Quando l’actinidia è stata introdotta in Italia dalla Nuova Zelanda, passando per la California, era nota per essere sensibile e delicata (vento, luce e terreni clorosanti costituivano un limite), ma, soprattutto, la vulgata più comune era “è una coltura che richiede tanta acqua”. E, in effetti, se confrontiamo la piovosità media dei due Paesi, soprattutto in estate, ci accorgiamo subito della differenza: in Italia piove molto meno, quindi bisogna irrigare. E tanto! Fin da subito, l’approccio tecnico è stato volto a ridurre al minimo le carenze idriche. Però, se studiamo la fisiologia di questa pianta, ci accorgiamo subito di un’altra caratteristica: è anche molto sensibile al ristagno idrico. Lo sa bene chi coltiva il kiwi in pianura, nelle zone di bonifica: se il terreno non è ben drenato e non si fa attenzione agli eccessi irrigui, le piante vanno subito in sofferenza. E poi c’è la recente e traumatica esperienza della Kiwifruit Vine Decline Syndrome o Kvds (la cosiddetta morìa) connessa, nella gran parte dei casi, con ristagni o destrutturazioni del suolo legate all’eccesso di acqua piovana o irrigua. Questo ha imposto un cambiamento nella gestione dell'irrigazione del kiwi.
Come gestire l'irrigazione del kiwi
Con l’avvento della Kvds abbiamo imparato a guardare con apprensione gli eventi climatici estremi che si stanno verificando sempre più spesso negli ultimi anni. Stiamo assistendo a piogge abbondanti e concentrate in pochi giorni (nell’autunno del 2019 nel Lazio sono piovuti, in pochissimi giorni, circa 350 mm di pioggia; in Emilia-Romagna, nelle alluvioni di maggio 2023 sono caduti 340 mm in pochissimi giorni); ondate di caldo prolungate e ripetute durante l’estate, gelate tardive e grandinate abbondanti e frequenti stanno mettendo in crisi le nostre piante e, alla luce di quanto detto prima, una pianta sensibile come l’actinidia, dovrebbe essere praticamente condannata a estinguersi. Tuttavia, abbiamo osservato che, a parità di condizioni climatiche, territoriali e di varietà, ci sono impianti che continuano a prosperare e produrre ottimamente e impianti che collassano in maniera repentina. Come mai? Dove passa la linea d’equilibrio tra le due situazioni?
Da tempo Zespri sta investendo risorse nella ricerca scientifica, sostenendo ricercatori universitari e professionisti per cercare di comprendere questo fenomeno e assicurare la presenza di questa specie nel nostro Paese, nonostante le difficoltà che sempre più appaiono legate alla salute del suolo: se un suolo è sano e fertile, le piante crescono bene e riescono a reagire anche alle sollecitazioni estreme dettate dal clima.
In questo contesto, parlare di irrigazione è importante perché l’eccesso di apporto idrico, insieme alle lavorazioni, è un agente della destrutturazione del suolo. È uno strumento di coltivazione necessario, eppure estremamente delicato, che ci consente di far fronte alle richieste fisiologiche della pianta e adattarci alle variazioni del clima su base giornaliera e nel medio-lungo periodo. A tal proposito, studi svolti in collaborazione con il gruppo di ricerca Dicem dell’Università della Basilicata hanno dimostrato che il kiwi può rimanere produttivo e in salute anche a fronte di caldi estremi e prolungati, evitando al contempo ristagni idrici e destrutturazioni del suolo. Questi studi confermano la sensibilità dell’actinidia a molti fattori ambientali e sottolineano l’importanza di una gestione idrica impeccabile. È ormai acquisita la consapevolezza che l’actinidia richieda, nei nostri ambienti, di determinare su base giornaliera sia la quantità di acqua da apportare, sia la modalità per farlo, poiché quantità e qualità dell’irrigazione hanno lo stesso peso nel benessere delle piante.
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