Actinidia, la ricerca della qualità parte in vivaio

Piante sane, certificate, con un apparato radicale ben formato sono la base per un impianto di actinidia performante. La corretta gestione del suolo e un’irrigazione di precisione completano il lavoro

Oggi coltivare actinidia vuol dire fare i conti con la morìa e non c’è varietà o portinnesto che possano dare garanzie se prima non si fa una revisione delle tecniche agronomiche. Fondamentale poi, nella predisposizione degli impianti, è un’accurata scelta varietale in base alle proprie possibilità e all’areale di produzione. Queste sono, in estrema sintesi, le considerazioni fatte da Pericle e Davide Simeoni del vivaio Simeoni a Sacile (Pordenone), specializzato nella produzione di piante di actinidia. Passione e professionalità sono le qualità che contraddistinguono il loro lavoro e che da oltre quarant’anni li guidano nella vendita e nel supporto ai frutticoltori che si affidano a loro. Vediamo più nel dettaglio i loro consigli.

actinidia vivai
Da sinistra: Davide e Pericle Simeoni

Varietà di actinidia con radici molto sviluppate già in vivaio

«In vivaio produciamo piante di actinidia a radice nuda e piante in vaso concentrandoci sulle varietà a polpa verde, Hayward e Boerica – spiega Davide Simeoni. Il vivaio di actinidia a radice nuda è situato in una zona particolarmente fertile (golena del fiume Tagliamento) che ci permette di produrre piante con un apparato radicale molto ben formato e ricco di capillizi radicali.

Perché scegliere le varietà di actinidia a polpa verde? «Innanzitutto crediamo nelle loro possibilità di sviluppo - continua Davide Simeoni.

Il repentino invecchiamento degli impianti e la morìa che ha colpito zone storiche di coltivazione hanno spinto i coltivatori a orientarsi verso altre specie, portando a un netto calo produttivo nazionale del kiwi verde, coltivazione nella quale l’Italia primeggiava in quantità e qualità fino a pochi anni fa.

Da non sottovalutare la redditività di questa coltura, determinata da un relativamente basso impegno in campo ed un buon livello del valore del prodotto. Volendo esaminare le quotazioni degli ultimi 5 anni, per prodotto nazionale di buon livello, siamo sempre intorno a € 1/kg.

Si tratta poi di una varietà senza vincoli, è più semplice da coltivare rispetto al kiwi giallo, i costi di gestione sono più contenuti, si adatta molto bene a diversi areali, la produttività è costante, i frutti hanno una estesa conservazione post-raccolta che permette una campagna di vendita prolungata.

Sicuramente per chi inizia una nuova attività o si approccia per la prima volta all’actinidia, consigliamo di partire con degli impianti di kiwi verde. Fermo restando la corretta gestione del suolo».

Dimenticare le vecchie e cattive abitudini

Ed è proprio su questi aspetti che interviene Pericle Simeoni. «A causa della morìa le aziende si trovano da anni in forte difficoltà. Ritengo che ci siano alcuni errori ricorrenti sui quali intervenire: prima di tutto l’eccesso idrico. Se si procede con l’irrigazione senza aver veri­ficato il contenuto idrico del terreno, si rischia l’accumulo di acqua in falda.

Raggiungendo la capacità di campo, la parte superiore del terreno non riesce a drenare e l’apparato superficiale rimane in condizioni di asfissia. È fondamentale entrare in campo, vangare il terreno e prendere la terra in mano. Se si “stampa” non c’è bisogno di irrigare. Un metodo non innovativo ma sempre efficace.

In abbinamento al ristagno idrico c’è il compattamento del terreno. Questo avviene quando si entra in campo con macchine pesanti su terreni umidi, andando a peggiore le condizioni di asfissia. In alcuni casi, soprattutto in fase di raccolta, le ruote vanno a calpestare il terreno in una porzione molto vicina alla pianta, quella dove c’è la maggior parte dei fasci radicali che in questo modo vengono frantumati.

In presenza di terreno umido e di una ridotta, se non assente, assunzione radicale da parte della pianta, i capillizi iniziano un processo di marcescenza che si estende e risale attraverso i cordoni con­duttori delle radici. In assenza delle foglie che segnalano una situazione di carenza, i danni si manifestano in modo evidente solo in fase pre e post fioritura, quando l’apparato radicale non è più in grado di sostenere le esigenze nutrizionali in crescita della pianta.

In tempi di cambiamenti climatici, bisogna anche considerare che ci troviamo a operare in campo con temperature completamente diverse rispetto a quelle di 15 anni fa. In presenza di temperature troppo elevate la pianta blocca la traspirazione delle foglie, che possono così assumere un aspetto appassito. Sintomo che spesso viene erroneamente associato alla mancanza d’acqua e che induce a ribagnare il terreno, peggiorando così la situazione».

Costruire da subito un buon impianto di actinidia

«È importante anche adottare alcune buone pratiche agronomiche sin dalla messa a dimora di un nuovo impianto di actinidia – continua Simeoni.

Ecco alcuni consigli:

  • fornire sostanza organica in pre-ara­tura (mai a contatto con le radici);
  • fare una disinfezione preventiva (soprattutto in caso di ristoppio. Ancora meglio sarebbe lasciare il campo libero per uno o due anni, eradicare completamente le radici e fare un sovescio);
  • lavorare bene il terreno asciutto;
  • baulare prima di piantare;
  • mettere a dimora le piante a un livello superiore al piano di campagna;
  • irrigare in modo molto controllato il primo e il secondo anno (il fabbisogno idrico di una pianta in allevamento è molto inferiore a quello di una pianta in produzione);
  • ridurre gli ingressi in campo e il calpestio;
  • coprire l’impianto con reti multifunzionali.

Il problema più grande è dato proprio dalle vecchie abitudini consolidate. Si fa perché lo si è sempre fatto. Sbagliatissimo. Seguendo i giusti accorgimenti i risultati sono garantiti».

Actinidia, la ricerca della qualità parte in vivaio - Ultima modifica: 2023-07-25T16:02:10+02:00 da Sara Vitali

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome