Aumentano le coltivazioni di nocciolo in tutto il mondo e il motivo, secondo l’INC (International Council Nut), è rappresentato dall’aumento dei consumi, in particolare di India e Cina. “Si registrano nuovi impianti in tutta l’area compresa tra i Tropici del Cancro e del Capricorno” – ci riferisce Giampaolo Rubinaccio, coordinatore dell’Organismo Interprofessionale Ortofrutta Italia – “con un incremento in Cile, Sud Africa, Australia e Georgia”.
L’Italia occupa ancora il secondo posto nel mondo, dopo la Turchia, con circa 120 mila ettari, di cui circa 21 mila collocati in Campania. “La maggiore industria di trasformazione delle nocciole, ovvero Ferrero” – prosegue Rubinaccio – “investe in diverse aree mondiali dove si ottengono nocciole di buona qualità ad un prezzo contenuto. Questo giustifica i grandi investimenti di AgriGeorgia, AgriCile e quelli che si registrano in Australia, dove un solo coltivatore ha impiantato circa 1 milione di piante”. In questo scenario i produttori che operano nelle aree campane tradizionali, in alcuni casi in situazioni orografiche difficili o con tecniche colturali non aggiornate, non sono competitivi, anche per l’eccessiva frammentazione aziendale e la scarsa attitudine alla cooperazione.
“Il gruppo Ferrero” – aggiunge il nostro interlocutore – “è ancora quello che consuma il maggior quantitativo di nocciole nel mondo ed è in grado di acquistare prodotto di qualità ad un prezzo medio non remunerativo per i tradizionali corilicoltori”. In questo contesto vanno valutati alcuni importanti aspetti: la posizione chiaramente dominante della Ferrero, l’insufficienza di dati circa l’impatto ambientale che può avere la diffusione del nocciolo in ambienti nei quali non è mai stato coltivato (in relazione ai parassiti che porta con sé), i costi sociali che si possono paventare per l’abbandono della coltivazione del nocciolo in aree vocate (bacino vulcanico del Viterbese, Monti Nebrodi, colline dell’avellinese, ecc.), con conseguenti problemi idrogeologici. “La sola valorizzazione dell’origine produttiva non è sufficiente se non accompagnata da un’elevata qualità del prodotto. Tuttavia, anche questo può risultare insufficiente se i prezzi di vendita si mantengono al di sotto di una soglia critica che garantisce la sostenibilità economica”.
In Campania, nei diversi areali corilicoli, la situazione si presenta differenziata e, quasi sempre, difficile. “Nella provincia di Caserta” – prosegue Rubinaccio - “il nocciolo sta sostituendo specie frutticole in crisi, soprattutto il pesco. In queste aree la coltivazione è condotta in maniera intensiva da aziende di dimensione medio-elevata (10-15 ettari), altamente meccanizzate, che conseguono produzioni elevate (40-45 q/ha)”. I costi d’impianto sono elevati, con un’incidenza delle quote piuttosto alta nei primi anni di vita del noccioleto, ma l’impiego di raccoglitrici e raccattatrici meccaniche consente di abbattere i costi di produzione.
La cultivar impiegata è la Tonda di Giffoni; questa tipologia di nocciola, tuttavia, immessa sul mercato genera confusione presso i consumatori trattandosi di una cultivar che si fregia dell’IGP nei suoi areali d’origine. Quel che è certo è che oggi l’80% della Tonda di Giffoni nazionale è prodotta fuori dell’areale a denominazione e circa il 60% fuori della regione. Nel mondo, poi, il 90% di essa è prodotto fuori dai confini europei.
“Nella provincia di Salerno e, in particolare, nell’areale di produzione della “Nocciola di Giffoni IGP” - aggiunge Gerardo Alfani, Presidente del Consorzio “Nocciola di Giffoni” – “esistono buone prospettive di sviluppo proprio per la presenza della denominazione protetta grazie alla quale è stato possibile costituire un organismo cooperativo che è attivo da alcuni anni e che provvede alla commercializzazione del prodotto attraverso la concentrazione dell’offerta, garantendo ai soci l’assistenza tecnica finalizzata a mantenere ed elevare gli standard qualitativi del prodotto e prezzi maggiorati per il marchio IGP”.
La cooperativa, in forza dei risultati raggiunti in termini di fatturato e di numero di soci, è stata riconosciuta come Organizzazione di Produttori e sta sviluppando, a favore delle aziende agricole socie, importanti progetti per accrescere la redditività e per il miglioramento della qualità del prodotto. “La “Nocciola di Giffoni IGP” ha una potenzialità di produzione di 7-8.000 t/anno e sarebbe auspicabile l’adesione al sistema di controllo della maggior parte di tale produzione al fine di rendere più incisiva l’azione del Consorzio nell’attività di promozione e di tutela, anche e soprattutto nei confronti delle nocciole della cultivar Tonda di Giffoni prodotte fuori dall’areale di origine».
Più complicata la situazione nelle province di Napoli e Avellino, quelle maggiormente interessate al nocciolo, dove le produzioni si attestano mediamente su 1-1,5 t/ha/anno. “Gli aspetti critici che si rilevano in queste province” – precisa Rubinaccio – “sono da ascrivere all’elevato frazionamento delle aziende, all’elevata età degli imprenditori agricoli, agli elevati costi di logistica e alla presenza di nuovi parassiti, come la cimice asiatica, che sono fuori controllo. A questo si aggiunge una scarsa qualità e quantità delle produzioni che rende insostenibile la coltura”. Un vantaggio potrebbe derivare alla provincia di Avellino dalla pregiata cultivar Mortarella (produzione di circa 10 mila t), utilizzata per correggere il sapore delle paste di nocciola. “Tuttavia” – sottolinea il nostro interlocutore – “l’industria non riconosce la maggiore qualità del prodotto e i corilicoltori non riescono a trarne adeguato profitto. L’altra varietà di pregio presente in questa provincia è Tonda di Avellino, che interessa una superficie marginale, con produzioni di 3-6 mila t; questa cultivar, però, non trova più adeguata rispondenza sul mercato del fresco in guscio poiché presenta frutto eccessivamente grande”.
Un altro aspetto che caratterizza il mercato è la possibilità dell’industria di trasformazione di approvvigionarsi di prodotto sempre fresco importando, secondo la stagione, da uno dei due emisferi terrestri. “In tutto questo” – precisa Rubinaccio – “bisogna fare i conti con la Turchia, primo Paese produttore al mondo con il 42% della superficie mondiale investita a nocciolo. Una parte degli impianti turchi potrebbero essere migliorati potenziando le tecniche agronomiche di campo con un incremento produttivo totale che potrebbe attestarsi sul 30%; in altre parole, con pochi investimenti la Turchia potrebbe incrementare la produzione mondiale di nocciole del 15%. Infine, non dimentichiamo i grandi investimenti effettuati in Australia con impianti che a regime produrrebbero 8.000 t di nocciole, ovvero la stessa produzione di prima fascia dell’intera provincia di Avellino”.