Uve apirene, serve un nuovo orientamento agronomico e commerciale

uve apirene
La parziale conoscenza delle risposte delle nuove varietà di uve apirene nelle nostre condizioni pedoclimatiche limita le opportunità di rinnovamento, così come il fatto che le uve più promettenti appartengano ai circuiti Club. Il produttore vuole rinnovare ma non sa che cultivar impiantare ed è alla continua ricerca di uve libere dai vincoli di commercializzazione ai quali non sono disposti a sottostare

Da diversi anni è stata posta l’attenzione sulla necessità che il comparto italiano adeguasse la propria offerta varietale, per non perdere ulteriori fette di mercato, puntando sulle nuove uve apirene. Non solo perché queste sono sempre più richieste dal consumatore rispetto a quelle con seme, ma anche perché le nuove varietà proposte dovrebbero essere più performanti sia in termini di produzione (volumi elevati e costanti, grappoli grandi e uniformi, facilità di colorazione, riduzione della manodopera, minori costi di produzione, buona “shelf-life”, ecc.), sia per specifiche nuove peculiarità, tra cui la miglior consistenza della bacca (più soda e croccante), nuovi sapori (fruttato, tropicale, esotico), assenza o riduzione delle fisiopatie (“browning”, “cracking”), resistenza o tolleranza a piogge e malattie (in particolare oidio e peronospora) e aspetti salutistici (maggior contenuto di antiossidanti). Una tendenza in tal senso è in atto, soprattutto in Puglia.

Ma oggi, queste aspettative molto positive corrispondono alla realtà? Rispondere a questa domanda attualmente è alquanto difficile, o meglio si potrebbe fornire una risposta parziale. Infatti,  è pur vero che le superfici coltivate a uve apirene sono in forte incremento, tanto da mettere in pericolo il primato delle uve tradizionali con seme che ancora caratterizzano l’offerta italiana, ma è altrettanto vero che a fronte delle oltre 50 nuove varietà proposte dai vari breeder, solo alcune di esse si sono realmente affermate e maggiormente diffuse sul territorio.

La realtà è che una buona fetta delle uve apirene coltivate nelle principali zone di produzione è composta ancora da varietà più datate e/o libere da brevetto, come Crimson Seedless e Regal Seedless; peraltro, quest’ultima varietà ad oggi non risulta ancora iscritta nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite (RNVV). Invece, molte delle nuove varietà seedless proposte, in fase di inizio diffusione occupano superfici ancora modeste e non se conoscono le “performance” o devono ancora essere verificati i protocolli di produzione forniti dai breeder.

Per valutare e validare una varietà in un contesto territoriale sarebbe auspicabile un periodo di tempo maggiore, considerato che attualmente non è noto come molte di queste nuove cultivar rispondano realmente nel tempo alle diverse condizioni pedoclimatiche presenti nei diversi areali produttivi, anche alla luce dell’incognita di andamenti climatici insoliti che sfuggono alle previsioni elaborate sulla base dei dati delle serie storiche precedenti.

Di seguito sono esposte alcune delle problematiche emerse dal ricambio varietale in corso, frutto delle esperienze maturate in campo dai tecnici di Agrimeca Grape and Fruit Consulting.

Speciale Uva da tavola rivista Frutticoltura n. 1/2021

Difficoltà nel raggiungimento dei parametri qualitativi

Uno degli aspetti che contraddistingue molte delle nuove varietà apirene è la loro elevata vigoria che, come noto, può essere deleteria per il raggiungimento dei parametri qualitativi desiderati. Inoltre, alcune di esse hanno mostrato una maggiore suscettibilità a fitopatie e fisiopatie, aspetto esaltato dalle correnti tecniche di conduzione dei vigneti. Essendo comune la pratica di proteggere i vigneti con reti antigrandine e film plastici, una vegetazione eccessivamente lussureggiante ostacola ulteriormente l’ingresso della luce rendendo più difficile la colorazione dei grappoli e la maturazione del legno, limita l’arieggiamento favorendo l’insorgere di alcune patologie come oidio e botrite, influenza la fase di fioritura causando maggiore “colatura” e favorisce lo sviluppo di alcune fisiopatie come “cracking”, disseccamento del rachide, “browning”, ecc. Queste problematiche, purtroppo, negli ultimi anni hanno spesso contraddistinto i primi risultati forniti dalle nuove varietà introdotte, con incidenza e diffusione differenti.

uve apirene
“Cracking” su uva seedless che nel corso di poche settimane evolve in infezioni da marciumi acidi

Ulteriore aspetto da considerare riguarda il diverso comportamento delle varie cultivar in fase di fioritura-allegagione: alcune tendono ad avere un’eccessiva colatura del grappolo e necessitano di interventi per contenerla, come spuntatura dei germogli, “trimming” (spuntatura dei grappoli), incisione anulare e applicazione di fitoregolatori; altre, invece, hanno un comportamento opposto, rendendo necessari interventi di diradamento chimico per favorire la cascola mediante l’utilizzo di acido gibberellico. A volte, le stesse varietà possono avere l’uno o l’altro comportamento a seconda delle condizioni climatiche, dello stato di salute delle piante e, come detto, del loro vigore vegetativo.

La progettazione del vigneto

Alla luce di quanto sopra esposto, i layout d’impianto devono risultare adeguati e più ampi rispetto alle strutture tradizionali, malgrado la cattiva abitudine dei viticoltori a riutilizzare le vecchie strutture per ospitare le nuove piantagioni. Pur se comprensibile nell’ottica di abbattimento dei costi di impianto, sarebbe opportuno adottare sesti più larghi e prevedere una maggiore distanza tra la zona vegetativa e i film plastici di copertura, al fine di limitare l’insorgenza dei problemi descritti e di impedire scottature e bruciature della vegetazione.

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Nuovo vigneto di varietà seedless con sesto di impianto più largo

Altro aspetto da valutare nel processo di ricambio varietale è la semplificazione nella scelta del portinnesto: nella maggior parte dei casi gli unici utilizzati risultano essere il 140 Ruggeri e, in alcuni areali, il 1103 Paulsen. Eppure, l’attuale panorama della disponibilità di altri portinnesti è abbastanza ampia e offre diverse soluzioni per il superamento di problematiche di coltivazione legate al suolo e al microclima o per esaltare le caratteristiche genetiche delle varietà. In passato i vecchi agricoltori decidevano di utilizzare un determinato portinnesto in base ai risultati che si volevano raggiungere, valutando il tipo di terreno, le condizioni climatiche, la vocazionalità dell’area, la varietà da impiantare, se si trattava di nuovo impianto o di reimpianto, e così via. Tutto questo oggi non viene programmato con la dovuta attenzione che invece merita, banalizzando la complessità del sistema vite in ambienti di coltivazione estremamente eterogenei.

Novità interessanti potrebbero provenire dai portinnesti della serie M (M1, M2, M3, M4), costituiti dall’Università di Milano e recentemente iscritti nell’RNVV. Purtroppo questi, seppur promettenti, non risultano essere stati sperimentati negli areali di produzione dell’uva da tavola. Pertanto, a oggi non possono essere ancora considerati una valida alternativa ai portinnesti più utilizzati ed affermati. I portinnesti ibridi provenienti dalla California potrebbero pure offrire un contributo per il superamento di problematiche derivanti dalla stanchezza del terreno, particolarmente presenti nelle aree vocate soggette a reimpianti. In tabella1 sono riportate le loro caratteristiche salienti.

Tecniche colturali: suoli, irrigazione, nutrizione

Una corretta gestione idrica e nutrizionale risulta di fondamentale importanza. A differenza delle vecchie uve apirene, le nuove cultivar facilmente raggiungono dimensioni degli acini tali da soddisfare i parametri commerciali richiesti. Pertanto, è sufficiente mantenere le piante in un perfetto equilibrio vegeto-produttivo, evitando forzature con eccessivi apporti di acqua, fertilizzanti e fitoregolatori per favorire in tal modo una maturazione e una colorazione dei grappoli più uniforme.

Inoltre, bisogna evidenziare che ci sono cultivar estremamente produttive, con un alto indice di fertilità delle gemme, in grado di produrre anche 50 kg (e oltre) di uva, che però rappresentano un carico troppo elevato per una gestione equilibrata delle viti, per cui è opportuno intervenire - anche se a malincuore per i produttori - con un’attenta selezione dei grappoli al fine di ottenere produzioni più omogenee; altre varietà, invece, si caratterizzano per una produttività incostante per alternanza e indici di fertilità più bassa, per cui è necessario operare con idonee, ma dispendiose operazioni di potatura al fine di ottenere produzioni più costanti.

La credenza di alcuni che le uve apirene necessitino di meno manodopera, dopo alcuni anni di esperienza, è venuta meno. Se è vero che non ci sono più costi troppo onerosi per operazioni come l’acinellatura - come avveniva per le cultivar tradizionali con seme (Italia, Vittoria, Black Magic, ecc.) - altre pratiche colturali sono entrate nel linguaggio comune: diradamento manuale del grappolo (se troppo serrato), “trimming”, defogliazioni più frequenti (per l’elevata vigoria), oltre la già citata selezione.
Tuttavia, in caso di piogge e cali termici in fase di fioritura, anche queste varietà potrebbero avere problemi di acinellatura, per il quale il produttore è costretto ad intervenire con operazioni di toelettatura del grappolo. Altra voce importante e da non sottovalutare nell’elenco dei costi di produzione è la potatura che, come detto, risulta più onerosa per le varietà caratterizzata da bassa o alternata fertilità delle gemme e, al contrario, è più semplice per quelle più produttive.

uve apirene
Spuntatura del grappolo eseguita su varietà Timco™ (SNFL)

Altro elemento da considerare è la preliminare valutazione in campo del comportamento delle nuove varietà prima di iniziarne la diffusione; a differenza di quanto avviene nel comparto frutticolo, infatti, in viticoltura per l’uva da tavola si assiste ancora ad un contesto poco aggregato, in cui mancano valide associazioni di produttori in grado di sviluppare sperimentazioni proprie, diffonderne i risultati e orientare gli agricoltori. In questo contesto è mancato un progetto nazionale di ampio respiro, come è invece stato quello sulle “liste di orientamento varietale dei fruttiferi”, che ha avuto il grande merito di orientare le scelte dei frutticoltori per oltre due decenni sulla base di valutazioni fatte nei vari areali produttivi.

Le problematiche delle commercializzazione

Ultimo aspetto da valutare, forse il più importante e sentito dai viticoltori, riguarda la commercializzazione di queste uve. Le principali varietà che si sono più diffuse rientrano nel meccanismo della cosiddetta “formula Club”. Essa prevede che i produttori, oltre a versare royalty all’impianto e royalty annuali sul valore del prodotto commercializzato, hanno l’obbligo di conferire le proprie uve ad operatori commerciali concessionari, purché queste rispondano a precisi parametri qualitativi, come tacitamente accettato all’atto della firma dei contratti di concessione senza una piena consapevolezza di quello che ciò significhi.

Tale formula, nata per contingentare, programmare e pianificare i volumi prodotti, controllare eventuali impianti non autorizzati, fornire assistenza tecnica alle aziende e assicurare redditività senza che produzioni eccedenti penalizzino i prezzi in campagna, negli anni sta diventato per la maggior parte dei viticoltori un vincolo capestro. Questo perché i Club implicano che la produzione sia conferita e non contrattata con l’acquirente e che la sua successiva valutazione e liquidazione finale dipenda proprio dal rispetto dei parametri qualitativi accettati e sottoscritti. Senza considerare i casi di palesi scorrettezze da parte degli operatori commerciali, che praticano una svalutazione di prodotto rispondente agli standard, senza valorizzare con prezzi adeguati le capacità professionali dei singoli agricoltori. La perdita del potere contrattuale da parte del viticoltore che opera in mancanza di riferimenti qualitativi chiari, ben comprensibili ed interpretabili, ha così eroso e destabilizzato le sue capacità imprenditoriali.

La conseguenza di ciò ha fatto nascere una conflittualità tra viticoltori ed esclusivisti titolari delle concessioni commerciali, che talvolta ha indotto i primi a rivolgersi all’autorità garante della concorrenza del mercato, denunciando le condizioni vincolanti di conferimento della produzione; un atteggiamento questo che accresce il clima di diffidenza del viticoltore italiano verso chi detiene l’innovazione. Il quale, è bene ricordarlo, vuole avere un ritorno economico dopo di ricerca e investimenti, come è avvenuto ad opera di società di breeding straniere.

Per tali motivi, oggi i produttori sono più frequentemente alla ricerca di nuove varietà senza semi ugualmente performanti - per le quali sono disposti a versare (giustamente) le royalty previste - purché siano di libera commercializzazione.

Uve apirene, serve un nuovo orientamento agronomico e commerciale - Ultima modifica: 2021-02-18T10:06:18+01:00 da Sara Vitali

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