In un contesto in cui il baricentro produttivo dell'ortofrutta si sposta sempre più verso oriente e in Europa si consuma sempre meno frutta, l'innovazione varietale si prefigura come l'unica strada possibile per il futuro di tutto il settore. Sono queste alcune delle principali indicazioni emerse durante la seconda edizione dell'European Fruit Summit, il convegno organizzato dal Cso in occasione di Macfrut 2010.
Introducendo il summit, il presidente del Cso, Luciano Trentini, ha detto: «Rispetto ai primi anni Duemila, la produzione mondiale di ortofrutta è cresciuta del 24%, passando da 488 milioni di tonnellate a 588 milioni di tonnellate.
Cambiamenti notevoli si sono però registrati sotto l'aspetto delle zone di produzione: l'Asia, che nel 2000/2002 aveva una quota del 43%, è oggi salita al 50%; nello stesso periodo l'Europa ha invece conosciuto un calo del 4%, passando dal 16 al 12%, così come le Americhe, che sono passate dal 27 al 24%. In particolare, nella Ue a 27 si è passati da 70 a 60 milioni di t e ciò conferma che in Europa si sta consumando meno frutta rispetto al passato».
Diverso il discorso per l'export di ortofrutta, che nel mondo è aumentato enormemente nel periodo 1970-2007: nel 1970 il valore dell'export ortofrutticolo era sotto i 10 milioni di dollari, nel 2007 si attestava sui 150 milioni di dollari.
Trentini ha illustrato anche la produzione delle principali specie (mele, pere, pesche e nettarine, arance, kiwi) suddivise per Paese nella Ue a 27. Complessivamente, rispetto ai primi anni Duemila, Italia e Spagna hanno guadagnato (dal 26 al 28% e dal 24 al 25%), mentre calano Francia (-2%), Grecia (-1%) e Germania (-1%).
Nello specifico, sul fronte delle mele la Polonia conferma la propria leadership con una quota del 22% in ambito europeo, seguita a ruota dall'Italia col 21%. Terza la Francia al 15%. Nelle pere, il primato spetta all'Italia col 35%, seguita dalla Spagna (la cui produzione è comunque in calo) al 19%. Da notare il 10% a testa di Belgio e Olanda, in cui la pericoltura negli ultimi anni ha conosciuto invece un grande sviluppo. Per le pesche e nettarine, predominio assoluto (52%) dell'Italia, seguita dalla Spagna al 25%. Nei kiwi l'Italia si attesta addirittura a una quota del 72% in Europa, mentre nelle arance è la Spagna a detenere il primato con il 46%, seguita dall'Italia al 37%.
Infine, il presidente del Cso ha indicato una strada possibile per rilanciare l'ortofrutta. «Puntando alla qualità si può sviluppare redditività. Un esempio lo possiamo vedere confrontando i prezzi delle pere Abate e delle pere William (0,92 €/kg e 0,47 €/kg nel 2010) o delle mele Golden e delle mele Fuji (0,28 €/kg e 0,48 €/kg nel 2010)”.
Mele, il crollo polacco
La situazione produttiva delle mele a livello europeo è stata introdotta da Elisa Macchi del Cso: «Nella Ue a 27 la produzione di mele è tendenzialmente costante o in lievissimo calo, attorno a 11 milioni di t. Nel 2010, con 9,8 milioni di t, marca un -11% rispetto al 2009 e un -7% sulla media 2006/2009. Nei principali Paesi produttori, saltano all'occhio il nettissimo calo produttivo stimato nel 2010 in Polonia (-24%), la sostanziale stabilità dell'Italia (-3% sul 2009), il forte ridimensionamento della Germania (-17% sul 2009) e il calo contenuto (-4%) della produzione francese.
Sul fronte dell'export, significativo il dato dell'Italia, che esporta il 30% della propria produzione (561.000 t nel 2009/2010), con l'80% di questa quota assorbita dai Paesi Ue all'interno dei quali si distingue sempre più la Germania, che da una dipendenza al 51% nei primi anni Duemila, è passata negli ultimi anni al 35%.
Il panel di discussione sulle mele è stato aperto da Dominik Woz´niak della polacca Rajpol che ha corretto al ribasso i dati del Cso, stimando un raccolto inferiore alle 1,9 milioni di t previste, a causa in primis delle inondazioni sofferte dalla Polonia in primavera. Riguardo ai costi Woz´niak ha aggiunto: «È vero che abbiamo costi di produzione inferiori a Paesi come Italia, Francia e Germania, ma è anche vero che ogni anno paghiamo sempre più per pesticidi e altri trattamenti. Quindi i costi stanno aumentando anche nel nostro Paese». E sui possibili futuri mercati extraeuropei della Polonia (Russia a parte): «Potremo rivolgerci verso il Nord Africa o il Medio Oriente, non oltre, dal momento che le nostre mele non hanno le qualità per sopportare lunghi tragitti».
Josef Wielander di Vip ha rilevato: «Ovviamente siamo solidali con la Polonia che produrrà di meno, perché siamo tutti produttori. Tuttavia, questa minore produzione polacca potrebbe aprire a quella italiana maggiori spazi in Russia e Scandinavia. Noi italiani cercheremo di occupare i posti tenuti attualmente dai polacchi. In ogni caso, quest'anno c'è la possibilità, dopo anni difficili dovuti anche alla iper produzione, di ottenere finalmente la giusta remunerazione. In Alto Adige ci attendiamo un calo produttivo del 10%, però la qualità sarà eccellente. Ovvio che ognuno, ovvero produttori, gdo e consumatori, dovrà fare bene la sua parte. Quanto al futuro, speriamo di convincere i giovani delle proprietà salutistiche delle mele, in modo da aumentare il consumo medio pro capite e da mantenere il 60% della produzione nel mercato interno, esportando il restante 40% in altri stati europei e anche in Nord Africa».
Anche Albert Richard della BVL, ha rivisto le previsioni del Cso al ribasso, stimando un calo in Francia del 10 anziché del 5%, soprattutto per la Golden. Come il collega italiano, Rochard ha confermato: «Cercheremo di approfittare del calo di volumi a livello europeo. Ma non solo: ormai non possiamo ignorare che ci troviamo in un mercato globalizzato, dove il potere d'acquisto in molti stati extraeuropei è aumentato. L'Europa deve guardare a questi mercati in espansione».
Infine, Stephan Weist della Landgard ha dichiarato: «In Germania, ci aspettiamo calo produttivo medio del 10% rispetto allo scorso anno, con punte che in alcune zone arriveranno al 40% a causa soprattutto delle grandinate di inizio e fine luglio. Per quanto riguarda i prezzi al consumo, non ritengo ci saranno notevoli cambiamenti sull'offerta di prima scelta rispetto allo scorso anno. Per il futuro, infine, penso che dovremo focalizzarci su ogni singola varietà e promuoverla nel modo giusto: molti consumatori non hanno mai assaggiato alcune varietà di mele. Una promozione mirata può aiutare a incrementare i consumi».
Pere, immagine da svecchiare
Secondo il Cso, la pericoltura europea presenta un deficit produttivo ancora più importante rispetto a quello delle mele. Nel 2010 è prevista un'offerta di circa 2.155.000 t nella Ue a 27 ( -19% sul 2009 e -14% sulla media 2006/2009). L'Italia, con un potenziale produttivo di 900 mila t, toccherà probabilmente il minimo storico con 655 mila t (-24%). Forti riduzioni sono previste pure in Francia (-14%), Portogallo (-40%), Belgio e Olanda (-11% sull'annata record del 2009). La Spagna è stimata al + 3% rispetto allo scorso anno, ma sulla media del 2006/2009 si calcola un calo del -9%.
A livello commerciale, l'Italia rimane il maggiore Paese produttore, ma l'export incide solo per il 20%. Entro questa quota, si nota però il ridimensionamento dei quantitativi indirizzati in Germania (dal 50% dei primi anni Duemila al 41% odierno). Da notare, infine, anche il forte calo di consumi di pere registrato in Italia, che in 10 anni è passato da 460.000 a 373.000 t.
Sulla situazione europea delle pere è intervenuto Gabriele Ferri di Naturitalia: «A livello europeo i consumi di pere hanno un trend positivo, ma non in Italia. Nel 2010 non riusciremo ancora a esportare pere in alcuni importanti mercati come gli Stati Uniti, con cui siamo ancora in trattative. A tal proposito, il consigliere delegato del Cso Renzo Piraccini ha ricordato che l'Italia è in trattativa con gli Usa da cinque anni e che le barriere fitosanitarie di Usa, Corea e Giappone sono falsi problemi addotti da questi Paesi. Lo stesso Piraccini ha suggerito che dovrebbe essere l'Europa e non i singoli Paesi europei a trattare sull'apertura delle attuali barriere. «Non riuscendo a creare nuovi sbocchi commerciali - ha proseguito Ferri - si va a creare pressione sui vecchi mercati. In ogni caso, per sviluppare i consumi di pere, dobbiamo “svecchiare” l'immagine che ha oggi questo frutto, apprezzato attualmente da chi ha più di 40 anni».
Sulle posizioni di Ferri anche Carlo Spreafico di Spreafico che ha aggiunto: «Per quest'anno siamo ottimisti sulla vendita della produzione, perché i quantitativi non ci preoccupano e il mercato dovrebbe assorbirli. Per il futuro, purtroppo, siamo ancora lontani da certi mercati».
Armando Paulo Torres di Triportugal ha corretto innanzitutto i dati del Cso relativi al Portogallo, rivedendo le previsioni al rialzo. A proposito del rilancio dei consumi ha invece detto: «È importante convincere i giovani a mangiare tutto il frutto, compresa la buccia. E stiamo cercando di farlo non solo sul mercato interno, ma anche nei Paesi in cui esportiamo. Oggi si tende infatti a consumare soltanto ciò che si mangia facilmente. Per il futuro, occorrerà sempre più pensare alle preferenze di ogni Paese. La nostra pera Rocha è una varietà di piccole dimensioni, che oltre ad essere apprezzata nel Regno Unito e in Irlanda, potrebbe essere interessante per l'India e altri mercati asiatici».
Filip Lowette della Bfv ha spiegato: «In Belgio, che presenta una situazione analoga all'Olanda, prevediamo un calo di produzione dal 15 al 20%. A livello commerciale, la Russia rimane uno dei nostri maggiori mercati, ma ci siamo concentrati anche sulla Cina. A fine settembre due ispettori cinesi sono venuti in Belgio a controllare il rispetto del protocollo per potere esportare in Cina e presto potremo iniziare ad esportare anche in questo Paese. Del resto, negli ultimi anni abbiamo lavorato molto con la diplomazia asiatica, facendo anche esperienze a Hong Kong».