Cerasicoltura in primo piano: una rivoluzione a metà

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Nessuna coltura come il ciliegio ha saputo rinnovarsi tanto e in così poco tempo. Le innovazioni genetiche (varietà e portinnesti nanizzanti), tecnologiche (alte densità e forme di allevamento, sistemi di protezione e difesa, innalzamento qualitativo) e imprenditoriali, con scelte sempre più orientate verso i mercati, e con conseguente aumento dei consumi e delle esportazioni, hanno acceso un grande interesse verso questa coltura.

Nessuna coltura come il ciliegio ha saputo rinnovarsi tanto e in così poco tempo. Le innovazioni genetiche (varietà e portinnesti nanizzanti), tecnologiche (alte densità e forme di allevamento, sistemi di protezione e difesa, innalzamento qualitativo) e imprenditoriali, con scelte sempre più orientate verso i mercati, e con conseguente aumento dei consumi e delle esportazioni, hanno acceso un grande interesse verso questa coltura. Siamo passati dai vecchi impianti con grandi alberi (in forte calo ovunque) a quelli moderni e intensivi (con densità salite a 600-1.200 piante/ha). Anzi, sono stati proposti anche impianti “pedonali” ad altissima densità cioè con alberi alti appena 2-2,5 metri, sorti con qualche timore in Emili- Romagna e altrove.
Dunque, è in atto una vera rivoluzione tecnologica e di mercato che sta portando la cerasicoltura ad un forte rinnovamento, percepito dai consumatori attraverso un miglioramento qualitativo delle varietà di ciliegio (per colore, pezzatura, consistenza della polpa, gradevolezza del gusto). Purtroppo, tutti questi benefici non hanno ancora rimosso i forti rischi connessi ai risultati economici che il ciliegio comporta, nonostante i mezzi tecnologici innovativi e migliorativi di cui può disporre. Rischi che sono soprattutto ambientali, cioè atmosferici e fitosanitari (entrambi difficilmente controllabili), nonché logistici di movimento, post-raccolta e mercato (per l’instabilità dei prezzi).
Se prendiamo, ad esempio, la Puglia, il comparto cerasicolo regionale dopo anni di crescita significativa e investimenti ingenti da parte di tutti gli attori della filiera produttiva, vive con timore il compimento del cambiamento e guarda con diffidenza all’innovazione che potrebbe dare nuovo slancio al settore. Eppure, a partire dal vivaismo, con il grande impulso ai programmi di certificazione volontaria nazionale ad opera dei vivaisti del distretto di Sammichele di Bari, passando ai frutticoltori che hanno sposato appieno la pratica di ridurre la taglia delle piante con l’adozione di forme di allevamento pedonali come il vasetto multi-branche (o “vaso catalano”), finendo poi alle “packing house” che si son dotate di impianti di pre-refrigerazione, selezione, calibratura e conservazione anche in atmosfera controllata, tutti hanno interpretato l’idea di una nuova cerasicoltura.
La coltura è stata vittima nel 2016 e 2018 di forti ondate di maltempo primaverile che hanno indotto l’Amministrazione regionale a chiedere gli indennizzi previsti dallo stato di calamità, mentre le colture hanno subito danni anche da alterazioni dei cicli vegetativi causate dal generale aumento delle temperature. Momenti di crisi che hanno drasticamente ridotto gli entusiasmi per questa coltura. È mancata forse una regia comune che permettesse ai singoli attori di interpretare la loro parte nella consapevolezza di essere propedeutici l’un l’altro.

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Nel tempo dei cambiamenti climatici tumultuosi, il ciliegio è specie che si contraddistingue perché si gioca l’intera stagione in poche settimane – dalla fioritura alla raccolta – senza possibilità di tempi di recupero supplementari. In tutto il mondo è ormai imprescindibile far ricorso all’evoluzione degli impianti che prevedono coperture per garantire certezza della produzione e per la sua protezione dalle avversità parassitarie. Oltre all’uva da tavola, questo concetto vale anche per le ciliegie. Come mai queste applicazioni tecnologiche vengono praticate nel Nord Europa (vedi Norvegia) e in altri Paesi dell’Emisfero settentrionale (America e Canada) e sono ignorate nelle aree cerasicole tradizionali?
Come testimoniato da un’autorevole attore del settore nell’apposito riquadro, solo facendo ricorso all’innovazione e alle soluzioni tecniche oggi disponibili è possibile intravvedere un futuro positivo per il settore. Ebbene, in Puglia, areale pioniere di questa innovazione esportata a livello globale, le politiche di sviluppo a sostegno degli operatori regionali non hanno previsto interventi in tal senso. Deflagra rumorosamente la mancanza dell’aggregazione in soggetti capaci di interloquire con le istituzioni pubbliche e con soggetti prestatori di servizi – vedi le assicurazioni – così come delle rappresentanze sindacali degli agricoltori a favore di scelte programmatiche di lungo periodo e indispensabili per il rafforzamento del comparto.
La conseguenza è che l’ultima programmazione del PSR regionale ignora completamente ciò, risultando strumento non al passo con in tempi e quasi di deterrenza per quegli agricoltori consapevoli che sanno essere necessari gli interventi e investimenti per avere aziende competitive ed efficienti. Tale stato di cose ha fatto montare un sentimento di scoramento e abbandono da parte di molti coltivatori che si sentono abbandonati, nella consapevolezza di non poter affrontare da soli il rinnovo tecnologico che richiede ingenti investimenti e garanzie per il futuro. Il pericolo più grande è che prevalga il concetto del “si salvi chi può” con soluzioni singole di problematiche comuni a tutta la filiera.
I vivaisti lamentano difficoltà a rispettare i termini dei contratti di concessione delle novità varietali per la contrazione della domanda ai vivai di alberi per nuovi impianti. Da parte dei cerasicoltori si è innescata una scarsa fiducia verso il rinnovamento varietale come nel caso delle nuove cultivar inclusa la “serie Sweet® che, pur confermando l’elevato valore pomologico, non possono prescindere dal prevedere apposite coperture per l’elevata suscettibilità al “cracking” che le contraddistingue. Altre note dolenti provengono dal settore commerciale dove gli imprenditori hanno investito somme ingenti in impianti leader a livello mondiale. Tutta questa tecnologia ha però bisogno di essere alimentata da frutti di qualità che possono provenire solo da impianti che assicurino costanza e garanzia di produzione anche in presenza di eventi atmosferici avversi.
L’innovazione tecnologica consiste in impianti di pre-refrigerazione per il rapido abbattimento della temperatura alla raccolta e in macchine calibratrici per la lavorazione delle ciliegie che permettono di rilevare dati aggiuntivi lungo la linea di lavorazione quali la qualità interna ed esterna dei frutti: calibro, colore, difetti interni, difetti esterni, morbidezza, assenza o meno di peduncolo, °Brix. Si possono così evidenziare i minimi difetti, favorendo un packaging di elevatissima qualità, altamente omogeneo e che si presta a poche contestazioni da parte del cliente finale. È proprio grazie a tali tecnologie e alla provenienza nazionale del prodotto che, come evidenziato nell’articolo di Pirazzoli e Palmieri, le ciliegie pugliesi, malgrado tutto, spuntano prezzi medi maggiori sul mercato comunitario rispetto ad altre provenienze quali Spagna, Grecia e Polonia.

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C'è sempre più fiducia nel ciliegio al Nord.

Ma come mai l’andamento dei mercati, cioè dei prezzi, non ha compensato o in qualche modo ammortizzato la difficoltà economiche della produzione? Domanda senza risposta. Eppure la Puglia dispone anche di una classe di imprenditori e operatori commerciali di prim’ordine, inseriti nelle filiere internazionali e provvisti di moderne linee di lavorazione e confezionamento delle ciliegie, atte a valorizzare al massimo il prodotto.
In definitiva, il quadro della cerasicoltura non è cambiato molto rispetto a quanto si dichiarava nel 2018 su questa stessa Rivista1. Forse il sistema produttivo italiano preferisce non programmare l’immissione delle ciliegie sul mercato (vedi, al esempio, quello abbastanza importante di Vignola) che, si dice, fa il prezzo del giorno e dove bastano poche decine di quintali in più di fornitura quotidiana per abbattere le quotazioni?
Anche nel settore del ciliegio se si vogliono abbassare i rischi dobbiamo muoverci verso la gestione dell’intera filiera, per poter dare una maggiore stabilità ai prezzi e poter far fronte ai forti investimenti richiesti per i nuovi impianti. Il rischio in ogni caso rimane alto, come per i casi delle fragole e dei piccoli frutti estivi e precoci, i cui prezzi raggiungono valori molto alti, non riscontrabili per le altre frutta, ma al contempo anche molto volatili.
Due anni fa una specifica indagine “Monitor Ortofrutta” di Agroter sui punti vendita delle ciliegie rilevò, a livello di Gdo di varie dimensioni, che negli “store” più grandi (>4.500 m2) i prezzi delle ciliegie di primissima qualità oscillavano da 2 a 17,5 €/kg (con una media di 6,6 €/kg), mentre in quelli piccoli (<2.500 m2) avevano oscillato da 3 a 8,5 €/kg (con media di 4,7 €/kg), mentre nei “discount” i prezzi erano stati un poco più bassi, variando da 2 a 8 €/kg (con media di 4,7 €/kg). Anche nel 2018 i prezzi sono stati piuttosto alti, ma hanno confermato una volatilità incomprimibile, tanto che verso metà giugno sono crollati, salvo riprendersi a luglio con le produzioni tardive e di montagna.
Il mercato delle ciliegie risente molto, come in passato, delle quantità raccolte e offerte ogni giorno nei mercati locali e quindi con relativi sbalzi di prezzo. Tutto ciò sembra legato ad una scarsa programmazione dei ceraseti, comprese le aree dove operano consorzi, cooperative e OP, e a ritardi tecnologici che affliggono l’intera filiera. Manca soprattutto un’aggregazione di produttori, abbastanza grossa e articolata per controllare l’offerta.
Non certo per dissuadere i frutticoltori, ma al di là dei necessari investimenti strutturali, le loro scelte non possono prescindere da due condizioni che stentano ad affermarsi: 1) ritorno degli investimenti, molto alti, in un arco di tempo relativamente breve di 5-10 anni, invece dei 15-20 anni del passato; 2) nuovi impianti tecnologicamente avanzati, provvisti di fertirrigazione, protezioni antipioggia e reti antinsetto; con densità superiori a 1.000 piante/ha si richiedono anticipazioni di oltre 50-60.000 €/ha. Occorre perciò disporre di credito o agevolazioni, che al momento solo le OP-AOP possono procurare con i finanziamenti dei piani operativi OCM. In alternativa, occorrono, nella maggior parte dei casi, aiuti finanziari esterni per la copertura dei rischi imprenditoriali che la coltura ogni anno comporta. Occorrerebbe infatti pensare anche ad un’idonea forma assicurativa.
Perciò, in sintesi, bisogna pensare a come garantire il successo economico dell’impresa. Ecco perché la coltura del ciliegio impaurisce.
Nuove varietà
I vivai che propagano questa specie con professionalità sono poco meno di venti e operano per la maggior parte in Veneto, Emilia-Romagna e Puglia. Le varietà iscritte al Registro nazionale sono ben 530 (incluse 400 antiche varietà autoctone); di queste, 74 sono disponibili nel Servizio Nazionale di certificazione volontaria del Mipaaft. Il resto è riferito a circa 30 varietà per cui non è ancora disponibile il materiale iniziale per l’avvio della certificazione. A livello di portinnesti, 13 sono quelli certificabili sui 14 iscritti al Registro nazionale.
Il numero di astoni certificati annualmente è riportato nella figura 1, con meno di 10 vivai ad alimentare questa categoria di prodotto. Nella stagione 2018-19 il numero di astoni di categoria “CAC” è stimato in circa 2,1 milioni (stime CIVI-Italia) e poco meno di 40.000 piante della categoria “Certificato Eu”.
Con riferimento alle varietà maggiormente propagate, nella tabella 1 sono riportati i dati parziali (stagione ancora in corso) di quelle certificate nel sistema volontario nazionale. Emergono Kordia, Regina e Ferrovia, ampiamente utilizzate nei sistemi di allevamento ad alta densità ed apprezzate per la consistenza dei frutti e, almeno per la cv. Regina, per la tolleranza al cracking. Per quanto riguarda i portinnesti, quelli maggiormente moltiplicati e certificati sono Gisela 5 e Gisela 6 (Fig. 2), particolarmente utilizzati negli areali cerasicoli del Nord Italia e del centro Europa, improponibili invece nelle aree pugliesi caratterizzate da terreni non idonei.
Emerge il quadro di un vivaismo orientato a produrre per areali del Nord o di aree europee che oggi mostrano più attenzione verso questa specie, rispetto al trend di qualche anno fa che privilegiava le aree pugliesi.

 

VIGNOLA TORNA CAPITALE INTERNAZIONALE DEL CILIEGIO

Il ciliegio chiama e Vignola risponde. Dopo le riuscite edizioni del 2011 e del 2015, la cittadina modenese famosa nel mondo per essere la culla dei duroni e delle ciliegie si prepara ad accogliere la terza, quadriennale, dedicata alla frutta rossa. Il 22 e il 23 maggio, nella suggestiva cornice della Rocca di Vignola, l’International Cherry Symposium radunerà i maggiori esperti a livello mondiale che presenteranno review scientifiche e aggiornate sulle tematiche di più stretta attualità.

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Si comincia la mattina di mercoledì 22 maggio con una “full immersion” nel rosso panorama delle ciliegie. Aprirà i lavori Roberto Della Casa, docente presso l’ateneo felsineo, che relazionerà circa le nuove strategie di sviluppo e di marketing delle ciliegie. Sulle moderne tecnologie applicate al breeding e sui principali risultati ottenuti nell’innovazione varietale del ciliegio relazioneranno due ricercatori francesi, il dr. Josè Quero Garcia dell’INRA e la dr.ssa Amandine Boubennec del CTIFL. A seguire due relazioni curate dal prof. Gregory Lang della Michigan State University (USA) e dal dr. Martin Balmer del centro di ricerca Rheinland-Pfalz (Germania) ci spiegheranno come migliorare le performance fisiologiche e l’efficienza produttiva degli alberi di ciliegio nei moderni impianti ad alta densità.
Migliorare la qualità delle ciliegie e preservarla con le nuovissime tecnologie del post-harvest saranno l’oggetto della sesta e della settima relazione del simposio a cura dei proff. Guglielmo Costa e Marco Dalla Rosa (Unibo). Infine, due interventi di aggiornamento e approfondimento sulle moderne strategie di difesa, diretta e indiretta, contro due delle principali avversità che affliggono la coltura: il cracking, di cui parlerà il prof. Moritz Knoche della Leibniz University di Hannover (Germania) e il terribile moscerino Drosophila suzukii, tematica di stretta attualità ed emergenza che verrà esaminata a fondo dal prof. Nicola Mori, docente presso il Dipartimento di Agronomia dell’Università di Padova.
Il pomeriggio della prima giornata sarà invece dedicato al seminario internazionale di approfondimento sulle nuove varietà e sui nuovi portinnesti del ciliegio. Sono stati invitati a relazionare tutti i breeder e gli “editor” che detengono e sviluppano i brevetti di queste importanti novità varietali. Sarà un’occasione unica per sapere in anteprima quali saranno le varietà e i portinnesti che rivoluzioneranno nei prossimi anni la coltivazione del ciliegio in Italia, in Europa e nel Mondo.
Il 23 maggio sarà invece dedicato alle visite tecniche: tre differenti percorsi a scelta (Vignola, Bologna-Ferrara e Verona) tracciati per toccare con mano le innovazioni introdotte in questi ultimi anni negli impianti di ciliegio nel Nord Italia, insieme alla scoperta delle nuove tecnologie introdotte nelle strutture di lavorazione e confezionamento delle ciliegie.
L’organizzazione dell’Ics è curata dall’Università di Bologna e dal Consorzio ciliegia di Vignola Igp insieme all’Accademia Nazionale di Agricoltura. La registrazione è obbligatoria. Per maggiori info: www.vignola2019.it
Arrivederci a Vignola!

TERIITORIO, MARCHIO, INNOVAZIONE E MARKETING
VIGNOLA E LE SUE CILIEGIE

Il ciliegio è presente a Vignola sin dal 1800; alla fine degli anni ‘70 la produzione era quantitativamente elevata, di ottima qualità, ma di piccola pezzatura e non garantiva una remunerazione sufficiente ai produttori. Il Consorzio della ciliegia ha quindi proposto un progetto di rilancio del ciliegio che prevedeva il reimpianto di 500 ha razionali, con impianti di irrigazione, con l’obiettivo di arrivare in tempi brevi alla copertura antipioggia di una parte significativa di questi.
Alla fine degli anni ‘90 si iniziano a coprire i primi ceraseti; oggi Vignola ha una produzione di 60-70.000 quintali di alta o altissima qualità di cui il 35% con impianti di copertura. Vignola negli anni è diventato anche un marchio commerciale; con l’ottenimento a fine 2012 del marchio europeo IGP ha aumentato la sua visibilità e il riconoscimento dai mercati. Il prodotto di alta qualità, caratterizzato da un marchio riconosciuto, viene economicamente premiato; sono un esempio in Italia “Vignola” e “Melinda”, unici due marchi che negli ultimi anni hanno ben remunerato il prodotto.
Il mercato della ciliegia in prospettiva chiede prodotto di grosso calibro, con polpa soda, colore brillante, lucido, elevate qualità gustative e la presenza sul punto vendita per un lungo periodo; è indispensabile dotare i nuovi ceraseti di varietà con le caratteristiche sopra citate e di impianti di irrigazione, fertirrigazione e copertura.
Per migliorare le prospettive della cerasicoltura italiana si propone l’aggregazione delle zone di produzione più importanti sotto un marchio “Ciliegie d’Italia” che, pur mantenendo l’identità dei territori di provenienza, garantisca la presenza di ciliegie italiane salubri e di alta qualità per circa quattro mesi; in questo modo potremmo accontentare le richieste del mercato valorizzando al meglio il prodotto dei vari territori vocati ad una moderna cerasicoltura di qualità.

 

 

Cerasicoltura in primo piano: una rivoluzione a metà - Ultima modifica: 2019-04-04T09:07:32+02:00 da Lucia Berti

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