Il nostro Paese produce circa un milione di tonnellate di uva da tavola. È il primo in Europa a livello produttivo. La regione leader è la Puglia dove si concentra il 60% della produzione, a seguire la Sicilia con il 35% e la Basilicata con il 5%.
La produzione quest’anno in Puglia ha registrato una flessione del 35% a causa della primavera piovosa e umida. La minore quantità sulle piante e le buone condizioni climatiche da fine giugno in avanti hanno favorito una ottima qualità organolettica, fitosanitaria e visiva.
In Puglia la produzione di uve seedless è stata di circa il 60% e il 40% di uve tradizionali. I principali mercati di commercializzazione del prodotto sono la Germania con il 35%, l’Italia con il 30%, la Francia con il 20% ed il restante 15% in altri Paesi Ue ed Extra Ue. (dati Fonte Apeo).
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Le iscrizioni chiuderanno il 30 aprile 2024 (posti limitati)
Italia leader in Europa
«L’uva da tavola rappresenta un settore trainante in Italia», ha affermato Rosario Di Lorenzo, docente all’Università di Palermo e presidente dell’Accademia italiana della vite e del vino.
«Siamo leader in ambito europeo e fino a pochi anni fa a livello internazionale abbiamo avuto un ruolo di primissimo piano. Ruolo un po' affievolito nell’ultimo quinquennio per l’affacciarsi di alcuni paesi (Cile e Perù in primis) che hanno saputo cogliere prima di noi quelli che sono i cambiamenti legati alle mutate esigenze dei consumatori e del mercato.
Nonostante ciò, l’Italia rimane una vera potenza per quanto riguarda l’uva da tavola: siamo il primo Paese in Europa in termini di superficie, produzione e volumi esportati, mentre a livello mondiale siamo il settimo produttore. Il contributo della ricerca italiana per lo sviluppo del comparto è riconosciuto. Basti citare, per esempio, la tematica della viticoltura protetta per l’ampliamento del calendario di offerta».
Il docente è entrato poi nel merito della produzione in Italia. «La produzione italiana avviene in un’area di 45 mila ettari di vigneti e può contare su oltre 900 mila tonnellate di prodotto all’anno, di cui il 45% viene esportato».
Il successo delle varietà apirene
«La superficie vitata a uva da tavola ha subito un evidente processo di "meridionalizzazione": la Puglia rappresenta il 55% del potenziale produttivo e la Sicilia il 41%. Negli ultimi anni sempre maggiore è l’apprezzamento dei consumatori, così come l’orientamento nella produzione, per le varietà apirene. In Puglia, nell’ultimo triennio, quasi il 100 per cento dei nuovi impianti è stato realizzato con varietà apirene, mentre in Sicilia la percentuale non supera il 25%. I principali paesi in cui esportiamo in Europa sono la Germania e la Francia. Il fatto di avere come primo mercato il Vecchio Continente può rappresentare un valore aggiunto trattandosi di un mercato ricco e in grado di valorizzare le qualità organolettiche delle uve ed il packaging del prodotto. Dobbiamo però essere assolutamente pronti e proiettati ad esportare in tutti paesi consumatori», ha aggiunto Di Lorenzo.
Infine alcune considerazioni sull’uva da tavola: «La qualità dell’uva da tavola dipende dalle caratteristiche carpometriche, reologiche e organolettiche dell’uva, per esempio la colorazione uniforme degli acini assume sempre maggiore valore così come la shelf life. Grande rilevanza hanno gli aspetti legati al packaging. Ricerca, innovazione, pianificazione e aggregazione rappresentano i quattro pilastri necessari per continuare a garantire all’Italia un ruolo di paese leader nel contesto internazionale dell’uva da tavola».
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Uva di precisione
«L’agricoltura di precisione è una componente sempre più importante del settore agricolo. Ha l'obiettivo di intervenire (irrigazione, concimazione, trattamenti antiparassitari) nel momento e con le dosi opportune per ridurre il consumo delle risorse e allo stesso tempo aumentare la qualità e la quantità dei raccolti», ha spiegato Giuseppe Ferrara, docente all’Università di Bari di Arboricultura Generale e Coltivazioni Arboree.
«Vengono raccolte informazioni, utilizzando l'Internet of Things (IoT), mediante l’impiego di sensori, prossimali o distali, fissi o montati su droni. Tutti questi dati vengono inviati dal cloud a un computer (o tablet o cellulare) e mediante delle applicazioni si ottiene un quadro dello stato idrico, nutrizionale e sanitario delle colture».
Secondo Ferrara si tratta di strumenti imprescindibili nell’ottica di una moderna agricoltura.
«Per gli agricoltori, in particolare i viticoltori da tavola, che possono valutare le informazioni e le analisi in tempo reale, questa rivoluzione tecnologica fornisce un supporto alle decisioni per intervenire con irrigazione, fitofarmaci e fertilizzanti con tempestività e precisione finora inimmaginabili», ha affermato Ferrara. «Gli studi dimostrano che l'innovazione digitale è in grado di incrementare i raccolti e fatturati fino al 20%.
L’applicazione di sistemi di gestione innovativi, tecnologici e sostenibili mediante l’uso di tecniche che migliorano la gestione aziendale permette di salvaguardare le risorse naturali. In primis l’acqua, sempre più preziosa. Inoltre, favorisce nuova occupazione in un settore importante come quello dell’uva da tavola con effetti importanti sulla sostenibilità economica e ambientale».
Un futuro per il vitivoltaico?
Ferrara ha fatto quindi riferimento agli strumenti tecnologici di intervento. «Verranno descritte metodologie di gestione (sensori, droni), secondo i criteri dell’agricoltura di precisione. Metodologie che utilizzano strumenti digitali di supporto alle decisioni (Digital support system, Dss), con particolare attenzione alla gestione irrigua sempre più critica negli ultimi anni, con uno sguardo anche al vitivoltaico, possibile nuova frontiera per il mondo agricolo».
Sicilia dinamica
La Sicilia, insieme alla Puglia, è uno dei territori più dinamici nella produzione e ricerca sull’uva da tavola. Dal 2010 i ricercatori dell’Università di Catania sono impegnati in programmi di breeding con lo scopo di ottenere varietà apirene, innovative, costituite nel territorio e per il territorio.
«La Sicilia è una delle grandi aree vocate per la coltivazione dell’uva da tavola. I distretti produttivi siciliani più importanti si trovano nella zona centro meridionale, nell’agrigentino nel territorio di Canicattì, e nel comprensorio di Mazzarrone e Licodia Eubea in provincia di Catania e in altri comuni della provincia di Ragusa», hanno spiegato Alessandra Gentile ed Elisabetta Nicolosi dell’Università di Catania.
«La competitività del comparto è strettamente connessa all’innovazione varietale, che è alla base del successo commerciale registrato in altri distretti produttivi internazionali.
Oggi i programmi di miglioramento genetico dell’uva da tavola sono in continua evoluzione e orientati principalmente alla costituzione di uve apirene e di uve con caratteristiche qualitative importanti. Tra queste, la maggiore consistenza della bacca, che deve essere soda e croccante, la ricerca di nuovi sapori, dal fruttato al foxy al tropicale all’esotico, l’elevata resistenza ai trasporti. Non meno importanti le caratteristiche della pianta, che deve essere di facile gestione agronomica e resistente alle principali malattie quali oidio, peronospora e botrite».
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Innovazione sul territorio
«Purtroppo, spesso, le nuove uve apirene proposte dai vari enti costitutori, spesso stranieri, non confermano le attese degli agricoltori italiani che, tra l’altro, si imbarcano in grossi investimenti economici, sia per difficoltà di acclimatamento sia perché necessitano di particolari cure colturali e quindi necessitano di una gestione differente da quella tradizionale», hanno aggiunto Gentile e Nicolosi.
«È evidente quindi che i programmi di miglioramento genetico radicati in uno specifico territorio viticolo che tengano conto delle peculiarità non solo pedoclimatiche, ma anche della tradizione colturale e delle specifiche attese degli agricoltori, risultano di gran lunga più efficienti per il rinnovamento varietale del territorio stesso».
In questo scenario si inseriscono parte delle attività avviate dall’Università di Catania, tramite il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente, in sinergia con le imprese viticole del territorio di Mazzarrone, per l’attuazione di programmi di breeding. «Tramite questi progetti abbiamo selezionato nuove varietà dotate di caratteristiche di particolare pregio».
Sette nuovi genotipi dalla Sicilia
«Per l’ottenimento di nuovi genotipi sono state utilizzate 16 cultivar, apirene e con seme (Italia, Crimson, Sublima, Sugraone, Italia 2, Moscato d’Amburgo, Summer Royal, Victoria, Luisa, Black Magic, Pink Muscat, Sophia, Early Gold, Midnight Beauty, Melissa, Superior), particolarmente importanti da un punto di vista economico e molto diffuse nel territorio nazionale e siciliano.
Per l’attività di breeding è stata utilizzata la classica tecnica di incrocio controllato affiancata dall’utilizzo della tecnica dell’embryo rescue. Importante la selezione assistita da marcatori, che ha permesso di selezionare precocemente gli ibridi caratterizzati da apirenia», hanno detto Gentile e Nicolosi.
«Complessivamente, tra ibridi con seme di diversa consistenza e ibridi apireni, sono state ottenute 1200 piante, sottoposte negli anni a successive valutazioni in campo» hanno aggiunto le ricercatrici. «Tra i genotipi complessivamente valutati ne sono stati selezionati una trentina con caratteristiche di rilievo per croccantezza, sapore, dimensione e forma degli acini, colore della buccia e forma del grappolo.
Le innovazioni prodotte, seppur già sottoposte ad attente valutazioni in campo, necessitano di ulteriori valutazioni in ambienti pedoclimatici diversi di coltivazione e a condizioni agronomiche differenziate, per meglio valutare la loro risposta produttiva. Sette genotipi ritenuti particolarmente interessanti sono stati iscritti al Cpvo (Ufficio Comunitario delle Varietà Vegetali)».
Il caso studio del Giappone
Un Paese a cui l'Italia può guardare sull'uva da tavola è sicuramente il Giappone, dove l'uva da tavola è un prodotto considerato premium. Tanto che un “tradizionale” grappolo di uva nel supermercato può partire da un prezzo minimo di dieci euro, per salire ulteriormente a seconda di varietà e quantità. Un mercato senza dubbio diverso da quello europeo e decisamente appetibile.
«Fino all’inizio del secolo scorso in Giappone era diffusa solo la Vitis labruscana Baily. Dopodiché c’è stata l’introduzione di molte viti europee e americane, tra cui la varietà americana ‘Delaware’ che è stata una delle cultivar principali, selezionata e diffusa in tutto il paese», ha spiegato Toshihiko Saito, vicedirettore della Divisione di Frutticoltura dell’Organizzazione nazionale per la ricerca agricola e alimentare (Naro), tra i massimi esperti del Giappone su genetica e coltivazione dell’uva da tavola.
L’esordio della varietà senza semi in Giappone avvenne dopo la metà del ventesimo secolo. «Fino alla metà del ventesimo secolo, diverse varietà promettenti come Kyoho o Pione venivano rilasciate da produttori privati. Più o meno nello stesso periodo la produzione di uva da tavola senza seme acquisì un interesse commerciale per l’applicazione di trattamenti con l’Acido Giberellico. Utilizzando questa tecnica, Kyoho e Pione iniziarono a diffondersi ampiamente, e la produzione di Delaware venne ulteriormente accelerata», ha spiegato Saito.
In serra
«Inoltre, per estendere il periodo di produzione venne sviluppata anche la coltivazione in serra. Il programma di miglioramento genetico sull’uva da tavola iniziò nel 1968 grazie al programma finanziato dal governo Giapponese tramite il Naro, lanciando sul mercato la varietà 'Shine Muscat' nel 2006», ha aggiunto Saito.
«Questa varietà, nota per particolari caratteristiche produttive e qualitative, ha contribuito a promuovere ulteriormente la coltivazione dell'uva da tavola in Giappone e a espanderne il consumo Nel 2021, l'area di coltivazione della Shine Muscat è diventata quasi paragonabile a quella della cultivar principale Kyoho».
«Nel 2021, in Giappone, il totale della superficie vitata è stata di 16.400 ettari e la produzione totale di 162.600 tonnellate. Il valore della produzione è stimato in oltre 190 biliardi di yen (1.172 miliardi di euro), ed è al primo posto tra le colture arboree da frutto», ha spiegato Saito.
A Macfrut 2024 un evento tutto dedicato all'uva da tavola
Tutto il mondo dell’uva da tavola si ritroverà a Macfrut in un evento di tre giorni (8-10 maggio 2024) che farà incontrare l’intera filiera: top player, operatori del mercato, università, agronomi, tecnici del settore. Protagonista del Macfrut Table Grape Symposium sarà l’uva da tavola, prodotto simbolo della 41esima edizione di Macfrut, con la Puglia regione partner della Fiera.
Tre gli eventi del Simposio:
- il Macfrut Table Grape Symposium nella prima giornata con esperti da tutto il mondo (8 maggio);
- Macfrut Table Grape Global Players sui trend di mercato e l’andamento della produzione (giovedì 9 maggio);
- Table grape in the field, con visite tecniche in un campo prova allestito all’interno della fiera (venerdì 10 maggio).
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A coordinare il Simposio sarà Bruno Mezzetti dell’Università Politecnica delle Marche, che ha commentato: «Il trend di crescita delle produzioni globali dell’uva da tavola è positivo ed è stimato al 5,7% e che per l’Europa può raggiungere il 14%, in particolare grazie all’entrata in produzione di nuovi impianti con le nuove varietà di uva da tavola senza semi realizzati soprattutto in Italia, il primo paese europeo produttore ed esportatore di uva da tavola, con circa 1 milione di tonnellate di uva prodotta, quasi due terzi in Puglia e un terzo in Sicilia.
Questo primato ha una valenza economica e occupazionale della massima importanza. Il simposio sarà un momento d’incontro tra ricercatori ed esperti pubblici e privati di valenza internazionale che si confronterà sulle problematiche relative all’innovazione e protezione varietale, alle tecniche di propagazione e qualità del materiale vivaistico, a nuovi sistemi di produzione con tecniche di precisione, alla qualità e alla gestione del mercato».
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