Nonostante sia ormai trascorso più di un secolo dal riconoscimento delle proprietà fungicide e batteriostatiche del rame, i composti di questo metallo vengono ancora oggi utilizzati con successo per la difesa delle colture, specialmente in agricoltura biologica, dove risulta indispensabile per una protezione efficace. Inoltre, l’attività fungicida del rame si esplica attraverso un meccanismo d’azione multi sito, che ha evitato nonostante tutti questi anni di utilizzo, la selezione di ceppi patogeni resistenti.
Tuttavia nel corso degli ultimi dieci anni, le ricerche hanno messo in evidenza anche alcune sue caratteristiche negative. Il rame infatti è un metallo pesante, che si accumula nel terreno e, oltre una determinata concentrazione, è in grado di ridurre la quantità di sostanza organica presente nel terreno, con ripercussioni sia sulle piante che sui microorganismi che vivono nel suolo agricolo.
Soprattutto, nei Paesi del nord Europa, proprio per queste sue caratteristiche negative di accumulo nei loro terreni e per la sua tossicità sull’uomo, sono sorte col tempo, perplessità sul suo utilizzo e portato in sede comunitaria, alla pubblicazione del Reg. (CE) 473/2002 con il quale si limita, in agricoltura biologica, l’impiego dei prodotti rameici fino a 6 kg di rame metallo/ ha all’anno o complessivamente 30 kg/ha in cinque anni. Inoltre, nell’ambito della revisione europea dei prodotti fitosanitari e dell’armonizzazione dei residui (Reg. CE 396/2005), si è assistito negli ultimi due anni in Italia, alla revisione delle etichette di tutti i formulati rameici commercializzati, che hanno portato in molti casi ad una riduzione dei campi di impiego dei prodotti rameici.
Nelle strategie di difesa delle colture arboree i prodotti rameici vengono principalmente impiegati nel periodo di riposo vegetativo che va dalla caduta foglie in autunno a prima della ripresa vegetativa. In questo periodo si tende, pertanto, a proteggere il più lungo possibile la vegetazione con applicazioni rameiche a dosaggi elevati, cosa che non può essere effettuata in primavera, in virtù della fitotossicità dello ione rame su numerose colture arboree da frutto. Inoltre, in questa fase di rapido accrescimento vegetativo, sarebbe opportuno trattare con una cadenza più ravvicinata per rinnovare la protezione sui germogli appena formatisi. Infine, è importante notare che, fra i prodotti fitosanitari ammessi in Italia, il rame è tuttora il solo in grado di possedere una attività antibatterica che viene in genere sfruttata per il contenimento di importanti avversità come il colpo di fuoco batterico sulle pomacee o la maculatura batterica sulle drupacee.
Nella coltivazione di pesco, ciliegio, albicocco e susino i trattamenti autunnali e primaverili di rame sono particolarmente efficaci nel contenimento degli attacchi di corineo (Coryneum beijerinkii). Il fungo infatti si perpetua sulle lesioni prodotte sui rami dell’anno e in primavera sporula abbondantemente infettando foglie e frutti.
Drupacee, l’espansione di cancri e maculatura
Gli stessi trattamenti sul pesco sono in grado anche di contrastare la bolla (Taphrina deformans) nella sua fase saprofitaria di colonizzazione della pianta, prima della rottura delle gemme a legno all’inizio della primavera. In questo periodo, la dose di 200 g/hl di rame metallo è in grado proteggere adeguatamente la coltura.
Su pesco e susino, poi, il rame può essere impiegato per contenere le infezioni di nerume, un’avversità che si sta riproponendo in questi ultimi anni con sempre maggiore intensità. Cladosporium carpophylum, l’agente causale di nerume sulle drupacee, come il corineo, sverna preferenzialmente sulle lesioni prodotte nel corso dell’anno sui rametti. I piccoli cancri che qui si formano, se non vengono eliminati con una attenta potatura, fungono da fonte di inoculo nella primavera successiva sporulando abbondantemente non appena la temperatura media supera stabilmente i 15°C e le piante entrano nella fase suscettibile di “scamiciatura”.
Al momento si sta indagando sulla efficacia del rame nei confronti degli organi di svernamento de fungo, sia nella fase autunnale che alla fine dell’inverno, prima della ripresa vegetativa. Su albicocco in regime di coltivazione biologica, il rame trova una sua ulteriore ragione di utilizzo in primavera, per il contenimento della maculatura rossa, causata da Apiognomonia erythrostoma.
La malattia prende avvio dalle ascospore rilasciate da periteci formatisi sulle foglie cadute a terra l’anno precedente, in corrispondenza di piogge che cadono nella fase dell’allungamento dei giovani germogli. Trattamenti rameici, meglio se nella forma idrossido, eseguiti preventivamente e il più a ridosso possibile (entro 24 ore) delle piogge infettanti sono in grado di ridurre il potenziale infettivo della malattia entro livelli economicamente accettabili.
Insidia batteriosi nel biologico
Per le drupacee coltivate biologicamente, poi, il rame rimane un principio attivo fondamentale nelle strategia di difesa anticrittogamiche, così come risulta fondamentale anche in frutticoltura integrata, nel caso si voglia contrastare la maculatura batterica (Xanthomonas arboricola pv pruni), importante avversità che sta cominciando ad interessare anche gli impianti più giovani.
Anche in questo caso, le vie di penetrazione preferenziali del fungo all’interno della pianta sono rappresentate dalle cicatrici fogliari che si infettano durante la caduta delle foglie. Tuttavia, anche in primavera, in corrispondenza di un range termico di 14-19° C e prolungati periodi di bagnatura (almeno 3 giorni) in seguito a nebbie persistenti o piogge, il batterio è in grado di produrre infezioni sia su foglie che frutti. Le numerose esperienze sperimentali svolte in Emilia-Romagna negli ultimi anni ormai confermano che il rame è il punto di riferimento per contrastare questa malattie batterica, sia applicandolo in autunno e a fine inverno, ma anche in primavera quando si verificano le suddette condizioni climatiche favorevoli all’infezione purchè applicato a basse dosi (40 g/hl di rame metallo) per scongiurare fenomeni di fitotossicità.
Pomacee, nuove strategie contro la ticchiolatura
Nella coltivazione delle pomacee il rame viene utilizzato nella fase di rottura delle gemme in primavera sia per contrastare gli agenti di cancri rameali (Nectria galligena) e dei disseccamenti rameali (Phomopsis ramorum e Sphaeropsis mali) sia per combattere le prime infezioni di ticchiolatura.
Contro i cancri e disseccamenti rameali, il rame deve essere poi impiegato nuovamente in autunno, all’inizio della caduta delle foglie per proteggere le cicatrici di caduta fogliare, possibili vie di penetrazione dei funghi patogeni.
Di particolare interesse, riveste ancora il rame per contenimento del colpo di fuoco batterico (Erwinia amylovora), anche quando applicato a basso dosaggio (50 g/hl di rame metallo). Su pero, applicazioni di rame allo stesso dosaggio sono risultati efficaci anche nel contrastare le infezioni di maculatura bruna (Stemphylium vesicarium).
Nel caso di frutteti coltivati in regime biologico, il rame, insieme al polisolfuro di calcio, risulta fondamentale nel contenere le infezioni di ticchiolatura (Venturia inaequalis e V.pyrina) a patto che i trattamenti vengano eseguiti preventivamente, e con una cadenza più ravvicinata nella fase primaria ascosporica. Interessanti poi sono i risultati delle ultime attività sperimentali svolte sia in Trentino (su melo) che in Emilia-Romagna (su pero) dove il rame, utilizzato anche a basse dosi e miscelato allo zolfo, è risultato avere una efficacia pari e, a volte, anche superiore a quella del Polisolfuro di calcio.
Formulati più solubili (ma anche dilavabili)
Il rame pertanto rimane un principio attivo importante in produzione integrata sia da solo, quando usato nel contenimento delle avversità batteriche, ma anche impiegato in miscela come partner in miscela con altri fungicidi chimici di sintesi, nell’ottica di strategie di difesa antiresistenza. In frutticoltura biologica, il suo impiego diventa poi indispensabile.
La limitazione ai quantitativi impiegabili di ione rame imposti dal regolamento europeo, rende tuttavia oggi necessario ottimizzarne sia le dosi che le epoche di applicazione in funzione del reale rischio infettivo (le nuove conoscenze epidemiologiche degli agenti patogeni e la messa a punto di modelli previsionali sono un valido aiuto per tecnici ed agricoltori), tenendo inoltre conto della potenziale fitotossicità che notoriamente i prodotti rameici hanno sulle colture più sensibili.
Questa necessità ha portato, da un lato, al miglioramento dei formulati rameici tradizionali, dall’altro alla messa a punto di formulazioni innovative dove lo ione rame viene “complessato” da sostanze di diversa natura. Ciò porta ad avere una maggiore solubilità e prontezza di rilascio degli ioni rame, mantenendo una notevole efficacia anche a dosi molto basse.
Dall’altra parte questa caratteristica, li rende particolarmente soggetti ad un rapido dilavamento ed ad una conseguente scarsa persistenza. Fra i prodotti rameici tradizionali, gli idrossidi sono quelli che mantengono una buona efficacia anche se applicati a basse dosi, in quanto anche’essi rilasciano ioni rame più velocemente. Risultano tuttavia meno persistenti se rapportati ad altre forme di rame meno solubili come gli ossicloruri e gli ossidi.
La conoscenza delle caratteristiche delle diverse forme rameiche unitamente alla conoscenza dei momenti di maggior rischio epidemico sono fondamentali per l’utilizzo di questo metallo nelle diverse strategie di difesa anticrittogamica delle colture frutticole.
L’autore è del Servizio Fitosanitario – Regione Emilia-Romagna