Uva da tavola, troppe varietà? Servono programmazione, brand, promozione e mercati

uva Viviana
“Viviana l'uva italiana”, il brand creato da Italia Ortofrutta per promuovere l'uva da tavola del nostro Paese.
Eppur si muove! Il settore dell’uva da tavola in Italia un po’ alla volta sembra prendere coscienza delle proprie potenzialità e della necessità di rinnovamento cui deve sottostare. Ancora troppo forte l’individualismo e la frammentazione della produzione per poter dare vita a grandi progetti di promozione e marketing sui temi della qualità e della territorialità, con ricerca di nuovi mercati.

Il settore dell’uva da tavola italiana sta vivendo un lento, ma graduale cambiamento, dettato dalla consapevolezza che, in un contesto internazionale in continua evoluzione, il cambio di passo è necessario. Si assiste così ad un rinnovamento del pacchetto varietale sempre più incentrato sulle uve apirene, ad un’evoluzione dei sistemi di coltivazione e delle tecniche colturali volte a massimizzare le produzioni e a ridurre i costi e da alcuni tentativi di avviare campagne promozionali del prodotto, iniziative queste ultime del tutto privatistiche e spesso poco incisive.
Affinché il cambiamento sia possibile è necessario che le parole chiave “aggregazione” e “programmazione” diventino finalmente realtà concrete, in un comparto estremamente frammentato in tutte le sue componenti.
I brand varietali
La parte più visibile del cambiamento in atto riguarda l’innovazione varietale, che in Italia oggi è dettata principalmente da programmi di breeding internazionali, la maggior parte di origine californiana (Sun World, SNFL, IFG e Grapa). Tali società ogni anno – o quasi – propongono nuove varietà “seedless” più performanti delle precedenti in termini di produttività, dimensione delle bacche e dei grappoli, omogeneità del prodotto, facilità di coltivazione, riduzione dei costi, elevata “shelf-life”, ecc. L’attività di diffusione di queste varietà si realizza grazie a determinate attività di marketing basate principalmente sulla promozione di performance produttive in grado di soddisfare le aspettative e le richieste dei viticoltori. In molti casi, però, è la varietà stessa a diventare un brand: più questa è caratterizzata, con particolari forme o sensazioni gustative, più sarà facile posizionarla sul mercato. È Il caso, ad esempio, della cv Cotton Candy® (IFG) (Fig. 1), al gusto di caramello e zucchero a velo; oppure di Sweet Sapphire® (IFG), con acini grandi e di attraente forma tubolare; o di MagentaTM (SNFL) che sta acquisendo sempre più popolarità per il suo caratteristico sapore che ricorda la ciliegia.
Tuttavia, la voglia di proporre ed impiantare la varietà “perfetta” porta ad avere troppa fretta nella valutazione della sua capacità di adattamento al nostro territorio. Molte delle nuove apirene, infatti, hanno mostrato limiti notevoli dopo l’impianto per la comparsa di alcune problematiche, come la suscettibilità estrema ad alcune malattie (in particolare oidio e botrite), elevata vigoria, sensibilità al “cracking”, disseccamento del rachide, imbrunimento degli acini, presenza di semi, distacco anomalo delle bacche durante la raccolta e difficoltà di colorazione per le uve pigmentate.
Accanto al lavoro dei breeder internazionali, nel nostro Paese sono stati perciò avviati nuovi programmi di miglioramento genetico. Tra questi, un importante spazio di mercato lo sta conquistando Grape & Grape Group, che proprio nel mese di novembre 2017 ha annunciato la nascita di un nuovo “brand” commerciale. La società pugliese, che sta proseguendo la sua attività di ricerca e di breeding territoriale su nuove varietà di uva da tavola apirene, sta anche impostando una campagna di marketing per approcciare la Gdo italiana ed estera ed una “joint venture” per la penetrazione nei nuovi mercati con le proprie varietà e con altre eccellenze pugliesi, come le uve Italia e Red Globe.
Oltre a Grape & Grape Group, il Crea-UTV di Turi (Ba) sta proponendo il proprio programma di miglioramento genetico, sviluppato dopo anni di ricerca, grazie all’accordo con Nuvaut (“nuove varietà uva da tavola”), consorzio di recente costituzione che ha l’obiettivo di regolare le attività di trasferimento, valutazione e valorizzazione di nuove varietà, creando così un nuovo polo di attenzione. Di recente fondazione anche il contratto di rete d’imprese Italian Variety Club (IVC), un ambizioso progetto per lo sviluppo di un programma di miglioramento genetico per la costituzione di cultivar idonee alla coltivazione nelle condizioni pedoclimatiche mediterranee, per aggiornare e arricchire la gamma varietale offerta sul mercato.
I nuovi mercati
Con poco più di un milione di t, l’Italia è il primo Paese produttore di uva da tavola in Europa e tra i principali Paesi produttori al Mondo. Le esportazioni di uva riguardano più del 40% della produzione nazionale, indirizzata quasi esclusivamente verso i mercati europei e, solo in piccola percentuale (circa il 9% del prodotto esportato), ai Paesi Extra Ue (Tab. 1). Secondo un recente rapporto Ocse, l’Europa è un continente “vecchio” di nome e di fatto, con una percentuale di popolazione anziana tra le più alte al Mondo. In questo contesto l’Italia risulta il Paese “più anziano tra gli anziani” (Fig. 2), destinato secondo le stime a diventare nel 2050 tra i più vecchi del pianeta. Situazione preoccupante se, come si prevede, il tutto sarà associato ad un aumento dei tassi di disoccupazione e di povertà. Tale prospettiva non è delle più rosee per il comparto italiano dell’uva da tavola, considerando che i suoi principali mercati di riferimento sono proprio quello interno ed europeo.
Da un’analisi dei dati relativi all’export di uva da tavola italiana, negli ultimi anni emerge una fase di stallo, caratterizzata da quantità esportate pressoché costanti e non destinate a crescere (Fig. 3). Le soluzioni possono essere legate all’evoluzione e all’incremento dei consumi di ortofrutta nei Paesi emergenti. È evidente, infatti, che i mercati internazionali dell’uva da tavola stanno diventando sempre più Asia-centrici. Si stima che la nuova classe media di Paesi come India, Cina, Indonesia, Malesia, Taiwan e altri, nel 2030 triplicherà le spese relative ai prodotti agro-alimentari. Per i mercati emergenti il cibo è un elemento di connotazione dell’acquisizione di uno status sociale elevato, c’è quindi una maggiore attenzione verso le caratteristiche estetiche e intrinseche del prodotto, in particolare se questo ha dietro una storia e un “brand”.
Il nostro Paese non sta tenendo il passo con il trend attuale. Purtroppo, i rapporti commerciali vigenti, in termini di libero scambio, non offrono all’uva italiana la possibilità di accedere a questi mercati, a differenza di altri competitor, Spagna in primis, che invece vedono il Medio e l’Estremo Oriente come nuovi “mercati target”. Nel lungo periodo, tale esclusione andrà sicuramente a svantaggio di tutto il comparto.
Le attività promozionali
Uno degli strumenti che le imprese utilizzano per raggiungere i propri obiettivi è il “Marketing Mix”, ovvero la combinazione ottimale di quattro variabili operative, note come 4P: Product (prodotto), Price (prezzo), Place (punto vendita o distribuzione) e Promotion (promozione) – anche se con l’evoluzione dei mercati e delle tecnologie oggi si parla di 7P per l’aggiunta di altri 3 elementi (People, Process, Phisical Evidence). Considerando il modello tradizionale e tralasciando le prime tre P (Product, Price e Place) – anche se meriterebbero un’attenta e complessa disamina – vogliamo porre l’attenzione sull’ultima variabile rimasta, probabilmente la più trascurata da molti operatori del settore dell’uva da tavola, ovvero quella relativa alla Promozione.
L’individualismo e l’assenza di programmazione che caratterizzano il settore dell’uva da tavola – e tutto il comparto ortofrutta italiano – sono alla base delle difficoltà che le aziende incontrano nel comunicare in modo efficace ai consumatori. Un’attività che non dovrebbe esaurirsi nella pura pubblicità, ma proseguire anche all’interno dei punti vendita. Eppure i finanziamenti pubblici per le campagne promozionali non mancano. È recente però la notizia (ottobre 2017) del “flop” delle aziende italiane che volevano usufruire dei fondi europei finalizzati alla promozione dei prodotti agro-alimentari sui mercati interni ed esteri, aggiudicandosi appena 3 dei 115 milioni di euro in palio, ovvero circa un ottavo dell’importo aggiudicatosi dalla Spagna, uno dei nostri principali competitor. Insuccesso causato principalmente da infelici scelte politiche e dall’incapacità del settore di fare “lobby” nei confronti delle Istituzioni, al fine di prendere parte o quantomeno influenzare i processi decisionali.
I tentativi di fare marketing oggi sono affidati principalmente ad iniziative private. Molte “packing house” si stanno ingegnando nel segmentare la propria offerta, proponendo in particolare “packaging solution” innovative e accattivanti, in grado di adeguarsi alle nuove tendenze e abitudini alimentari dei consumatori. Non mancano le attività di comunicazione che hanno ottenuto successo e risalto anche a livello nazionale. Si ricordano, in particolar modo, quelle lanciate da “Viviana, l’uva italiana” (Fig. 4), marchio nato da un’idea di Italia Ortofrutta e che raccoglie le principali Organizzazioni di Produttori di uva da tavola di Puglia, Basilicata e Sicilia; oppure quelle relative al brand “Lavinia” creato dall’azienda Agricoper. Iniziative lodevoli e in grado di offrire un più ampio respiro al comparto, ma ancora troppo poco se si considerano i numeri che il settore è in grado di raggiungere e se si guarda a quanto succede in altre aree di produzione del pianeta.
Il caso più noto è quello degli Stati Uniti, grazie all’attività della California Table Grapes Commission, che promuove negli USA e nel mondo il marchio “Grapes from California” con importanti investimenti nelle attività di comunicazione. Ma non mancano altri esempi, come quello del marchio “Australian Grapes” creato dall’Australian Table Grapes Association per promuovere le proprie uve nei mercati Coreani, o addirittura di “Grapes from Mexico”, marchio utilizzato per una campagna promozionale volta a stimolare gli acquisti di uva messicana negli Stati Uniti.
“The Extraordinary Italian Taste” attualmente è l’unico marchio che promuove le produzioni agricole e alimentari italiane nel mondo. ICE Italia, in occasione dell’8° Simposio internazionale dell’Uva da Tavola, svoltosi in Italia nell’ottobre 2017, ha però spiegato che, al contrario di altri prodotti percepiti come “tradizionali” del Made in Italy (pasta, conserve vegetali, formaggi, carni lavorate), all’estero l’ortofrutta – quindi anche l’uva da tavola – non beneficia facilmente della plusvalenza culturale del marchio Italia.
Sarebbe auspicabile, in un prossimo futuro, la creazione di un brand più specifico per l’uva da tavola italiana. Un marchio forte e riconoscibile, in grado di identificare il prodotto e raccontare una storia, trasmettere valori ed emozioni, oltre che garantire sicurezza e salubrità. Un rapporto presentato dal BLV, l’Ufficio Federale Tedesco che si occupa della sicurezza dei consumatori e del cibo, ha infatti classificato le uve italiane tra le più sicure commercializzate in Germania, il principale mercato di riferimento per le nostre uve. Invece, nel nostro Paese, paradossalmente, l’uva da tavola è spesso al centro di polemiche e scandali alimentari e considerata dai molti un prodotto fortemente contaminato. Accuse che influenzano e distorcono la visione e le scelte dei consumatori, che spesso ignorano la sanità e le innumerevoli proprietà benefiche dell’uva.

Uva da tavola, troppe varietà? Servono programmazione, brand, promozione e mercati - Ultima modifica: 2018-02-07T15:09:48+01:00 da Lucia Berti

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