Kiwi, una coltura sempre più meridionale

Alcuni aspetti tecnico-produttivi della coltivazione nel Sud Italia discussi in un convegno a Policoro (Mt)

La diminuzione netta della superficie investita a kiwi al Nord e il crescente aumento di quella impegnata al Centro-Sud. La realizzazione dei nuovi impianti soprattutto con varietà a polpa gialla o a polpa bicolore (rosso/gialla o rosso/verde) (Actinidia chinensis) a basso fabbisogno in freddo, nettamente preferite a quelle a polpa verde (Actinidia deliciosa). L’importanza, anche negli ambienti meridionali, della gestione dell’irrigazione per evitare il grave fenomeno della moria delle piante. È su questi punti nodali della coltivazione del kiwi (o actinidia) che ha indagato un convegno, organizzato a Policoro (Mt) dall’Associazione Oltre, dedicato all’aggiornamento tecnico sullo sviluppo e sulla gestione della coltura del kiwi negli areali del Sud Italia.

Kiwi: cala al Nord, è stabile al Centro, cresce al Sud

Secondo dati Istat, ha introdotto Carmelo Mennone di Alsia Basilicata, la coltura del kiwi in Italia è passata da 18.052 ha nel 2002 a 26.341 ha nel 2022, con un aumento della superficie investita del 46%. «È una percentuale di crescita nettamente maggiore rispetto a quelle segnate da altre colture frutticole, alcune delle quali persino in netta decrescita: pesco e nettarine: -20%, melo: +9%, pero: -30%, agrumi: +16%, albicocco: + 18%, ciliegio: + 35%. Ma il kiwi è una coltura che si sta spostando verso il Sud: negli ultimi anni ha registrato cali vistosi di superficie soprattutto in Piemonte e in Veneto, sotto la pressione del Psa e della moria delle piante, ha mantenuto una superficie abbastanza stabile in Emilia-Romagna e Lazio, dove successivamente al calo dovuto al Psa si è avuta una ripresa grazie ai nuovi impianti di kiwi giallo, ha visto crescere notevolmente le superfici in Calabria e Campania, dove i casi di Psa e di moria sono limitati. Sempre negli ultimi anni il ventaglio varietale si è ampliato, attingendo all’immenso germoplasma della Cina, che ha consentito ai breeder europei e neozelandesi di trarre la maggior parte delle varietà che oggi coltiviamo».

Vocazionalità dei territori e cambiamenti climatici

La vocazionalità, cioè l’attitudine di un ambiente allo sviluppo della coltura del kiwi, tale da ottenere produzioni con adeguate caratteristiche quantitative e qualitative senza che sia necessario intervenire con eccessivo impiego di mezzi tecnici, è stata al centro dell’intervento di Cristos Xiloyannis, già docente presso l’Università della Basilicata. «La coltura del kiwi richiede investimenti di 60-70mila euro/ha e costi di produzione molto elevati. Perciò chi vuole coltivarlo deve fare le scelte opportune per produrre tanto e bene, non può permettersi di sbagliare, altrimenti fallisce. I cambiamenti climatici, caratterizzati da temperature miti durante il periodo invernale, rendono difficile che il kiwi verde soddisfi il fabbisogno in freddo. Le varietà gialle e rosse sono a basso fabbisogno in freddo, ma dormendo di meno e vegetando di più possono andare incontro più facilmente a brinate e gelate e in seguito avranno maggiori esigenze idriche. Bisogna impostare il miglioramento genetico in maniera diversa, puntando su varietà che abbiano basso fabbisogno in freddo ma poi elevato fabbisogno in caldo per spostare in avanti la partenza della vegetazione».

In Italia cresce l’interesse produttivo e commerciale per il kiwi giallo (nella foto un actinidieto a Grottaglie-Ta) e il kiwi rosso

Fisiologia della specie, punto di partenza per sostenibilità

La conoscenza della fisiologia dei flussi vascolari che sostengono la crescita ponderale dei frutti di kiwi è fondamentale per l’esito ottimale della coltura, ha sottolineato Luigi Manfrini, docente dell’Università di Bologna. «La coltivazione del kiwi a polpa gialla è in espansione in Italia e in particolare al Centro-Sud. Ma sono pochissimi gli studi che riguardano le modalità di gestione e di accrescimento del frutto di Actinidia chinensis. La gestione della sua coltivazione si basa su protocolli della cultivar a polpa verde Hayward. Certo, può essere un punto di partenza, ma tale semplificazione è stata spesso causa di problemi: scarsa pezzatura, scadente qualità organolettica, patologie fisiologiche e non ottimale tenuta in conservazione. La fisiologia di base fra le due specie di actinidia può somigliare, ma la fisiologia propria di ciascuna specie indica gli accorgimenti di cui tenere conto nella gestione della chioma e del frutto per far esprimere alla pianta tutte le sue potenzialità. La conoscenza della fisiologia consente una gestione più sostenibile e l’ottimizzazione della qualità del frutto».

Tecnologie digitali per la filiera del kiwi

kiwi
Impianto di actinidia con sistema di monitoraggio in continuo dell’umidità del profilo di suolo fino a 90 cm per irrigazione di precisione (foto Dichio)

La coltura del kiwi prevede elevati investimenti, perciò, per ottimizzarne i risultati produttivi e, quindi, economici, richiede l’apporto di tecnologie digitaliVito Buono, responsabile di Sysman Progetti & Servizi di Mesagne (Br) per lo sviluppo di applicazioni per l’agricoltura digitale, ha proposto esempi applicativi per irrigazione, tracciabilità e controllo della qualità nella filiera del kiwi. E lo ha fatto presentando Bluleaf, una piattaforma Dss per l’agricoltura digitale accessibile in modalità web/app, basata su tecnologie cloud e disegnata per lo sviluppo di funzionalità specifiche per aziende agricole, imprese agroalimentari, organizzazioni di produttori e/o studi di consulenza tecnica. «Il Dss è strutturato in diversi moduli e funzionalità per la gestione delle produzioni, dal campo al magazzino: meteo; gestione, quaderno di campagna e tracciabilità; irrigazione; fertilizzazione; difesa; qualità e post-raccolta; mappe/Gis/Vrt. In particolare per l’irrigazione, tenendo conto che l’acqua costa sempre di più e che il kiwi è una coltura molto sensibile sia agli eccessi sia alla carenza di acqua, Dss e sensori suolo-pianta riducono l’uso dell’acqua mantenendo intatta la produttività».

Strategie di gestione dell’acqua

La pianta del kiwi è molto sensibile sia agli eccessi idrici sia alla carenza idrica, ha confermato Bartolomeo Dichio, docente dell’Università della Basilicata. «L’eccesso di acqua determina una sfavorevole interazione fra suolo e radici e danneggia l’apparato radicale, causando altresì la moria delle piante. La moria è diffusa soprattutto nelle aree dove i terreni non drenano bene e si ha una piovosità invernale elevata. I terreni mal strutturati, cioè poveri o addirittura privi di sostanza organica, sono predisposti a tale fenomeno. Se un suolo non drena bene, l’effetto cumulato delle piogge che cadono, a volte in grandi quantità, durante la stagione invernale, e di una errata gestione irrigua, forma ristagni idrici e terreni asfittici. L’acqua invade i macropori a scapito dell’ossigeno. L’apparato radicale dell’actinidia in condizioni pedologiche e idriche ottimali è ricco di radichette bianche e quindi molto denso, con alta capacità di produzione e ricambio del capillizio radicale. Invece in condizioni di eccesso idrico collassa, imbrunisce, perde la funzione naturale di assorbire acqua e sali minerali. Anche il deficit idrico, per carenza idrica o elevata domanda evaporativa dell’ambiente, crea problemi alla coltura del kiwi, perché può portare al disseccamento parziale o totale del lembo fogliare. Il kiwi ha, quindi, bisogno di irrigazioni brevi e frequenti. Negli ambienti meridionali il fabbisogno idrico è particolarmente elevato tra luglio e agosto, durante la fase di accrescimento del frutto, quanto le temperature sono alte e la probabilità di pioggia è bassa».

Kiwi, una coltura sempre più meridionale - Ultima modifica: 2023-01-30T17:21:45+01:00 da Sara Vitali

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