Rilanciare il pistacchio innovando gli interventi tecnici e agronomici

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Moderno impianto di pistacchio innestato su UCB1 nell'entroterra siciliano
L’unicità della produzione siciliana è legata all’alta qualità della varietà Bianca. Tuttavia, per incrementare la redditività della coltura, occorre modernizzare i tradizionali sistemi produttivi. Gli aspetti da rivedere sono diversi e vanno dal portinnesto fino al post-raccolta

Per soddisfare la maggiore richiesta di cibo, associata all’aumento della popolazione, il settore agricolo è profondamente cambiato negli ultimi 30 anni. La meccanizzazione e l’intensificazione dei sistemi agricoli hanno consentito maggiori produzioni per unità di superficie, ma hanno anche portato allo sviluppo di sistemi sempre meno autosufficienti, dipendenti fortemente da input esterni quali acqua, fertilizzanti e prodotti fitosanitari. Oggi l’agricoltura, seguendo una visione multifunzionale, sta promuovendo la riscoperta di colture minori, di interesse locale, che, per le peculiari caratteristiche qualitative dei loro prodotti, sono spesso associate al territorio di produzione. Queste colture possono giocare un ruolo importante nella valorizzazione di alcune aree e aumentare la sostenibilità dei territori agricoli tradizionali. In Sicilia, la coltura del pistacchio (Pistacia vera L.) è un perfetto esempio di questi cambiamenti.

Cresce l'interesse per il pistacchio

Oggi la maggior parte del pistacchio prodotto in Sicilia proviene dalla zona dell’Etna che, con circa 3.866 ettari (Istat), rappresenta praticamente l’intera produzione italiana. Nonostante le sue doti di rusticità, il pistacchio ha mostrato, soprattutto negli areali non tradizionali dove è stato sin dalla sua introduzione assoggettato a moderne tecniche colturali, di potere rispondere bene a pratiche quali irrigazione, concimazione e potatura, con significativi innalzamenti e notevole stabilizzazione delle rese e innegabili miglioramenti sotto il profilo della qualità. Recentemente, anche in Sicilia, l’interesse per la coltivazione di questa specie è cresciuto, portando alla realizzazione di impianti più intensivi e moderni anche al di fuori delle tradizionali aree di coltivazione.
Di seguito si analizzano le peculiarità di questa realtà evidenziando anche le principali innovazioni agronomiche che dovrebbero essere implementate per aumentare la competitività.

Biologia e adattabilità ambientale

Il pistacchio, essendo originario delle zone desertiche, predilige ambienti caratterizzati da estati lunghe, calde e asciutte, favorevoli per una piena e regolare maturazione dei frutti, e da inverni moderatamente freddi. Durante il riposo invernale riesce a resistere a temperature anche inferiori a -20 °C, mentre in estate tollera anche valori di 50°C, purché accompagnati da scarsa umidità atmosferica. Il fabbisogno in freddo della specie si aggira attorno alle 600-1000 “chilling unit” (CU) a seconda delle cultivar. Le piogge primaverili e il vento secco durante la fioritura possono influenzare l’impollinazione, mentre l’elevata umidità dell’aria durante la stagione di crescita favorisce lo sviluppo di malattie fungine nei frutti e nei germogli. Le esigenze pedologiche sono molto limitate e, a parte la necessità di assicurare un buon drenaggio, il pistacchio si adatta a diversi tipi di terreno. È una delle colture frutticole più tolleranti alla salinità, con la capacità di produrre anche in suoli con una conducibilità elettrica fino a 8 dS/m.

Uno dei più gravi problemi fisiologici del pistacchio è certamente l’alternanza di produzione. Nelle annate di carica non è la mancata differenziazione a fiore delle gemme a causare la scarsa produttività nell’anno seguente, ma piuttosto la cascola di gran parte delle gemme a fiore che si verifica in luglio durante la fase di crescita dell’embrione. Sebbene i meccanismi specifici di tale fenomeno non siano ancora del tutto chiari, molte ricerche suggeriscono un coinvolgimento di fattori nutrizionali (carboidrati, sostanze azotate ed elementi minerali) mediato, probabilmente, da segnali ormonali. In Sicilia, negli impianti tradizionali sulle pendici dell’Etna, l’alternanza di produzione si manifesta con maggiore intensità rispetto ai pistacchi californiani dove una razionale gestione agronomica consente produzioni elevate e meno variabili negli anni.

 

Relazioni idriche e irrigazione

Anche per il pistacchio, benché tradizionalmente coltivato in asciutto, l’acqua è fattore di condizionamento dello sviluppo e della produttività. In condizioni di ottima disponibilità idrica, la quantità di acqua che può essere traspirata è sensibilmente superiore rispetto a quella di altre piante arboree da frutto. La specie risulta particolarmente sensibile allo stress idrico durante le fasi della fioritura, del periodo di rapido sviluppo di frutti e germogli. Stress severi durante queste fasi possono causare fenomeni di mancato riempimento delle drupe, alterazioni del grado di deiscenza, riduzioni delle rese e, nell’insieme, un sensibile peggioramento della quantità di frutti commercializzabili ed una accentuazione dell’alternanza.

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A e B, infruttescenze su ramo di un anno e gemme a fiore (cerchi gialli) sul germoglio dell’anno nel mese di giugno; C, i cerchi rossi indicano l’avvenuta cascola delle gemme a fiore sul germoglio dell’anno a fine luglio; D, gemme a fiore ancora presenti su germoglio di un ramo scarico (da Benny et al. 2020)

In California, dove il pistacchio viene coltivato normalmente in irriguo e con apporti idrici annuali particolarmente elevati (10.000 mc/ha/anno), è alto l’interesse di pervenire alla riduzione dei quantitativi di acqua senza compromettere rese e qualità del prodotto attraverso tecniche di irrigazione “in deficit”. A questo scopo sono state proposte due finestre temporali in cui la specie è considerata più tollerante allo stress idrico: una da metà maggio ai primi di luglio, subito dopo il completamento dello sviluppo dell’endocarpo, ma prima della fase di rapido sviluppo dell’embrione (stadio II dello sviluppo del frutto) e un’altra successiva alla raccolta. Risultati promettenti sono stati ottenuti attraverso tale tecnica anche nella riduzione dell’alternanza di produzione.

Nelle condizioni colturali prevalenti in Sicilia il pistacchio è di norma coltivato in asciutto o al più con irrigazioni a carattere di soccorso (500-800 mc/ha/anno). Valori anche di poco superiori (1000-1500 mc/ha/anno) sono ritenuti già sufficienti per migliorare le performance produttive delle piante. Diversi studi hanno evidenziato cambiamenti negli scambi gassosi del pistacchio e nelle relazioni idriche durante la stagione vegetativa, suggerendo che l’efficienza dell’irrigazione, anche se con ridotti quantitativi, potrebbe essere ulteriormente migliorata prendendo in considerazione la risposta fisiologica delle piante allo stress idrico. È stato osservato che un potenziale idrico xilematico inferiore a -1,5 MPa riduce sensibilmente l’assimilazione della CO2 (Tab. 1), valore suggerito come soglia di riferimento per uno stress idrico moderato e per una efficiente pianificazione dell’irrigazione.

Gestione della pianta

L’habitus vegetativo del pistacchio è caratterizzato da forte dominanza apicale. Se lasciate libere di vegetare le piante assumono una conformazione globosa-espansa e procombente. La tendenza ad accentuare il fenomeno della dominanza apicale, tecnica adottata soprattutto negli areali tradizionali, si riflette sull’ulteriore spostamento della produzione verso le porzioni più periferiche della chioma e nella riduzione del rapporto superfice fogliare/frutto.


Gli interventi di potatura dovrebbero essere eseguiti annualmente con i seguenti obiettivi: costringere la pianta all’interno degli spazi assegnati; garantire la veloce esecuzione di tutte le operazioni colturali meccaniche; favorire il rinnovo della vegetazione garantendo un elevato numero di centri di crescita vegetativi e, di conseguenza, un’adeguata superficie fogliare; evitare l’affastellamento della vegetazione; eliminare i rami deperiti o secchi eventualmente presenti.
La potatura può, se correttamente eseguita, concorrere a mitigare il fenomeno dell’alternanza di produzione attraverso una regolazione del carico produttivo e un aumento del rapporto superfice fogliare/frutto.

Cultivar

Al contrario di altre specie arboree, abbastanza ristretto risulta il panorama varietale italiano. La cv Bianca (sinonimo ‘Napoletana’) rappresenta la varietà principale e più diffusa su tutto il territorio. Tuttavia, esistono anche un ridotto numero di cultivar minori come Femminella, Natalora, Agostana, Silvana, Cerasola, Cappuccia, Insolia, Ghiandalora, Gialla, Tardiva e Pignatone, caratterizzate da frutti di dimensioni minori, con forma allungata e una percentuale di deiscenza estremamente bassa. La maggior parte di queste cultivar non è più coltivata commercialmente, né disponibile nei vivai e, per evitare la rapida erosione genetica, è stata recentemente raccolta in un campo collezione dell’l’Università di di Palermo.
In generale, i frutti di tutte le varietà siciliane sono caratterizzati da un profilo organolettico unico e da un elevato contenuto di clorofilla dei cotiledoni.

Impollinatori per il pistacchio

In Sicilia l’impollinazione delle piante femminili è in genere affidata sia ad individui maschili spontanei di P. terebinthus, sia, più sporadicamente, a genotipi maschili di P. vera introdotti in coltura nel pistacchieto. Numerosi studi hanno dimostrato che la regolare impollinazione delle piante femminili viene assicurata quando la percentuale di individui maschili non è inferiore al 8- 10%.

 

Frutti di pistacchio della cultivar Bianca con mallo

Nelle aree pistacchicole siciliane i maschi spontanei di terebinto tendono a fiorire con sensibile anticipo rispetto alle piante femminili della cultivar Bianca, con conseguenze negative sull’impollinazione e sulla fruttificazione di queste ultime. Tra le cultivar maschili appartenenti alla specie P. vera, le più utilizzate a livello internazionale sono Peters e Chico in California, Beta e Gamma in Grecia, Ask in Israele.
In Sicilia, solo recentemente alcuni genotipi di P. vera sono stati utilizzati come impollinatori. Complessivamente otto genotipi di P. vera (M1; M3; M4; M5; M7; M8; M9 e M10) sono stati selezionati presso l’Università di Palermo e solo tre di essi (M1, M4 e M5) sono stati proposti come la migliore opzione per l’impollinazione della cultivar siciliana Bianca.
Osservazioni condotte sulla fenologia della fioritura di questi genotipi maschili hanno consentito di rilevare che nel complesso si riesce a coprire un fenogramma di fioritura che va dall’ultima settimana d’aprile (± una settimana) fino alla prima di maggio (± una settimana), con buona sovrapposizione con la piena fioritura della Bianca.
D’altra parte, la variabilità osservata di anno in anno per l’epoca di piena fioritura sia delle piante maschili, sia di quelle femminili, di per sé suggerisce l’opportunità di non fare affidamento su uno solo dei maschi selezionati, ma piuttosto di assicurare comunque la presenza di un ampio ventaglio di genotipi in grado di compensare gli effetti dovuti alla normale variabilità annuale.

Portinnesti per il pistacchio

Il P. terebinthus è il principale portainnesto utilizzato nei pistacchieti siciliani. In passato, piante spontanee di terebinto, che crescevano sui terreni rocciosi e ripidi del monte Etna, venivano innestate con marze di P. vera per ottenere i cosiddetti “pistacchieti naturali” tipici di queste zone. Oltre a questi “impianti naturali”, oggi in Sicilia sta velocemente crescendo un nuovo modello di pistacchicoltura con impianti che implementano densità regolari (m 6,5 x 5) con pratiche colturali razionali. In questi sistemi moderni il terebinto, grazie alla sua rusticità, viene ancora utilizzato come portinnesto. Purtroppo, gli aspetti negativi della scelta del P. terebinthus quali elevata suscettibilità al Verticillium dahliae, lentezza di crescita in vivaio, parziale incompatibilità d’innesto, scarsa capacità rizogena, eterogeneità delle piantine e lunghissimo periodo improduttivo, limitano la diffusione di questa specie in nuove aree vocate della Sicilia.

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Impianti naturali di pistacchio innestati su P. terebinthus senza una regolare spaziatura e in terreni rocciosi vulcanici dell’Etna

Oggi numerosi sono i portinnesti disponibili sul mercato internazionale. L’ibrido UCB1 (P. atlantica × P. integerrima), sviluppato dall’Università della California, è il più utilizzato negli Stati Uniti. È stato anche adottato in tutto il mondo per la sua tolleranza a Verticillum e per il suo elevatissimo vigore che consente una riduzione del periodo improduttivo a circa 7-8 anni dalla messa a dimora, contro una media di 10 anni richiesti per la combinazione di innesto Bianca/terebinto.

Produzione e qualità

Nel mondo le produzioni di pistacchio sono quasi raddoppiate nell’ultimo ventennio passando dalle 549.798 t del 2000 alle 911.829 t del 2019 (Faostat). Il contributo della produzione italiana, nonostante le pregevoli caratteristiche qualitative, rappresenta oggi meno dello 0,6% della produzione mondiale. Tuttavia, i pistacchi italiani mantengono una posizione di mercato dominante, soprattutto per il diverso uso del prodotto che, contrariamente alle produzioni internazionali, viene interamente destinato all’industria dolciaria e dei gelati. Per questo motivo le esportazioni italiane di pistacchi, comprese tra 1.000 e 2.000 t/anno, sono principalmente da pistacchi sgusciati e pelati, mentre le importazioni (circa 9.000 t) sono costituite da pistacchi in guscio, salati e tostati per essere consumati come “snack” per i mercati interni e, in parte, per la riesportazione.

La produzione negli impianti siciliani moderni e più specializzati è variabile, con una media per pianta compresa tra un minimo di 3 kg ad un massimo di 7-10 kg (di prodotto in guscio ed essiccato), corrispondenti a circa 1,6 t/ha in anni di carica. Nei “pistacchieti naturali” alle pendici dell’Etna i valori si riducono in maniera considerevole, attestandosi mediamente a circa 0,8 t/ha durante l’anno di carica. In tutti i casi, le produzioni unitarie nazionali risultano significativamente inferiori rispetto alle 2,5 t/ha di pistacchi secchi commerciabili in guscio di un impianto californiano irrigato e a pieno regime.

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Ramo carico di pistacchio della cv Bianca

Nonostante la bassa produttività e grazie alle peculiari caratteristiche organolettiche dei frutti della cv Bianca, comunque, sul mercato internazionale il pistacchio siciliano è generalmente venduto a prezzi molto alti. Il prezzo medio di un chilogrammo di prodotto italiano in guscio, nell’ultimo quinquennio, è stato di 12,20 €, quasi il doppio del prodotto iraniano e addirittura il triplo rispetto al prezzo medio (circa 4,3 €) pagato nello stesso periodo per il prodotto statunitense.

Oltre agli aspetti varietali, numerosi altri fattori influenzano le caratteristiche qualitative dei frutti, tra i quali notevole importanza assumono le tecniche di essiccazione. In Sicilia, in particolare, il prodotto una volta raccolto e smallato viene steso al sole per 4-5 giorni. Nei principali Paesi produttori (Iran e USA), invece, da tempo vengono impiegati essiccatoi meccanici. Rispetto al metodo “tradizionale”, l’impiego di essiccatoi automatici ad aria calda (70-75 °C) comporta diversi vantaggi quali: tempestività nelle operazioni di essiccazione, possibilità di programmare il calendario di raccolta e di ridurre l’impiego di manodopera, minori rischi di attacchi di patogeni. Va tuttavia sottolineato che le temperature di essiccazione superiori ai 60 °C possono esser causa di alterazioni della clorofilla e riduzione della qualità.
Recentemente, anche in Italia si è passati a tecniche di essiccazione automatiche, utilizzando temperature al di sotto dei 55 °C, valore che, sebbene allunghi i tempi di essiccazione, consente di evitare il decadimento qualitativo del prodotto.

Sistemi d’impianto e tecniche colturali da rivedere

L’unicità dell’industria di produzione del pistacchio in Italia (Sicilia) è chiaramente associata all’alta qualità organolettica dei frutti della cultivar autoctona Bianca. La grande attenzione alle sue qualità organolettiche, in particolare al colore verde dei cotiledoni e alla quantità di composti volatili, è legata al principale uso commerciale di questo prodotto come ingrediente in gastronomia, in pasticceria e nell’industria di trasformazione (in particolare per gli insaccati). A fronte di ciò, che potrebbe costituire un concreto vantaggio anche in termini commerciali, occorre però rimarcare il deficit di innovazione che permane in larga parte del sistema produttivo tradizionale dell’isola, legato soprattutto ai sistemi d’impianto e alle tecniche colturali che, per ragioni strutturali, risultano modificabili con difficoltà.

  • Per ciò che riguarda i nuovi impianti, è imprescindibile, laddove le situazioni lo consentano, che si adottino sistemi e configurazioni d’impianto moderni e razionali in cui al primo posto sia prevista l’irrigazione e la meccanizzazione integrale delle operazioni colturali.
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Pianta di UCB1, alla prima foglia, pronta per l’innestata in campo
  • Il rustico e locale portinnesto P. terebinthus, tradizionalmente utilizzato in passato, dovrebbe essere sostituito dal più vigoroso ibrido P. atlantica × P. integerrima, per ridurre il periodo improduttivo e rendere questa coltura un investimento sostenibile a più breve termine. L’adozione del portainnesto UCB1, già in atto nei pistacchieti di nuova costituzione, potrebbe consentire l’espansione di questa coltura in nuove aree caratterizzate da terreni più pesanti dove attualmente non può essere impiantato a causa della suscettibilità del P. terebinthus al Verticillum.
  • Gli impianti già esistenti di tipo “naturale” dell’areale etneo, in considerazione delle peculiarità ambientali e strutturali che li caratterizzano, sono quelli per i quali è oggettivamente più difficile il ricorso a tecniche mutuate da altre realtà produttive avanzate. Purtuttavia, anche in questi casi si ritiene esistano margini di possibile, concreto miglioramento delle produzioni.
  • La razionalizzazione delle tecniche di potatura e di concimazione e il ricorso all’irrigazione, sia pure con modesti volumi idrici, potrebbero sicuramente contribuire a mitigare il fenomeno dell’alternanza di produzione oltre che a migliorare gli aspetti più strettamente produttivi ed economici.
  • In ultimo, sotto il profilo della qualità dei frutti, la diffusione di metodi di essiccazione alternativi rispetto a quelli tradizionali potrebbe contribuire all’ammodernamento del ciclo produttivo post-raccolta senza inficiare le caratteristiche di pregio che rendono unico il pistacchio siciliano.
Rilanciare il pistacchio innovando gli interventi tecnici e agronomici - Ultima modifica: 2021-07-19T15:20:39+02:00 da Lucia Berti

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