Il comparto frutticolo italiano attraversa, come noto, una perdurante situazione di criticità che, pur variando significativamente tra le diverse specie, trova una comune chiave di lettura nella definizione di prezzi alla produzione insoddisfacenti per i frutticoltori. L’efficienza produttiva, difatti, è aumentata considerevolmente nel corso del tempo per la maggior parte delle principali specie da frutto (Palmieri e Pirazzoli, 2018) e ciò ha certamente contribuito a contenere i costi di produzione (espressi per unità di peso), nonostante i crescenti investimenti richiesti ad una moderna impresa frutticola ad alta professionalità. Pur essendovi indubbiamente ulteriori margini di miglioramento dell’efficienza, da valutare comunque in relazione alla risposta qualitativa di ciascuna specie, è evidente come sia stato soprattutto il mercato a mancare nell’offrire quotazioni sufficienti a garantire un adeguato riconoscimento degli sforzi sostenuti, se non in un numero limitato di casi.
Le cause che determinano il perdurare di questa situazione di criticità sono molteplici e, talvolta, ad azione concomitante: tra di esse, una delle principali è individuabile nella pressione produttiva presente sui mercati europei, rafforzata dalla forte crescita dell’offerta nei vicini Paesi del bacino del Mediterraneo che, con crescente facilità, entra nei mercati europei in forza di accordi commerciali con i rispettivi Paesi. Sono poi individuabili ulteriori cause correlate, ma in ogni caso con scarso potere di controllo su di esse. È altresì evidente come la crescita dell’offerta abbia favorito una massificazione della stessa che, congiuntamente all’affermazione della filiera che trova nella grande distribuzione organizzata il principale sbocco, ha determinato una perdita pressoché totale di controllo da parte del comparto produttivo.
I prezzi alla produzione:
un’analisi dal 2010
L’esame degli indici dei prezzi alla produzione per le principali categorie di prodotti agro-alimentari evidenzia come la frutta presenti una dinamica sostanzialmente in linea con le altre referenze, ma in ogni caso caratterizzata da una ridotta crescita. In particolare (Fig. 1), nel 2018 l’indice mostra una crescita inferiore al 10% rispetto al 2010 e, comunque, in tutto il periodo si è registrato un valore massimo attorno al 20%, peraltro in una sola annata. Come detto, questo andamento si è confermato anche per gli altri più rilevanti raggruppamenti merceologici, con la sola eccezione del vino e dell’olio d’oliva, a testimonianza di un comune problema di stagnazione dei prezzi per l’intera agricoltura italiana.
Così come i prezzi alla produzione, anche l’indice dei prezzi delle materie prime acquistate risulta piuttosto altalenante e, nel complesso dell’arco di tempo considerato, si mantiene sugli stessi livelli (Fig. 2), anche se è comunque individuabile un tasso di crescita lievemente maggiore. In ogni caso, poiché gli indici partono dall’anno 2010, mentre numerose referenze frutticole si trovano in uno stato di criticità economica da più tempo, è evidente come la situazione non tenda a migliorare, ma al contrario si mantenga tale o, addirittura, peggiori leggermente.
Interessante è anche l’analisi del dettaglio mensile degli indici dei prezzi alla produzione della frutta (Fig. 3), che evidenzia piuttosto chiaramente uno stato di maggior sofferenza nel periodo estivo rispetto a quello invernale. L’evidenza visiva trova conferma nella media degli indici relativi ai mesi estivi (da giugno a settembre) rispetto alla media dei rimanenti mesi: nel primo caso, il dato medio dell’intero periodo in esame risulta pari a 101, mentre nel secondo è poco più alto di 108.
Nel contempo, nell’arco temporale 2008-2016 e secondo quanto desumibile dalla banca dati della RICA (Rete di Informazione Contabile Agricola) l’andamento della produzione lorda vendibile (PLV) per alcune tra le principali specie da frutto (Fig. 4) evidenzia un andamento della stessa non soddisfacente. In particolare, il grafico mostra una sostanziale stagnazione dei ricavi per ettaro, espressi in moneta corrente, per melo, pero e pesco, mentre per albicocco, actinidia e susino si è registrato un lieve miglioramento. Va tuttavia registrato che per il susino la crescita della PLV è dovuta maggiormente all’aumento delle rese produttive rilevate, mentre negli altri due casi sono stati i prezzi a determinare gran parte della crescita.
Recenti tendenze
nel dettaglio ortofrutticolo
I consumi di ortofrutta, dopo numerosi anni di progressiva decrescita, attraversano dal 2014 una fase di leggera ripresa che ha portato gli acquisti domestici ad 8,5 milioni di t, con un aumento di circa 900.000 t nel periodo dal 2014 al 2017. Il 54% di tale volume è rappresentato dalla frutta che, anche nei primi 9 mesi del 2018, ha proseguito la sua ripresa, crescendo di un ulteriore 1% in volume e 3% in valore.
Parallelamente a questa ripresa dei consumi si è assistito ad un’inversione delle tendenze relativamente alla distribuzione degli acquisti per canale distributivo: se fino al 2013 la crescita delle quote di mercato della Grande Distribuzione Organizzata pareva inarrestabile, a partire dal 2014 tale crescita, considerando il canale nel suo complesso, si è arrestata. In particolare, super e ipermercati hanno visto regredire la propria quota di rappresentatività al 33% e al 9,5% rispettivamente, mentre solo i discount sono aumentati arrivando a toccare il 16%. Evidente è, invece, la ripresa degli altri canali distributivi, con il dettaglio specializzato, in particolare, che aumenta del 45% i volumi venduti dal 2013 al 2017.
Nella pratica, dunque, il “driver” di gran lunga principale della ripresa dei consumi di ortofrutta negli ultimi anni sono stati i canali definibili come “tradizionali”, mentre gli acquisti nei canali GDO, discount a parte, sono rimasti sostanzialmente fermi. Ciononostante, la Gdo nel suo complesso rappresenta tuttora il 61% degli acquisti di ortofrutta in Italia. Dal momento che una quota così ampia dei volumi di ortofrutta acquistati al dettaglio dalle famiglie italiane passa attraverso la Gdo, è inevitabile, se si intende mantenere l’attuale livello produttivo, confrontarsi primariamente con gli attori di questo canale.
L’ultimo rapporto dell’area studi di Mediobanca sulla Gdo conferma quanto già si poteva intravedere dai precedenti studi e delinea uno scenario in cui alla costante crescita delle vendite non corrisponde quella dei margini industriali; segno di un mercato sempre più consolidato e che mostra le prime avvisaglie di saturazione. Nel 2017, infatti, il fatturato aggregato dei maggiori operatori della Gdo italiana, che rappresentano il 97% del mercato della Gdo alimentare nazionale, ha sfiorato 83 miliardi di euro, con un aumento del 4,4% rispetto all’anno precedente (crescita commerciale più consistente dal 2014), ma il margine operativo netto è risultato in calo del 5,5% e il risultato corrente del 5,9%.
Questi pochi e semplici numeri fanno comprendere come la competizione, nell’ambito della Gdo, abbia raggiunto livelli estremamente alti, tali da rendere necessarie politiche sempre più spinte per il recupero della marginalità, che si riflettono inevitabilmente anche sui fornitori e in questo specifico caso sui frutticoltori. Tali politiche, peraltro, sfociano talvolta in veri e propri comportamenti scorretti dal punto di vista commerciale, anche se sotto questo punto di vista va accolto con soddisfazione la crescente sensibilità delle Istituzioni nazionali ed europee in merito. Il Parlamento dell’Ue, infatti, ha di recente approvato una direttiva che indica una serie di pratiche ritenute scorrette che dovranno essere obbligatoriamente sanzionate. In particolare, le pratiche individuate sono 16 e, tra queste, si può citare il ritardo nei pagamenti per i prodotti deperibili, il rifiuto di concedere un contratto scritto al fornitore e la restituzione di prodotti invenduti.
Nonostante ciò, considerando anche che sono i discount a registrare continuamente le migliori performances economico-finanziarie nell’ambito della Gdo, oltre al maggior tasso di crescita dei punti vendita, e che la politica di controllo dei prezzi al consumatore è la principale etichetta di questi, appare oltremodo chiaro come la direzione del prodotto che transita per il canale della Gdo sia sempre più quella di una massificazione dei volumi da proporre al consumo a prezzi altamente competitivi, il che rende particolarmente difficile prevedere quanto auspicato per il settore primario, cioè il rilancio dei prezzi percepiti alla produzione, nella fattispecie dai frutticoltori.
In ogni caso, chi intende operare in questo canale per trovare sbocco a rilevanti volumi produttivi di qualità ordinaria non ha alternativa alla stipula di intese che permettano di aumentare la concentrazione del prodotto disponibile, ricercando così un più elevato potere contrattuale, migliorando contestualmente l’efficienza logistica che tale canale impone. Al contrario, con la frammentazione dell’offerta, il mondo della produzione non può che trovarsi in grave difficoltà, anche alla luce della crescita dell’offerta all’estero e dalla diminuzione delle barriere al commercio.
Forme innovative di filiera
La recente dinamica degli acquisti domestici evidenzia che, pur rimanendo la Gdo il canale largamente più rappresentativo, il consumatore di ortofrutta si mostra sempre più interessato ad altre forme, siano esse la riscoperta di un canale di dettaglio tradizionale altamente specializzato, alimentato direttamente da mercati alla produzione (Vignola, Cesena, ecc.), oppure forme innovative che, nella maggior parte dei casi, rientrano nella classificazione di “filiera corta”.
I dati relativi a questo canale sono frammentari e non omogenei e, dunque, risulta difficile ricostruire precise dinamiche, ma da numerosi sondaggi e ricerche trova conferma una decisa crescita di interesse, anche perché sempre maggiori sono le forme con cui la filiera corta si manifesta, allo scopo di raggiungere quote crescenti di consumatori a cui proporre ciò che è ricercato in questo canale: prodotti di qualità con un buon rapporto qualità/prezzo, preferibilmente locali e con una profondità di gamma che il canale Gdo ha progressivamente ridotto a causa delle sue peculiari esigenze logistiche.
Di particolare importanza è l’interesse che il consumatore evidenzia manifestamente nei riguardi dei prodotti a “Km0”, un’opportunità che la maggior parte delle forme di vendita a filiera corta, sia di tipo tradizionale, sia più innovativo, può cogliere. Di seguito, si presenta una breve panoramica delle più comuni forme di vendita alternative.
Le prime e più semplici forme consistono nella vendita diretta individuale, come quella aziendale o in mercatini dedicati, ma sono caratterizzate dall’estrema limitatezza di consumatori raggiungibili. Seppur praticate da una crescente quota di produttori ortofrutticoli, queste modalità sono comunque destinate a rimanere marginali nel quadro complessivo del comparto.
L’obiettivo deve essere, invece, quello di passare a forme di vendita diretta “organizzata”. Tra le forme riconducibili a questa modalità una delle più impattanti è quella basata su punti vendita di prodotti locali gestiti in partnership tra più imprese nell’ambito di grandi centri urbani.
Altre forme di potenziale impatto sono le reti di impresa finalizzate al commercio “on-line”, sia di sola ortofrutta, sia insieme ad altri prodotti agro-alimentari, con i quali ricercare opportune sinergie.
Un’ulteriore evoluzione di grande interesse della filiera corta può esprimersi nei termini di vere e proprie relazioni “B2B” (“business to business”), cioè rapporti diretti e permanenti con clienti di grande dimensione che possono essere rappresentati da soggetti Ho.Re.Ca, catene di hotel, ristoranti o ristorazione collettiva pubblica.
Infine, relazioni dirette a corto raggio possono essere instaurate anche nei punti vendita della Gdo, con punti “corner” di ortofrutta locale. Evidenti sono, soprattutto in quest’ultimo caso, i vantaggi in termini di volumi esitabili. Diverse catene distributive hanno realizzato che il reparto dei freschissimi è il veicolo primario per instaurare una relazione duratura con i clienti, nonché il “driver” principale che consente di rendere continuativa questa relazione, qualificando il negozio e l’assortimento e fidelizzando i clienti stessi. Il rifornimento diretto dei punti vendita da parte di associazioni di produttori locali, senza passare per i tradizionali centri di distribuzione della Gdo, permette una maggiore freschezza dei prodotti, un rapporto più diretto con i consumatori locali e con le loro peculiari esigenze ed una più diretta valorizzazione della territorialità. A titolo di esempio, un’esperienza condotta nell’Imolese su pesche e nettarine, ha evidenziato una liquidazione netta ai frutticoltori pari a 0,8-0,9 €/kg per il prodotto così commercializzato (Palmieri e Pirazzoli, 2017), dunque ben superiore alle quotazioni riconosciute ai produttori dai canali più massivi.
Tutte le soluzioni proposte, naturalmente, prevedono per le imprese interessate importanti investimenti, ad esempio in piccole linee di lavorazione e conservazione della frutta, nonché un considerevole plus di impegno logistico-organizzativo. Di contro, sono da considerare gli effetti concorrenziali di altri “competitor”, quali il commercio tradizionale o le grandi piattaforme “on-line”. Il successo è, in ogni caso, connesso al coinvolgimento coordinato ed organizzato di diverse imprese di una medesima zona, sia per rendere più sostenibili gli investimenti necessari, sia per la creazione di un’opportuna massa di prodotto, disponibile con continuità e con un’apprezzabile varietà di referenze. Per imprese agricole ad elevata professionalità e disposte ad investire, quindi più esposte alle crisi del mercato tradizionale, questo canale può tuttavia rappresentare una valida alternativa.
Conclusioni
Il canale di commercializzazione di riferimento per il comparto frutticolo, quello che dalle grandi strutture di lavorazione, spesso di tipo cooperativo, sfocia nella moderna distribuzione organizzata, italiana od estera, non ha adottato nel tempo la dovuta concentrazione e valorizzazione dell’offerta, tuttora frammentata e scarsamente qualificata. Le catene distributive, ad eccezione di limitate iniziative, hanno da tempo intrapreso una strada di forte concorrenzialità, con un’elevata pressione sul prezzo di vendita che viene scontata dall’ultimo anello della filiera, l’impresa frutticola.
Al fine di trovare una soddisfacente soluzione alla scarsa valorizzazione ricevuta dal prodotto nei canali massivi, appare inevitabile, soprattutto per le imprese più professionali e propense ad investire, pensare a forme alternative di filiera, maggiormente in grado di valorizzare le produzioni di qualità. La filiera corta, partita alcuni anni fa come esperienza di nicchia, nelle sue forme più semplici, oggi offre interessanti e articolate opportunità che, al costo di un inevitabile sforzo organizzativo supplementare, permettono di raggiungere importanti quote di consumatori. Anche questo canale richiede un’azione di coordinamento delle imprese che difficilmente possono affrontare con successo da sole le forme più articolate di vendita diretta, ma i volumi occorrenti, tuttavia, sono ben più contenuti rispetto a quelli che occorre raggiungere per affrontare i canali distributivi massificati e, dunque, maggiori appaiono le probabilità di successo.
La filiera ortofrutticola italiana alla ricerca di canali alternativi
Ancora troppo scarso il livello di aggregazione del prodotto, mentre la grande distribuzione risente di una crescente concorrenzialità che sfocia nella battaglia dei prezzi bassi. Ci rimette unicamente il produttore. Filiera corta, vendite “on-line”, reti di imprese e negozi altamente specializzati: sono alcune possibilità per valorizzare la qualità dell’ortofrutta e pagarla quanto merita.