Vaso strutturato: evoluzione sostenibile dell’allevamento in volume

vaso strutturato
Impostazione della forma a vaso strutturato su albicocco
La costante ricerca di una maggiore sostenibilità economica e ambientale delle produzioni, che favorisca al tempo stesso le innovazioni tecniche, implica tra le varie tematiche anche un’evoluzione dei criteri di gestione agronomica del frutteto e vede come passaggio fondamentale la transizione da forme di allevamento tradizionali a sistemi più intensivi e specializzati

Le forme di allevamento sono argomento di ricerca e sperimentazione rivolti al fine comune di coniugare la massima resa produttiva ad una semplificazione nella gestione della pianta, senza tralasciare il contenimento dei costi e la qualità delle produzioni. Le variabili da considerare sono molteplici, a partire dalle singole specie, con le loro caratteristiche vegeto-produttive, ai panorami varietali vasti e in continuo rinnovamento e alla scelta dei portinnesti, legata anche alle peculiarità dei suoli interessati. Oltre a queste, anche gli areali di produzione e le loro vocazionalità hanno grande rilevanza e devono essere considerati con attenzione nelle scelte impiantistiche.
Oggi le aziende agricole si trovano di fronte a nuove sfide produttive, dovendosi confrontare con cambiamenti climatici e mutati contesti commerciali e socio-economici che impongono un adeguamento ed una razionalizzazione delle tecniche colturali. Occorre pertanto un nuovo approccio agronomico nell’affrontare le diverse tematiche produttive (irrigazione, nutrizione, difesa fitosanitaria, potatura ecc.) e, come tutte, anche le forme di allevamento devono adeguarsi ai nuovi scenari. Forte è quindi l’esigenza di innovare le scelte impiantistiche (densità di piantagione, distribuzione della chioma, idoneità alla meccanizzazione ecc.) e le singole operazioni colturali (potature, diradamento ecc.). Il vaso strutturato ne è un esempio. Vediamo di cosa si tratta.

Articolo pubblicato su rivista di Frutticoltura n. 5/2024

Le forme in volume

Il vaso è una delle forme di allevamento in volume più utilizzata in frutticoltura e nel corso della sua lunga storia è stato diversamente interpretato in merito a gestione della pianta e dimensioni della chioma. Può essere di forma “semilibera” dove, per dirigere all’esterno i rami che diventeranno le branche primarie (solitamente 4-5), si ricorre in maniera importante all’impiego di divaricatori come canne o corde; in alternativa, si può optare per il vaso “ritardato” dove, al momento dell’impianto, l’astone non viene cimato come in precedenza, ma lasciato intero e sfruttato per creare (nei primi 3-4 anni di vita della pianta) una vera e propria branca verticale che, occupando lo spazio ed intercettando la luce, induce le altre branche a svilupparsi verso l’esterno.

Oggi questi sistemi di allevamento hanno difficoltà a restare al passo con i tempi perché caratterizzati da potature di allevamento e produzione particolarmente onerose in termini di manodopera impiegata e livello di competenza degli operatori. Inoltre, le densità d’impianto sono relativamente basse (600-700 piante/ha) e questo si ripercuote negativamente sulle rese produttive, i costi di gestione e l’ammortamento dei capitali investiti. La potatura si basa su caratteristici tagli detti “sgolature”, eseguiti lungo le branche e necessari per conferire alla pianta una forma espansa e permettere alla luce di penetrare all’interno della chioma. Tuttavia, questi tagli, oltre a causare un ritardo nell’entrata in produzione per via del legno produttivo che viene asportato, implicano anche una forte emissione di germogli vigorosi (“succhioni”) che devono essere adeguatamente gestiti durante la potatura verde, per non compromettere l’equilibrio vegeto-produttivo della pianta e l’efficienza delle formazioni fruttifere. Bisogna inoltre sottolineare la scarsa versatilità di queste forme libere ad adattarsi alla meccanizzazione a causa dello sviluppo irregolare della chioma.

vaso strutturato
Strutturazione in un nuovo impianto di susino

Strutturare il vaso

La possibilità di allevare le piante utilizzando una struttura di sostegno non è solo una prerogativa delle forme in parete (palmetta, candelabro, ecc..), ma può essere attuata anche sulle forme in volume. Nel cosiddetto vaso strutturato è presente una palificazione che può essere realizzata con diversi materiali (cemento precompresso o vibrato, legno, ferro) e in base alla robustezza di questi tutori si decide la loro densità. Ad ogni palo viene montato perpendicolarmente un altro tutore (in gergo detto “schioppo”) che solitamente è un paletto di ferro o legno identico a quello che si utilizza, ad esempio, per gli impianti di actinidia allevati a pergoletta. Lo “schioppo” ha una lunghezza compresa tra 1,8 e 2 metri e si posiziona ad un’altezza variabile da 1,7 a 1,8 m da terra. Ad ognuna delle due estremità dello schioppo viene posizionato un filo che, essendo parallelo al filare, funge da appoggio e sostegno ai germogli che la pianta genera nel primo anno di crescita e che, una volta posizionati sul suddetto filo, diverranno lo scheletro produttivo.

Grazie alla struttura di sostegno, la densità d’impianto può essere aumentata in virtù del facile controllo della chioma ed è compresa tra 1.100 e 1.500 piante/ha, con una distanza tra i filari di 4,2 – 4,5 m e una distanza sulla fila tra 1,2 e 2 m, a seconda della vigoria e del portamento. I sesti d’impianto e le misure della struttura sono indicativi e possono variare a seconda delle esigenze dell’azienda agricola in termini di viabilità all’interno del frutteto (trattamenti, sfalci, raccolte ecc.) e del tipo di macchine utilizzate (es. trattrici cabinate). In altri casi la struttura può derivare da un precedente impianto (es. actinidia) ed essere lasciata in opera per attuare una riconversione con una specie diversa ed evitare le problematiche fitosanitarie ed agronomiche legate al ristoppio.

vaso strutturato
Schema costruttivo del vaso strutturato

Allevamento: operazioni semplici e intuitive

In fase di allevamento, al primo anno di vegetazione, si selezionano da 2 a 6 germogli per ciascuna pianta (da 1 a 3 per lato) che, raggiunta la lunghezza adeguata, saranno legati ai fili laterali e costituiranno le branche principali. Oltre a queste, qualora la specie ne tragga giovamento, può essere utile legare anche dei germogli secondari tra una branca e l’altra per aumentare il legno permanente. Per una migliore formazione della pianta è corretto che i germogli generati dal tronco principale siano posizionati ad un’altezza di 60-70 cm da terra, per poter conferire alle future branche un angolo di inclinazione ottimale per l’intercettazione della luce.

In questo sistema la fase di allevamento risulta molto semplice in quanto, per conferire alla pianta la forma corretta, non servono divaricatori o potature più o meno “energiche” o “ragionate”, ma si procede a legare i germogli ai fili laterali. Concluso l’allevamento si ottiene un vaso dalla caratteristica forma a Y, con una struttura molto lineare e regolare. L’entrata in produzione risulta molto rapida e già in seconda foglia si ottengono rese importanti perché, rispetto al vaso classico, si evitano i tagli necessari per deviare all’esterno la vegetazione e di conseguenza non si asporta il legno produttivo. Inoltre, anche l’aumento sensibile della densità d’impianto contribuisce considerevolmente all’incremento delle produzioni e riduce la fase improduttiva.

Produzione: semplificare le operazioni colturali

Una volta completato l’allevamento è possibile meccanizzare alcune delle principali operazioni agronomiche come la pre-potatura, il diradamento e la cimatura estiva al verde. Su piante adulte, la pre-potatura viene eseguita meccanicamente utilizzando una barra di taglio che effettua un “topping” sopra al filo laterale a cui sono legati i rami. La parte terminale delle branche è solitamente quella più soggetta al riscoppio vegetativo, con abbondante emissione di germogli vigorosi ed inadeguati ai fini produttivi; la loro eliminazione favorisce l’esposizione alla luce e la maturazione delle formazioni fruttifere.

Grazie all’utilizzo delle macchine, l’operatore viene sgravato dall’eseguire manualmente i tagli più impegnativi ed onerosi soprattutto in termini di quantità di legno da asportare, riducendo così le ore di manodopera necessarie. In commercio sono disponibili attrezzature dotate di barre falcianti o dischi rotanti che si prestano facilmente alle diverse tipologie di taglio a seconda dell’età dell’impianto, abbinandosi facilmente al parco macchine presente in azienda.

L’intervento manuale si esegue successivamente a quello meccanico e, più che una vera e propria potatura, può essere considerato una rifinitura che ha lo scopo da un lato di tagliare i rami che si sono sviluppati all’interno del vaso e garantire l’ingresso della luce anche nelle zone più basse della pianta, dall’altro, di diradare o raccorciare il legno (sia nella parte esterna che in quella terminale delle branche) a seconda del carico produttivo desiderato.

In fioritura oppure durante la fase iniziale di accrescimento dei frutti, è possibile effettuare il diradamento meccanico in virtù del fatto che la macchina opera su formazioni fruttifere (brindilli, rami misti) inserite su branche perfettamente allineate lungo il filare, non sovrapposte, mal posizionate o troppo sporgenti. Oggi sono disponibili sul mercato macchine concepite appositamente per questi scopi che offrono buoni risultati dal punto di vista sia economico (risparmio in ore di manodopera), sia agronomico (tempestività nell’esecuzione e aumento del calibro dei frutti).

Successivamente, come per la potatura, è possibile intervenire manualmente con un diradamento di rifinitura per regolare con precisione il numero di frutti sulla pianta.

Il vaso strutturato è al passo con i tempi

L’aumento della densità d’impianto e l’utilizzo delle macchine nelle varie fasi di coltivazione rendono il vaso strutturato nettamente competitivo e comparabile, in termini di prestazioni, ad altre forme di allevamento considerate più efficienti (es. forme in parete). La viabilità all’interno del frutteto risulta molto agevole, sia per eseguire i trattamenti fitosanitari, sia per le operazioni di raccolta, in quanto la chioma, sostenuta da una struttura portante, evita di flettersi a causa del carico produttivo e non ostacola il passaggio dei mezzi nell’interfilare. Inoltre, la resa oraria della manodopera sia per la potatura, sia per diradamento e raccolta, risulta massimizzata perché le piante sono ordinate e facilmente accessibili dagli operatori.

Dal punto di vista fisiologico, la distribuzione della luce all’interno della chioma risulta maggiore e più uniforme evitando ombreggiamenti che impoveriscono il legno e compromettono la differenziazione a fiore. Anche la percentuale dei frutti esposti alla luce è maggiore con un effetto positivo sulle caratteristiche qualitative del prodotto.

Gli oneri d’impianto, rispetto ad un a vaso classico, sono superiori (materiali e manodopera per la realizzazione della struttura di sostegno, elevato numero di piante), ma va ribadito che questi investimenti vengono agevolmente ammortizzati dalla rapida entrata in produzione, dalle maggiori rese produttive e dai minori costi di gestione.

Le diverse specie

Il vaso strutturato offre ottimi risultati su drupacee come albicocco e susino, dove è utile posizionare sui fili laterali, oltre alle branche primarie, anche altri rami secondari, per poter invecchiare un abbondante quantità di legno, fondamentale per ottenere frutti di elevato pregio.

Su molte varietà di pesco e nettarine, dove la potatura di produzione è indirizzata sul legno di un anno, si possono adottare sesti d’impianto molto stretti sulla fila (1,2 – 1,3 m) in combinazione con portinnesti a ridotta vigoria (es. Adesoto) e raggiungere rapidamente produzioni elevate.

Articolo pubblicato su rivista di Frutticoltura n. 5/2024

Da forme tradizionali a sistemi specializzati

La costante ricerca di una maggiore sostenibilità economica e ambientale delle produzioni, che favorisca al tempo stesso le innovazioni tecniche, implica tra le varie tematiche anche un’evoluzione dei criteri di gestione agronomica del frutteto e vede come passaggio fondamentale la transizione da forme di allevamento tradizionali a sistemi più intensivi e specializzati, come il vaso strutturato.

Nell’attuale contesto socio-economico l’impresa agricola si trova ad assumere operatori che spesso non hanno la conoscenza delle dinamiche vegeto-produttive della pianta e per operare correttamente, sia nella fase di allevamento che in produzione, è necessario fornire loro istruzioni semplici e ripetitive, che lascino meno spazio possibile ad interpretazioni personali, consentendo di intervenire in campo senza commettere errori grossolani. Inoltre, la difficoltà nel reperire manodopera rende necessario il ricorso alla meccanizzazione per agevolare le operazioni colturali più importanti ed onerose, che spesso non trovano esecuzione nelle giuste tempistiche proprio per questo motivo. La gestione meccanizzata del frutteto necessita di impianti che si adattino alle macchine utilizzate, al fine di una gestione razionale e correttamente integrata nei cantieri di lavoro.

Il “vaso strutturato” rappresenta un’opportunità concreta per aggiornare e ottimizzare la tecnica colturale rispondendo alle nuove esigenze delle aziende agricole, che ricorrono a forme di allevamento in volume per la realizzazione di nuovi impianti frutticoli, garantendosi un’eccellente governabilità.

Vaso strutturato: evoluzione sostenibile dell’allevamento in volume - Ultima modifica: 2024-06-13T10:42:25+02:00 da Redazione Frutticoltura

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