Morìa dell’actinidia, un aiuto può darlo il portinnesto

morìa actinidia
Per fronteggiare il problema della morìa dell'actinidia andranno senz’altro riviste le pratiche agronomiche per la gestione dell’intero frutteto, ma nel frattempo continua la ricerca di portinnesti resistenti a terreni pesanti e a condizioni critiche

A causa della morìa dell'actinidia, le aziende si trovano in un momento di forte difficoltà, sia dal punto di vista produttivo sia da quello decisionale. Per il futuro andranno senz’altro riviste le pratiche agronomiche per la gestione dell’intero frutteto, ma nel frattempo continua la ricerca di portinnesti resistenti a terreni più pesanti e a situazioni critiche. «Noi ci stiamo muovendo in più direzioni – spiega Pericle Simeoni, dell’omonima azienda produttrice di piante di actinidia –. In particolare, stiamo testando due nuovi portinnesti: il Bounty 71 e il Sim 1».

 

Bounty 71 e Sim 1, le caratteristiche

«Questi due portinnesti – continua Simeoni - dovrebbero favorire la pianta nel contrastare il fenomeno della morìa grazie a un apparato radicale che esplora il terreno più in profondità rispetto all’Hayward, che avendo un apparato radicale più superficiale sente subito sia l’eccesso di umidità sia la mancanza.morìa actinidia

Il Bounty 71 è stato testato sia in Italia sia in Nuova Zelanda e si adatta bene in zone difficili, l’unica pecca è la scarsa affinità d’innesto che stiamo cercando di risolvere con la tecnica del microinnesto in laboratorio. Mentre il Sim1, che ho selezionato personalmente, scandaglia il terreno veramente molto in profondità e ha un legno facilmente innestabile e con ottima vigoria. Ho grande fiducia, ma al momento siamo ancora a livello di vivaio e sono necessarie ulteriori prove.

morìa actinidia

Accanto a questo nuovo panorama, continua la produzione di piante a radice nuda e in vaso di piede diretto di Hayward, perché sono convinto che molte zone possono continuare a produrre dell’ottimo kiwi senza particolari problematiche. Pensiamo per esempio all’Emilia-Romagna dove l’acqua per l’irrigazione è sempre stata ben razionalizzata, lì si produce Hayward su terreno baulato senza difficoltà.

I nuovi portinnesti potrebbero rappresentare una strategia in quei territori, come il veronese e la provincia di Latina, dove, a causa dell’abuso della risorsa idrica, i terreni sono in una condizione di asfissia permanente».

Tecniche di gestione dell’actinidieto

«Un buon portinnesto può senz’altro dare una mano, ma resta comunque necessario rivedere le tecniche di gestione dell’actinidieto. Sulla base della mia esperienza ritengo che ci siano alcune determinanti ricorrenti sulle quali intervenire:

1. L’uso errato di fitofarmaci

Dopo l’avvento del Psa si è un po’ abusato di questi prodotti, ma l’accanimento con i trattamenti, oltre a colpire i patogeni, debilita anche la pianta e le autodifese. Rompendo così un equilibrio naturale.

2. Il compattamento del terreno

Il calpestio con terreni umidi nel periodo di raccolta è micidiale. In questo periodo infatti si entra in campo con macchine per la movimentazione dei cassoni di raccolta che sono più larghe rispetto ai trattori per le lavorazioni. Le ruote quindi vanno a calpestare il terreno in una porzione molto vicina alla pianta, quella dove c’è la maggior parte dei fasci radicali che in questo modo vengono frantumati. In presenza di terreno umido e di una ridotta, se non assente, assunzione radicale da parte della pianta, i capillizzi iniziano un processo di marcescenza che si estende e risale attraverso i cordoni conduttori delle radici. In assenza delle foglie che segnalano una situazione di carenza la pianta arriva in primavera con i capillari radicali completamente deteriorati senza possibilità di accorgercene. Al momento del risveglio vegetativo la pianta attinge alle risorse interne e avanza con il germogliamento senza manifestare particolari problemi. Tuttavia, in pre e post fioritura, quando inizia il periodo di maggior fabbisogno di energie, iniziamo a osservare il crollo. L’apparato radicale, infatti, non è più in grado di sostenere le esigenze della pianta. A questo si aggiunge anche il cambio di stagione, in quanto in presenza di temperature troppo elevate si blocca la traspirazione delle foglie, che possono così assumere un aspetto appassito. Sintomo che spesso viene erroneamente associato alla mancanza d’acqua e per cui spesso si procede con una bagnatura del terreno che, in presenza di radici marcescenti, non fa che peggiorare la situazione.

3. L’eccesso idrico

Se si procede con l’irrigazione senza un buon motivo, ovvero senza aver verificato il contenuto idrico del terreno o la reale necessità della pianta, si rischia l’accumulo di acqua in falda, raggiungendo la capacità di campo la parte superiore del terreno non riesce a drenare e l’apparato superficiale rimane in condizioni di asfissia. È fondamentale entrare in campo, vangare il terreno e prendere la terra in mano. Se si “stampa” non c’è bisogno di irrigare. Un metodo non innovativo ma sempre efficace.

4. Gestione errata dell’impianto

È importante adottare alcune buone pratiche agronomiche sin dalla messa a dimora di un nuovo impianto. Ecco alcuni consigli: fornire sostanza organica in pre aratura (mai a contatto con le radici), fare una disinfezione preventiva (soprattutto in caso di ristoppio. Ancora meglio sarebbe lasciare il campo libero per uno o due anni, eradicare completamente le radici e fare un sovescio), lavorare bene il terreno asciutto, baulare prima di piantare, mettere a dimora delle piante a un livello superiore al piano di campagna, irrigare in modo molto controllato il primo e il secondo anno (il fabbisogno idrico di una pianta in allevamento è molto inferiore a quello di una pianta in produzione) e ridurre gli ingressi in campo e il calpestio.


Morìa dell'actinidia: un quadro complesso

La situazione è preoccupante per la difficoltà nel comprendere bene le cause del fenomeno e per la diffusione che sta avendo. La sintomatologia è tipica di piante con problemi di asfissia radicale. Le piante mostrano ridotta attività vegetativa, accrescimenti stentati e avvizzimenti dei germogli con successivi disseccamenti di parti di pianta. Talvolta le piante sopravvivono stentate e ricacciano in autunno, ma spesso è l’intera pianta a collassare. I sintomi più evidenti si notano, tuttavia, nell’apparato radicale, che presenta sviluppo limitato e superficiale, spesso confinato nelle vicinanze del tronco, assenza di nuovo capillizio, marcescenza diffusa delle radici più grosse, che presentano il distacco della corteccia, che si sfila dal midollo. La malattia compare inizialmente in aree limitate dell’actinidieto, spesso in zone caratterizzate da ristagni d’acqua, ma col passare del tempo l’area compromessa si allarga interessando zone sempre più ampie dell’impianto.

Gli ultimi dati disponibili (tratti dalla rivista di Frutticoltura n. 7/2020) dicono che in Italia la malattia ha interessato finora oltre 3.000 ha (il 12% dell’intera superficie italiana coltivata ad actinidia), ma stime di quest’anno delineano un quadro ben peggiore con circa il 27% degli actinidieti (6834 ha) italiani compromessi. La provincia di Verona è stata la prima a segnalare il problema nel 2012, attualmente 2.000 ha su un totale di 2.382 (84%) presentano il fenomeno, seguono Piemonte (2754, 66%) e Lazio (2000, 20%).

Morìa dell’actinidia, un aiuto può darlo il portinnesto - Ultima modifica: 2020-11-20T10:38:55+01:00 da Sara Vitali

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