Ai principi base che hanno guidato la realizzazione degli impianti di ciliegio verso l’alta densità – precoce produttività, facile governo dell’albero da terra e gestione del ceraseto meno onerosa – vanno oggi ad aggiungersi non meno importanti priorità, poco o niente considerate finora e mirate ad ottenere un efficiente binomio tra scelte tecnicamente corrette e risultati economicamente sostenibili. In sostanza, i nuovi ceraseti devono sapere rispondere al continuo rinnovamento varietale, adattarsi ai cambiamenti climatici, rendere possibile una riduzione degli interventi chimici, minimizzare i rischi ambientali, sapere sopperire alla minore disponibilità di manodopera qualificata e, non da ultimo, in grado di produzioni di qualità a costi accettabili per i diversi mercati.
L’approccio verso questo molteplice obiettivo è inevitabilmente articolato e complesso e apparentemente di non facile soluzione, poiché ogni scelta tecnica effettuata si ripercuote inevitabilmente sulle altre e, più in generale, su tutto il sistema frutteto. In questo contesto l’architettura della chioma e la gestione della potatura giocano un ruolo determinante per arrivare a questi traguardi.
Nel ciliegio, così come in altre specie, la formazione dell’albero è tradizionalmente legata a forme geometricamente ben definite, strutturate a palchi di diverso ordine ed età, secondo la forma. Inoltre, in impianti con forme in volume o ibride (es. fusetto) ogni albero è considerato elemento indipendente e questo crea soluzioni di continuità lungo il filare. Negli impianti intensivi o super intensivi, l’albero è invece pensato come porzione costitutiva di un filare continuo.
S’intende cioè creare una parete fruttifera, stretta e relativamente bassa, nella quale non sono più presenti soluzioni di continuità. Anche l’architettura dell’albero viene modificata, passando da strutture complesse a forme semplificate, monoasse o multiasse. Da un albero formato da una struttura primaria (tronco), una secondaria (branche) e una terziaria (rami che portano le formazioni a frutto) si passa ad un albero senza la struttura secondaria portante. In questo contesto, la forma di allevamento si è evoluta da semplice forma geometrica a forma funzionale agli obiettivi da raggiungere.
Monoasse o multiasse per impianti di ciliegio?
Gli impianti ad asse, singolo o multiplo, non sono certo una novità nel panorama frutticolo europeo. Vennero descritti all’inizio del ‘900 da Luis Lorette e proposti in alternativa ad altre forme, come la bandiera e la palmetta, per la costituzione di meleti e pereti a contro-spalliera. Più recentemente, sempre su pomacee, gli impianti ad asse hanno confermato di poter essere una valida alternativa al classico fusetto, apportando notevoli benefici in termini di qualità delle produzioni, perché meglio esposti alla luce, facilitando e rendendo meno onerose le operazioni di potatura e di raccolta, perché di taglia più bassa e struttura più semplice da ottenere e da gestire.
Nel ciliegio forme bidimensionali ad asse sono state introdotte solo recentemente e, a parte alcune importanti realizzazioni di impianti monocaule , le forme a più assi sono state finora poco o niente utilizzate, almeno nel nostro Paese. Le forme ad asse possono essere realizzate sia in parete che in volume con numeri di assi e densità di impianto variabili (Tab. 1). In generale, vale la regola che quanto più il terreno è fertile e maggiore è il vigore della combinazione varietà/portinnesto quanto più risulta conveniente aumentare il numero degli assi. In sostanza, variando il numero di assi da 1 (asse centrale) a 2-3 (biasse e triasse) o anche più (“UFO system” e KGB; Long et al., 2015) in relazione alla fertilità del terreno e al vigore del portinnesto, si riescono ad ottenere impianti molto simili tra loro anche in ambienti molto diversi e con varietà ad habitus vegeto produttivo differente.
Adattando al ciliegio quanto affermato da Dorigoni e Micheli (2017) su melo, con queste forme si potrebbe addirittura ipotizzare di fare produrre frutti solo su un tipo di formazione fruttifera: ad esempio, sui dardi inseriti direttamente sugli assi colonnari del vasetto multiasse (KGB) e del cordone permanente (UFO) oppure sulle gemme a fiore singole poste alla base dei rametti laterali portati dagli assi nelle forme ad asse colonnare singolo o nel bi-tri asse.
Tutto ciò premesso, negli attuali indirizzi nella cerasicoltura specializzata si propongono queste scelte:
1. con portinnesti nanizzanti (Gisela® 5) su terreni fertili e irrigui l’indirizzo è su modelli ad altissima densità di piantagione (5.000-6.000 alberi/ha) con forme in parete ad asse singolo come l’asse colonnare (o “Super Slender Axe”, SSA) o la forma a V in doppia parete. Con questi sistemi vengono raccomandate varietà fertili di buon vigore con habitus orientato verso la basitonia fruttigena e ottima predisposizione a ramificare lateralmente.
Le forme a monoasse così congegnate sono adatte a realizzare pareti fruttifere strette e limitate in altezza entro i 2-2,5m (ceraseti pedonali) rapide nella messa a frutto e in grado di garantire produzioni elevate e costanti con frutti di ottima qualità. Gli assi sono forme di allevamento semplificate, semplici da realizzare e gestire, sempre ben illuminate e molto efficienti dal punto di vista produttivo ed energetico. Grazie alla taglia ridotta e al sottile spessore delle pareti il sistema si adatta perfettamente all’utilizzo delle reti di protezione multifunzione (pioggia, grandine, insetti e uccelli) e può agevolare il ricorso ad interventi meccanici di diradamento fiorale e di potatura al verde. Le rese alla raccolta molto alte contribuiscono a ridurre ulteriormente i costi di gestione del ceraseto. L’elevato costo iniziale di investimento può essere ammortizzato in alcuni anni a patto che si riescano ad ottenere produzioni costanti (10-15 t/ha) e frutti di elevata qualità (calibri > 28mm). La durata di questi impianti, se ben gestiti, può arrivare a 12-15 anni.
2. Con portinnesti seminanizzanti (Gisela® 6, Piku® 1, Ceravium®) su terreni fertili e irrigui l’indirizzo è su modelli ad alta densità di impianto (1.000-1.400 alberi/ha) con forme in parete ad assi multipli, come il biasse (Bibaum®), il triasse (“trilling” e candelabro) e l’“Upright Fruiting Offshoots” UFO (Charlot, 2015; Della Betta et al, 2018; Long et al, 2013). Nei terreni più fertili ed in altura, almeno per il biasse, è possibile utilizzare soggetti nanizzanti (es. Gisela® 5).
Inoltre, in prove in corso in Michigan (US) su impianti a UFO e KGB sotto serra è stato impiegato il Gisela® 3, clone super-nanizzante, per queste forme sono raccomandate varietà molto produttive. La diversa gestione degli assi delle forme a due o tre assi rispetto al sistema UFO porta a dovere differenziare la scelta varietale in funzione dell’habitus vegetativo, che dovrà essere tendenzialmente basitono e sillettico per le prime (bi-triasse) ed acrotono e prolettico per il secondo sistema. Le forme ad asse multiplo sono molto precoci e produttive e consentono la realizzazione di ceraseti semi pedonali, con pareti molto strette e alte entro i 3-4 m, architetture delle chiome molto adatte ai sistemi di copertura “multitasking” e ben predisposte per le operazioni colturali meccanizzabili (diserbo meccanico, potatura al verde, diradamento fiorale). I costi di impianto sono piuttosto alti.
3. Con portinnesti vigorosi (es. Franco, Colt, MaxMa® 60) o semi-vigorosi (es. CAB6P, MaxMa® 14) la scelta va rivolta verso modelli a media densità di impianto (600-880 alberi /ha) con forme di allevamento in volume, come il vaso multiasse o il “Kym Green Bush” KGB.
Vengono preferite varietà ad elevata fertilità con habitus vegetativo assurgente meglio se accompagnato da scarsa attitudine sillettica (= ridotte o nulle ramificazioni laterali). Su terreni molto fertili e irrigui è possibile utilizzare soggetti seminanizzanti (es. Gisela 6) ottenendo così ceraseti semi pedonali caratterizzati da costi di impianto piuttosto contenuti, gestione degli assi relativamente semplice, buona qualità del prodotto e facilità di raccolta, almeno nei primi anni.
Tuttavia, rispetto alle forme ad asse in parete il vaso multiasse ha costi di gestione più alti, entra in produzione con 1-2 anni di ritardo, non è meccanizzabile nelle operazioni di potatura e di diradamento e, soprattutto nelle condizioni di maggiore vigoria, non facilmente adattabile e pienamente idoneo alla installazione di sistemi di copertura con teli antipioggia e reti antinsetto, se non con teli piani e reti a monoblocco perimetrali. I costi di impianto e di gestione, senza coperture, sono relativamente bassi.
Forme a parete multiasse: il candelabro
Il passaggio da un albero singolo monoasse ad uno a più assi comporta una progressiva riduzione del vigore negli anni con un effetto nella crescita e nella predisposizione a frutto degli assi paragonabile a quello indotto da un portinnesto poco vigoroso. Dunque, abbinando l’effetto nanizzante del portinnesto a quello derivante dalla ripartizione dell’albero su più assi, su terreni fertili si potrebbe ottenere una parete di dimensioni relativamente contenute in altezza e spessore, semplice da realizzare, precoce/produttiva/efficiente, ottimamente illuminata, facilmente adattabile ai sistemi di copertura monofila/multifunzionali e ben predisposta alla meccanizzazione di alcune operazioni colturali.
A questo fine è stata impostata una prova, sperimentale e dimostrativa, presso il Centro didattico di Cadriano mettendo a confronto su due portinnesti (Gisela® 6 e Piku® 1) le sei varietà della serie Sweet® (Aryana, Lorenz, Gabriel, Valina, Saretta e Stephany) e Marysa insieme ad alcune varietà scelte come testimoni.
Piantine in vasetto dell’età di sei mesi dei portinnesti nanizzanti Gisela® 6 e Piku® 1 sono state messe a dimora nel febbraio 2013 con un sesto di 4,0 m tra le file e 1,5 m sulla fila corrispondente ad una densità di 1.660 piante per ettaro e successivamente innestate a “chip budding” nell’agosto dell’anno successivo (2014). A marzo 2015 il soggetto è stato tagliato sopra il punto di innesto. Sul germoglio in fase di sviluppo è stata effettuata una prima cimatura al verde in giugno ripetuta, quando necessario, due mesi dopo. Al termine del primo anno dall’innesto l’albero, che per età era paragonabile ad un astone da vivaio preformato, era rappresentato da: un asse centrale alto 150-180 cm provvisto in media di 5-6 rami laterali lunghi ognuno circa 100-130 cm.
Formazione della struttura a tre assi - primo anno (2016)
A fine inverno 2016 si è provveduto alla scelta dei tre assi per costituire la struttura primaria del candelabro. La scelta ha optato per l’asse centrale più due rami laterali contrapposti scelti tra quelli più vigorosi, disposti più o meno alla stessa altezza e posizionati in modo parallelo alla direzione del filare. Tutti gli altri rami presenti sulla pianta sono stati eliminati con un taglio a raso in corrispondenza del punto di inserzione dell’asse. L’asse centrale è stato poi legato al secondo filo in posizione verticale, mentre i due rami laterali sono stati legati al primo filo in posizione orizzontale per un tratto di 40 cm poi ripiegati verticalmente ad una distanza di 50 cm dall’asse centrale e legati direttamente o indirettamente al secondo filo. Nello stesso periodo, tutti gli altri rami anticipati eventualmente presenti sui tre assi sono stati eliminati. Durante la stagione primaverile estiva, da marzo a ottobre, i tre assi sono stati lasciati crescere verticalmente senza nessun intervento di potatura al verde. In autunno sono stati eliminati tutti i germogli laterali presenti sui tre assi. Alla fine del secondo anno dall’innesto l’asse centrale misurava in media 300-350 cm di altezza, mentre i due assi laterali erano lunghi in media 250-300, secondo il vigore del portinnesto e della varietà. L’impianto si presentava così formato: un asse verticale già impostato ogni 50 cm, tre assi per pianta, 5000 assi per ettaro, ottenuti da “sole” 1660 piante. Nelle varietà più fertili, nella porzione distale dell’asse centrale, in alcuni casi anche nei due laterali, erano presenti alcuni dardi fioriferi che avrebbero poi generato una prima piccola produzione di ciliegie già al secondo anno.
Rivestimento degli assi - secondo anno (2017)
Gli interventi effettuati a fine inverno avevano lo scopo di stimolare l’apertura delle gemme, favorire l’emissione di nuovi germogli anticipati e ampliare l’angolatura degli stessi. Alfine di ottenere una ramificazione laterale distribuita uniformemente lungo ogni asse verticale, allo stadio di gemma gonfia (stage 3). Per ogni asse sono stati scelti tre settori equidistanti su cui si è poi intervenuto con incisioni sopra gemma e applicazione localizzata di un fitoregolatore specifico a base di gibberelline A4 e A7 e benziladenina. Tutti i germogli laterali fuoriusciti sono stati lasciati crescere liberamente fino a fine agosto. A inizio settembre si è provveduto alla scelta dei laterali definitivi eliminando quelli mal posizionati o concorrenti e quelli che presentavano un angolo d’inserzione chiuso. Contemporaneamente sono stati eseguiti interventi di potatura verde sui germogli laterali con raccorciamento di un terzo della loro lunghezza. Scopo di questo intervento era di favorire la maturazione delle gemme basali dei germogli dell’anno, già indirizzate a fiore. Da settembre fino a caduta foglie sono stati interrotti gli apporti idrici e nutrizionali. Alla fine del secondo anno la struttura era completa, con gli assi cresciuti alla altezza definitiva (± 350-400 cm da terra) e rivestiti lateralmente ognuno con 15-20 rami a frutto di media. Inoltre, nelle porzioni apicali e mediane degli assi era iniziata la formazione di dardi fioriferi.
Potatura di produzione - terzo anno (2018)
A febbraio è iniziata la prima potatura di produzione, eseguita speronando tutti i rami laterali a 20-30 cm e con lunghezze via via decrescenti dalla parte basale dell’asse verso la cima. Sui laterali che non raggiungevano una lunghezza sufficiente è stata asportata la sola gemma apicale. La conformazione della chioma può ritenersi definitiva. Gli interventi di potatura verde di fine estate verranno meccanizzati così come quelli di diradamento fiorale a partire dal quarto anno (2019) su alberi già in piena produzione.
Stima del potenziale produttivo degli impianti di ciliegio
Ipotizzando una allegagione sviluppo di 6-8 frutti per ramo speronato, aventi calibro medio finale di 28-30 mm (peso di 14-15 g), le produzioni attese al terzo anno dovrebbero attestarsi dai 4 ai 7 kg per albero secondo la varietà e il portinnesto. Aggiungendo a queste la quota frutti portati dai giovani mazzetti posti nelle porzioni mediane e terminali degli assi (da 2 a 4 kg/alb) le rese al terzo anno di un impianto a triasse potrebbero ragionevolmente oscillare, in media, da 80 a 120 q/ha. Negli anni successivi, a partire dal quarto anno, le produzioni dovrebbero stabilizzarsi intorno ai 150-180 q/ha. Questi valori sono in linea con quanto ottenuto a parità di età e densità di assi/ha, in impianti monoasse con le medesime varietà.
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