativo e riproduttivo della coltura.
Sulla base dell’esperienza olandese, recentemente anche alcuni coltivatori italiani leader nel settore si sono incamminati in questa direzione come, ad esempio, l’azienda Pagani di Verona.
La scelta del fuori suolo è stata fatta, innanzitutto, per prevenire l'eliminazione dei pochi prodotti rimasti ancora disponibili per la disinfezione del terreno. Vi sono investimenti iniziali più alti, ma anche numerosi vantaggi: eliminazione delle lavorazioni al terreno e dell’acquisto e messa in opera di manichette e pacciamatura, e in più si allunga il ciclo, non dovendo dipendere dalla disinfezione del terreno. A parità di varietà, inoltre, si ottengono un maggiore peso specifico e una più intensa brillantezza dei colori, sia del calice sia del frutto, e i mercati stanno premiando questa scelta.
La genetica per forme e colori
Il confezionamento avviene per il 90% in normali cassette di legno 30x50 da 12 pezzi, il resto a 15 e 9 pezzi è venduto come seconda scelta. Operando con turni di raccolta brevi (massimo 3 giorni) difficilmente si raccolgono frutti fuori misura. Il prezzo medio all’origine, negli ultimi cinque anni, è stato di 0,73 €/kg.
Anche la genetica ha dedicato più spazio alla melanzana negli ultimi anni, concentrandosi soprattutto su forma, colori e, ovviamente, produttività.
Il miglioramento delle forme ha riguardato tutte e tre le tipologie di base (tonda, ovale e allungata) con continua ricerca di “ideotipi” che possano catturare l’attenzione del consumatore (rapporti diametrici, forma a goccia, etc.), ma i mercati locali italiani continuano a traboccare anche di varietà dalle forme e colori più disparati, altrettanto ricercati dagli appassionati di ricette regionali.
Quanto al colore, la priorità rimane sempre quella nel nero pieno, senza sfumature, per le varietà più diffuse, ma anche nei tipi violetti e bianchi si è lavorato molto per trovare variazioni cromatiche più accattivanti. Nel nord Europa, ad esempio, sono diventati ultimamente molto popolari anche i tipi striati.
Un ortaggio semplice e per molto tempo “snobbato”, dunque, ma che pare aver ritrovato una nuova giovinezza.
L’autore è di Ceres srl – Società di consulenza in agricoltura