Ridurre la plastica nella filiera frutticola dal campo alla tavola

Pacciamatura con Mater Bi
Pacciamature, reti di copertura, manichette per l’irrigazione, packaging. Le soluzioni alternative all’attuale utilizzo e gestione dei materiali polimerici

In frutticoltura le principali applicazioni dei materiali polimerici in campo riguardano le pacciamature, le reti antigrandine, i sistemi multifunzionali antipioggia e antinsetto, le reti ombreggianti e le manichette per l’irrigazione.

I vantaggi legati al loro utilizzo sono numerosi e vanno dalla creazione di condizioni microclimatiche favorevoli, all’effetto barriera per gli insetti dannosi (es. cimice asiatica, drosophila, carpocapsa) fino ad arrivare al migliore utilizzo dei nutrienti (acqua compresa) e alla ridotta esposizione delle colture agli agenti climatici.

Il problema generato dall’impiego di questi materiali si presenta a fine vita in quanto se non smaltiti correttamente possono produrre impatti ambientali negativi che coinvolgono l’intero ecosistema.

Il packaging

Altro segmento della filiera in cui si fa largo uso di materiali plastici è il confezionamento. Il panorama dei materiali utilizzati per il packaging della frutta è piuttosto variegato: es. cestini trasparenti con o senza coperchio, vassoi e vaschette con film termosaldato, reti per agrumi.

La vita media di questi imballi è, tuttavia, piuttosto breve: dal momento in cui i prodotti vengono confezionati a quando sono smaltiti passano pochi giorni. Questo significa che gli imballaggi diventano rapidamente rifiuto o scarto in funzione delle modalità di smaltimento previste o prevedibili.

Razionalizzare l’uso delle plastiche convenzionali per il confezionamento della frutta diventa pertanto un fattore imprescindibile, oggetto anche di interesse da parte della Ue all’interno del Green Deal.

Nell’ambito del progetto “Strategie per la riduzione e la razionalizzazione dell’uso delle plastiche nella filiera frutticola” finanziato dal PSR della Regione Emilia-Romagna, Rinova e Astra, insieme alle Università di Bologna (Ciri Frame) e Modena Reggio Emilia (Biogest-Siteia) e alle OP Apofruit e Granfrutta Zani, hanno condotto una ricerca volta a studiare soluzioni alternative all’attuale utilizzo e gestione dei materiali polimerici nella filiera frutticola, per migliorarne la sostenibilità in un’ottica di economia circolare.

Di seguito alcuni tra i principali risultati presentati al Macfrut 2023.

Pacciamatura a base amido

Se non correttamente gestita a fine ciclo, la plastica dei teli di pacciamatura può generare un impatto ambientale negativo sulla qualità del suolo. Per le difficoltà, i tempi e gli elevati costi, infatti, le attuali modalità di rimozione dei film di pacciamatura spesso producono quantità notevoli di residui plastici che rimangono nel suolo e si disperdono nell’ambiente.

Tra le alternative oggi disponibili troviamo i teli di pacciamatura realizzati in materiale (bio-)plastico biodegradabile/compostabile che trova in questa specifica applicazione molteplici benefici, inclusi un minore impatto ambientale se lasciato nel terreno e un possibile ritorno di carbonio per biodegradazione nel suolo stesso.

Al fine di verificare gli effetti derivanti dall’impiego della pacciamatura in Mater-Bi, una bioplastica biodegradabile e compostabile prodotta dalla Novamont, è stata condotta da Astra Innovazione e Sviluppo una prova su fragola cultivar Elodì mettendo a confronto questo materiale (spessore 0,03 mm, L = 1 m), con una pacciamatura realizzata con film plastico convenzionale (spessore 0,06 mmm, L = 1 m) a base di polietilene a bassa densità (Ldpe). La prova è stata condotta utilizzando sia la tecnica di coltivazione biologica che convenzionale/integrata.

Dai risultati dei rilievi produttivi e fitosanitari in campo (tabella 1) e dalle analisi qualitative di laboratorio sui frutti (tabella 2) non sono emerse differenze significative tra le due tipologie di pacciamatura, né per quanto riguarda la produzione commerciale né la qualità dei frutti raccolti, sia in coltura convenzionale/integrata sia in biologico.

In entrambi i casi la pacciamatura in Mater-Bi è stata, inoltre, in grado di mantenere la copertura del suolo fino alla fine del ciclo produttivo mostrando anche un efficiente controllo delle infestanti, al pari della pacciamatura con film in Ldpe. Solo in alcuni punti si sono evidenziati piccoli cedimenti del film che non ne hanno comunque inficiato l’effetto pacciamante complessivo.

Sul piano della sostenibilità, i risultati dello studio condotto da Augusto Bianchini e Jessica Rossi, dell’Università di Bologna, hanno evidenziato che nella situazione degli ultimi anni (dati 2021) i teli di pacciamatura in Mater-Bi hanno costi comparabili con quelli della plastica tradizionale, considerati i costi d’acquisto e smaltimento dei film in Ldpe e anche perché è possibile utilizzare materiale di minore spessore. Dal punto di vista ambientale, in base alla letteratura oggi disponibile, non è invece ancora possibile definire in modo chiaro e quantificato l’impatto ambientale delle due soluzioni: Ldpe e Mater-Bi.

Un gruppo di ricerca dell’Unibo ha realizzato uno studio per testare un sistema di gestione delle reti antigrandine/antinsetto arrivate a fine vita al fine di favorirne il riciclo e riuso

Riciclare le reti antigrandine e antinsetto

Per quanto riguarda le reti antigrandine/antinsetto, la plastica convenzionale riveste ancora un ruolo fondamentale e difficilmente sostituibile, in quanto combina elevate caratteristiche prestazionali come la resistenza agli urti e alla deformazione, durata e resistenza idonee all’esposizione climatica, facilità di lavorazione e basso costo, rispetto ad altri materiali.

Per cercare di ridurre l’impatto della plastica in questa applicazione, il gruppo di ricerca “Materiali polimerici e composti” dell’Ateneo bolognese, coordinato da Loris Giorgini, ha realizzato uno studio volto a testare un sistema di gestione a fine vita delle reti antigrandine/antinsetto al fine di favorirne il riciclo e riuso, a scapito di termovalorizzazione e discarica, secondo i principi dell’economia circolare.

A tal fine sono stati presi in considerazione cinque diversi campioni di reti antigrandine in Hdpe di diverso colore, di cui tre non usate (tenute in magazzino da 5 anni) e due usate in campo per 10 o 15 anni. In seguito a specifiche e complesse procedure sono stati ottenuti diversi tipi di materiali e in particolare fili da impiegare in stampanti 3D (in figura 1 è riportato lo schema dei processi proposti e dei materiali ottenuti).

Processo di riciclo delle reti antigrandine

I risultati dei test svolti dimostrano che i processi impiegati (granulazione, estrusione, termoformatura e stampa 3D), necessari per il riciclo meccanico delle reti, non degradano il materiale di partenza. Pertanto le reti riciclate possono ritrovare applicazioni in frutticoltura in sostituzione del Hdpe vergine. Il processo di filatura per estrusione e la successiva stampa in 3D, tuttavia, necessitano di essere ottimizzati mediante l’utilizzo di estrusori industriali più performanti e stampanti a granuli, oltre che a filamento.

Packaging alternativo alla plastica convenzionale

Il dibattito legato agli imballaggi nel settore alimentare sta animando un’ampia discussione tra gli addetti, oltre che una creativa ricerca sui materiali disponibili, sulle loro proprietà tecniche, e sulla loro attitudine o meno a essere riciclati.

Il fine vita degli imballaggi per alimenti assume una particolare importanza per quei prodotti caratterizzati da una limitata shelf life, come la frutta IV gamma. Il materiale che compone un imballaggio per prodotti semilavorati (cubetti, fette o semplici acini di uva sgrappolata) definiti appunto di IV gamma, devono avere caratteristiche tecniche specifiche pur andando a costituire rapidamente nell’arco di pochi giorni un rifiuto avendo concluso la propria vita commerciale.

In tale contesto, il gruppo di ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia, coordinato da Patrizia Fava, in collaborazione con i tecnici di Apofruit, ha approfondito alcuni aspetti tecnici e merceologici con lo scopo di valutare la capacità di mantenere gli indici qualitativi dell’uva di IV gamma impiegando packaging realizzati con materiali alternativi alla plastica tradizionale.

Sono state testate e confrontate le prestazioni di tre differenti tipologie di imballaggi:

  1. un bicchiere in Pet riciclato (R-Pet), chiuso con coperchio ad incastro;
  2. una vaschetta di carta ricoperta da uno strato barriera idoneo al contatto alimentare, chiusa con film di cellophane;
  3. una vaschetta in acido polilattico (Pla) chiusa con coperchio ad incastro.

Gli imballaggi sono stati testati su due varietà differenti di uva bianca da tavola (Melanie e Sugar Crisp). L’uva utilizzata durante la sperimentazione è stata sottoposta al normale ciclo di lavorazione previsto per questo tipo di prodotto. Nel corso della conservazione, i campioni sono stati mantenuti alla temperatura di 7 °C e contestualmente sottoposti a diversi controlli analitici.

Nel complesso, il calo peso del prodotto sgrappolato è stato molto contenuto (1-3%) con risultati maggiormente performanti per le confezioni in carta e in Pla. Gli altri parametri qualitativi monitorati (dolcezza acidità, durezza e croccantezza degli acini) hanno evidenziato una dinamica prevedibile, che tuttavia non distingue la diversità delle confezioni a confronto.

Il controllo della componente gassosa interna è stato effettuato nell’unica tipologia di packaging ipoteticamente chiusa ermeticamente, ovvero quelle in carta, al fine di verificare l’eventuale sviluppo di atmosfere potenzialmente dannose per il prodotto. I risultati ottenuti evidenziano che non si è verificato accumulo di CO2 e la composizione dell’atmosfera si è mantenuta simile a quella esterna durante tutto il periodo di conservazione.

Al termine del periodo di conservazione, tutti i campioni analizzati nel tempo hanno riportato una carica microbica inferiore ai limiti di legge, risultando pertanto idonei al consumo. Le analisi sensoriali effettuate, infine, non hanno evidenziato alcuna differenza significativa tra i prodotti contenuti nei diversi imballaggi, sottolineando una generale accettabilità di tutti i prodotti da parte dei panelisti.

Importanza del riciclo per ridurre l’impatto ambientale

Alcune delle tematiche affrontate prendono in considerazione un particolare aspetto della sostenibilità, quello del riciclo, ovvero la possibilità di impiegare materiali a basso impatto e riconducibili ad un processo di recupero.

La materia è indubbiamente complessa, condizionata da luoghi comuni e da interessi economici dei quali si può solo immaginare la portata. Affermare che è necessario ridurre l’impiego delle plastiche e che, parimenti, è altrettanto stringente offrire maggiore spazio a possibili alternative, appare talmente scontato da sembrare banale.

Le attività brevemente descritte non hanno la pretesa di esaurire le tematiche affrontate; sono tuttavia emblematiche dei margini di manovra che la tecnologia e la ricerca mettono a disposizione.

Leggi l'articolo pubblicato sulla rivista di Frutticoltura e Ortofloricoltura n.7/2023

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Ridurre la plastica nella filiera frutticola dal campo alla tavola - Ultima modifica: 2023-09-20T10:00:56+02:00 da Elena Barbieri

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