Drosophila suzukii Matsumura, il moscerino di origine asiatica recentemente introdotto negli Stati Uniti e in Europa, è divenuto in pochi anni il “parassita-chiave” del ciliegio e dei piccoli frutti. In Italia ha trovato condizioni ottimali di adattamento nelle regioni settentrionali, in particolare nelle aree alpine come il Trentino-Alto Adige (Grassi et al., 2012), ma anche in Emilia-Romagna (Boselli et al., 2012). In quest’ultima regione è particolarmente rinomata l’area di produzione delle ciliegie di Vignola in provincia di Modena (IGP dal 2013), caratterizzata da una cerasicoltura specializzata con produzioni di alta qualità, dove, di recente, molte aziende hanno realizzato importanti e costosi investimenti rivolti al rinnovo varietale, alla gestione degli impianti e alla messa in opera di protezioni anti-pioggia in grado di contenere efficacemente il fenomeno del “cracking” (spacco dei frutti).
Purtroppo, l’avvento del moscerino asiatico ha introdotto in questo sistema virtuoso un imprevisto ridimensionamento dei margini di guadagno, causato dalla necessità di contenerne i danni attraverso specifiche strategie di difesa. Tra queste possono essere elencate sia le misure di protezione indiretta come la gestione della chioma e del cotico erboso, la riduzione dei tempi di raccolta e l’eliminazione dei frutti danneggiati dal campo, sia la difesa fitosanitaria. L’applicazione ripetuta di prodotti insetticidi necessaria a contrastare gli attacchi di drosofila ha inoltre fatto emergere nuove difficoltà come il rispetto dei limiti di residui sui frutti e la scarsa selettività degli insetticidi verso l’entomofauna utile. L’aumento degli interventi insetticidi ha inoltre portato all’abbandono dei sistemi di difesa a basso impatto ambientale per la lotta alla mosca del ciliegio (esche adulticide attivate con Spinosad) il cui impiego era stato introdotto con successo negli ultimi anni (Caruso et al., 2012).
Questo articolo riporta in sintesi i risultati di un quadriennio di prove (2013-16) nell’ambito del progetto “Miglioramento delle trappole per il monitoraggio e la valutazione di strategie di lotta innovative per il controllo di Drosophila suzukii, nuovo moscerino del ciliegio e dei piccoli frutti” coordinato dal Consorzio Fitosanitario Provinciale di Modena e condotto in collaborazione con le Università di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio-Emilia.
Le attività di ricerca sono state realizzate in maniera complementare ad altre azioni nel contempo avviate a livello regionale, coordinate dal Servizio Fitosanitario Regionale e dal Centro Ricerche Produzioni Vegetali (CRPV) e rientrano in un più ampio gruppo di lavoro interregionale a cui partecipano Università, Istituti di Ricerca e Centri di Consulenza del Nord Italia (Ioriatti et al., 2015).
Monitoraggio
Col progetto è stata implementata l’attività di monitoraggio territoriale già avviata dal Consorzio Fitosanitario di Modena nell’ambito di un programma regionale iniziato nel 2011 a supporto del coordinamento di produzione Integrata e dei relativi bollettini settimanali. Con questa rete di monitoraggio, composta da 15-20 aziende dislocate nella provincia di Modena d in particolare nell’area cerasicola di Vignola, sono state fatte osservazioni sulla diffusione e sulla stagionalità di drosofila. Queste informazioni si sono rivelate utili per interpretare la dinamica di popolazione e l’etologia del parassita sul territorio. La serie dei dati raccolti potrà poi essere utilizzata, in un futuro ormai prossimo, per la messa a punto e la validazione di modelli previsionali.
Il monitoraggio si basa essenzialmente su due tipi di rilievi eseguiti settimanalmente, ovvero la cattura dei moscerini adulti mediante trappole Biobest® innescate con Droskidrink® (Vaccari et al.,
2014) e il rilievo di uova e larve su un campione di 100 ciliegie. L’andamento delle catture di adulti (Fig. 2) mostra come l’inverno sia il momento più critico per il moscerino che, dopo aver raggiunto il picco della sua presenza tra i mesi di ottobre e novembre, cala drasticamente fino all’invaiatura delle prime drupe di ciliegio. Da quel momento e probabilmente proprio su quell’ospite, riprende l’intensa attività riproduttiva sospesa durante l’inverno. L’evidenza di questa ripresa non emerge dalle trappole se non nelle prime settimane di luglio, dopo la raccolta delle ciliegie. Il repentino incremento delle catture, registrato in questo periodo, evidenzia la scarsa competitività delle trappole coi frutti maturi. A segnalare il progressivo incremento di popolazione che avviene tra maggio e giugno sono però le percentuali di frutti infestati. Risulta evidente come le cultivar più soggette all’attacco di drosofila siano quelle tardive (Fig. 2). Tuttavia, nelle annate in cui la popolazione svernante è abbondante, anche le cultivar precoci si dimostrano particolarmente suscettibili.
Questo fenomeno è apparso evidente nelle annate 2014 e 2016 in cui l’inverno particolarmente mite aveva favorito la sopravvivenza di un elevato numero di insetti. L’attività di monitoraggio, applicata a livello territoriale, restituisce dunque un quadro abbastanza preciso dell’andamento delle popolazioni di drosofila sul territorio, permettendo di indirizzare in maniera efficace la difesa nei momenti più critici. In particolare, il numero di esemplari catturati durante l’inverno dà una misura della popolazione svernante, segnalando con anticipo il rischio per le cultivar precoci. La percentuale di frutti con ovodeposizioni evidenzia con un anticipo di alcuni giorni le dinamiche delle infestazioni durante il periodo produttivo, fornendo così importanti elementi per impostare una corretta difesa fitosanitaria.
Gestione agronomica del frutteto
Con l’obiettivo di verificare l’influenza della combinazione d’innesto e del sistema d’impianto (densità e forma di allevamento) sul comportamento di drosofila è stata condotta una prova biennale
(2015-16) presso l’Azienda Didattico-Sperimentale dell’Università di Bologna ubicata a Cadriano (Bo) su un ceraseto di sette anni di età. Sono state confrontate due varietà (Regina e Black Star) innestate su due soggetti (Gisela 6 nanizzante e CAB 6P semi-nanizzante) allevate con tre forme di allevamento e messe a dimora con tre densità di impianto. I risultati ottenuti mostrano un’incidenza di danno % da drosofila nelle combinazioni d’innesto più vigorose, con punte del 37% su Regina/CAB 6P allevata a Y, del 27% quando allevata a fuso e del 21% nel caso del fusetto. Stessa tendenza in Black Star, sebbene con incidenza del danno inferiore rispetto a Regina. Dall’esperienza emerge che i danni sono più limitati nelle combinazioni di innesto e impianto che, riducendo il vigore dell’albero, favoriscono la luminosità e l’arieggiamento della chioma.
Reti anti-insetto
Poiché le protezioni fisiche possono rappresentare una valida tecnica per il controllo del fitofago, è stata verificata l’efficienza delle reti antinsetto su diversi modelli d’impianto, analizzando al contempo l’influenza sugli aspetti qualitativi della produzione e gli eventuali effetti collaterali.
Coperture multi-funzionali monoblocco e monofilare per impianti a media densità
Queste prove sono state condotte dal Consorzio Fitosanitario di Modena su impianti a media densità (MHDP). La prima sperimentazione è stata realizzata nel biennio 2014-15 a Castelnuovo Rangone (Mo) in un ceraseto con copertura anti-pioggia adattata (monoblocco) e chiusa sul perimetro con rete anti-insetto (dimensione della maglia della rete di 1 mm²).
I risultati evidenziano una buona efficacia nel contenimento di drosofila sebbene il controllo non sia stato completo. Il sistema, infatti, garantisce solo un’“esclusione” parziale, con possibili ingressi del moscerino sia dal tetto che lateralmente a causa delle ripetute aperture durante la stagione per il passaggio degli operatori e dei mezzi agricoli. La strategia ha quindi previsto l’integrazione con interventi insetticidi per assicurare un risultato soddisfacente. Con tale approccio (difesa fisica + chimica) sulle cultivar tardive ed in condizioni di elevata pressione i danni registrati sono risultati molto contenuti rispetto al controllo scoperto (ma trattato chimicamente) in cui è stato registrato un danno compreso tra 10 e 18% sulla cultivar Ferrovia nel biennio di prova. Tuttavia, i dati rilevati sul microclima hanno messo in luce un incremento delle temperature (+ 10°C nelle ore più calde) e dell’umidità relativa (+ 20% nelle ore pomeridiane) sotto rete che, negli ambienti di prova, ne sconsigliano l’impiego .
La seconda sperimentazione è stata condotta nel periodo 2015-16 a Vignola sulla cv. Lapins con copertura monofila dotata nella parte alta di “doppio strato” con funzioni anti-pioggia (Fig. 3); non sono stati registrati danni da drosofila (anche in assenza di interventi integrativi), mentre nel controllo scoperto (e trattato) il danno è stato fino al 25% dei frutti. Entrambe le strutture hanno inoltre garantito un buon controllo del “cracking” e della monilia dei frutti, nonché una protezione dai danni da uccelli. Prove volte a verificare la corretta distribuzione dei fitofarmaci eseguiti dall’esterno della rete (fungicidi in particolare) evidenziano la necessità di ridurre la velocità di avanzamento da 6 a 4 km/ora per garantire l’uniformità di bagnatura degli alberi. Le coperture multifunzionali monofila non hanno presentato, inoltre, significativi problemi legati agli incrementi di temperatura e umidità.
Coperture multi-funzionali monofilari per impianti intensivi
La prova sul modello HDP è stata condotta nel triennio 2014-16 presso l’Azienda Sperimentale dell’Università di Bologna di Cadriano su un ceraseto dotato di un sistema di copertura multifunzionale totale monofilare. La metodologia adottata e i risultati ottenuti nella stagione 2015 sono stati descritti nell’articolo di Ghelfi et al. (2016). I risultati ottenuti nella stagione 2016 confermano l’efficacia totale delle reti nel contenimento dei danni da drosofila, evidenziando tuttavia l’effetto delle protezioni sulla qualità delle ciliegie (Tab. 1) che risultano leggermente più piccole, più sode e dolci (almeno in Black Star) e con colorazione scura meno accentuata. Tenendo presente che le raccolte nelle varie combinazioni varietà/portinnesto/forme di allevamento sono avvenute lo stesso giorno si può ipotizzare che il calo di qualità sotto copertura monofilare è probabilmente dovuto ad un ritardo della maturazione.
Nella stessa prova i frutti di Black Star sotto filari coperti con reti monostrato hanno mostrato percentuali di “cracking” (22%) molto vicine al valore riscontrato nei filari scoperti (26%), a testimonianza della scarsa efficacia di questa tipologia di rete nel contenimento dell’idropatia. Viceversa, ottimi risultati sono stati ottenuti con le protezioni che prevedevano il doppio strato di rete nella parte superiore della struttura.
Le prove su impianti ad alta densità (VHDP) sono state condotte a Montesanto di Ferrara in un ceraseto di 3 anni della cv Ferrovia innestata su Gisela 5 ed allevata alla densità di 6.000 piante/ha. Parte del ceraseto è stata coperta col sistema” Keep in Touch” (KIT), cioè con rete anti-insetto posta su ogni filare con funzione multipla di difesa (da drosofila così come da altri insetti, dalla grandine, dal “cracking”, ecc). Nella stagione di prova è stata registrata una scarsa cattura di drosofila nelle trappole poste all’esterno delle reti, mentre all’interno le catture sono state nulle. I dati di temperatura e umidità registrati da maggio a luglio mostrano valori molti simili tra il controllo (scoperto) e l’ambiente all’interno del sistema KIT, con un leggero aumento, in questo ultimo, delle temperature massime (+5%) e dell’umidità relativa, specie nelle ore serali e di primo mattino (+7%). Il sistema KIT non ha influenzato negativamente gli attacchi di natura fungina (es. monilia) sui frutti, così come le principali caratteristiche organolettiche delle ciliegie sulle quali è stato registrato un anticipo nella colorazione (parametro Chroma) e una maggiore brillantezza dell’epidermide (L), probabilmente dovuto alla maggiore luminosità indiretta (luce diffusa) provocata dalle reti bianche.
Parassitoidi autoctoni e potenzialità nella lotta biologica
Gli entomologi dell’Università di Bologna hanno ricercato parassitoidi naturali di drosofilidi in grado di adattarsi a Drosophila suzukii, cosa non sempre scontata quando una specie indigena ne incontra una esotica.Durante i monitoraggi eseguiti nelle provincie di Bologna e Modena sono state ritrovate diverse specie di imenotteri parassitoidi:
- Leptopilina boulardi, parassitoide di larve di diverse specie di drosofila le cui prove hanno però mostrato scarsa efficacia (Chabert et al., 2012; Mazzetto et al., 2016);
- Pachycrepoideus vindemiae, specie che si sviluppa principalmente a spese di pupe di diversi ditteri, ma è anche in grado di uccidere altri parassitoidi (Van Alphen e Thunissenn, 1993);
- Trichopria drosophilae (Fig. 5): anche questa specie è un parassitoide di pupe di ditteri, però mostra una maggiore specificità nei confronti dei drosofilidi. In laboratorio ha dimostrato di parassitizzare le pupe di Drosophila suzukii (Mazzetto et al., 2016).
Nella stagione 2016 Trichopria drosophilae è stata utilizzata sperimentalmente in condizioni di campo in 10 siti sul territorio nazionale grazie ad un’iniziativa coordinata dalla Fondazione E. Mach di S. Michele a.A. (Tn). Materiale infestato artificialmente con pupe di drosofila è stato posto in un ceraseto multi-varietale non trattato nel quale sono stati rilasciati adulti di Trichopria drosophilae. I risultati, a confronto con un’area vicina nella quale il parassitoide era già stato rinvenuto l’anno precedente, mostrano le buone potenzialità di Trichopria drosophilae nel rintracciare e uccidere pupe di drosofila (Fig. 4), anche a diversa distanza dal punto di rilascio. È da menzionare, tuttavia, che Trichopria drosophilae, essendo un parassitoide pupale, attacca il suo ospite a danno avvenuto. Sarebbero necessari ulteriori studi per verificare l’effettiva efficacia nel quadro di una difesa integrata, valutando anche lanci in aree di rifugio naturali per abbassare la popolazione nelle aree interessate; soprattutto visti i vincoli legislativi che impediscono l’importazione di antagonisti esotici (potenzialmente più specializzati) dai Paesi di origine.
Efficacia di B. bassiana e M. anisopliae nelle strategie “attract-infect&kill”
Nell’ottica di individuare mezzi sostenibili di difesa, gli entomologi dell’Università di Modena-Reggio Emilia hanno valutato l’efficacia di alcuni ceppi commerciali dei funghi entomopatogeni Beauveria bassiana e Metarhizium anisopliae allo scopo di stabilirne la possibilità di impiego in dispositivi di auto-infezione (“attract-infect&kill”), ossia di trappole potenziate per la cattura massale. Sono state effettuate prove di laboratorio in cui adulti di drosofila sono stati lasciati a contatto con una soluzione contenente 108 conidi/ml per ciascuna delle due specie di funghi entomopatogeni a confronto con il controllo a base di acqua sterile. Gli insetti che dopo 7 gg sviluppavano micelio sono stati successivamente posti su apposito terreno di coltura per verificarne lo sviluppo stesso. I risultati non hanno fatto registrare differenze significative nella mortalità delle tesi di controllo rispetto a quelle trattate con i due funghi.
L’inefficacia dei trattamenti a base di funghi entomopatogeni potrebbe essere legata agli specifici ceppi utilizzati, ma anche alla capacità del genere Drosophila di produrre peptidi ad attività antifungina (Lemaitre et al., 1997).
Batteri acetici ed attrattività del liquido esca
In Italia l’esca comunemente impiegata per il monitoraggio di drosofila è il prodotto commerciale Droskidrink®, una miscela di vino rosso, aceto di mele e zucchero di canna. Nonostante la buona efficacia di cattura, tale liquido è soggetto, in seguito all’esposizione in campo, alla formazione di uno strato polisaccaridico composto da cellulosa. Questa pellicola, oltre a impedire la corretta diffusione in aria dei composti volatili, complica notevolmente le operazioni di identificazione e conteggio degli insetti catturati che vi rimangono invischiati.
Per risolvere questo problema il gruppo di Microbiologia applicata dell’Università di Modena-Reggio Emilia ha formulato un nuovo liquido esca bioattivo a base di aceto di vino. Tale aceto è stato ottenuto da vino fermentato seguendo la procedura descritta in Gullo et al., 2016 utilizzando un batterio acetico selezionato che non produce cellulosa.
I primi risultati di applicazione in campo nel biennio 2015-16 hanno dimostrato che i liquidi esca bioattivi migliorano l’attrattività nei confronti di drosofila. I liquidi esca recuperati dopo una settimana di esposizione in campo sono stati sottoposti a saggi microbiologici ed analitici. Ad accezione di una sola tesi, nei liquidi esca bioattivi formulati non è stata osservata presenza di cellulosa dopo esposizione in campo. Nel liquido esca commerciale non inoculato, invece, è stata riscontrata una costante presenza di cellulosa per tutto il periodo della sperimentazione. La figura 6 si riporta un esempio di cellulosa riscontrata dopo l’esposizione in campo del liquido commerciale normalmente impiegato.
I liquidi esca bioattivi ottenuti mediante l’impiego di fermentazioni acetiche sviluppate con un ceppo selezionato hanno mantenuto la vitalità durante l’esposizione; la costante produzione di composti attrattivi maggioritari (come l’acido acetico) si è rivelata fondamentale per inibire lo sviluppo di microrganismi contaminanti. Sebbene la ricerca sia ancora in fase di svolgimento, tali evidenze supportano la validità dell’impiego di liquidi esca ottenuti mediante ceppi selezionati di batteri acetici.
Resistenza agli insetticidi
Grazie ad una collaborazione fra ricercatori delle Università di Ferrara e Modena-Reggio, nel biennio 2015-16 è stata valutata l’evoluzione della suscettibilità di diverse popolazioni di drosofila sottoposte a trattamenti ripetuti, al fine di evidenziare possibili resistenze con l’obiettivo di orientare o razionalizzare la difesa fitosanitaria. La valutazione è stata effettuata attraverso un test di laboratorio che consiste nel calcolare la dose necessaria di insetticida per uccidere il 50 e il 90% degli individui adulti di drosofila sottoposti al contatto con l’insetticida, similmente a quanto avviene in pieno campo. Ovviamente più il quantitativo di insetticida necessario ad uccidere le sopracitate percentuali è alto rispetto alle situazioni iniziali (o di una popolazione standard di laboratorio) più la resistenza è conclamata.
I principi attivi valutati nei due anni sono stati deltametrina, dimetoato, spinosad, spinetoram e cyazypyr, scelti per il loro comune utilizzo verso questo fitofago, mentre le popolazioni saggiate
sono state rispettivamente una popolazione selvatica denominata “BIO” e considerata come popolazione suscettibile di laboratorio, tre popolazioni campionate nel comprensorio di Vignola nel 2014-15 denominate “BON”, “MIX” e “MO2” di cui solo quest’ultima presentava qualche problema di controllo e, infine, due popolazioni sospette raccolte nel 2016 e provenienti da due aziende sempre del vignolese con forti problemi di contenimento, denominate “QUA” e “TUG”. Una seconda attività di laboratorio, parallela alla prima, ha valutato la resistenza in base alla capacità detossificante verso gli insetticidi di specifici sistemi enzimatici presenti in otto popolazioni, incluse quelle sottoposte al precedente test di laboratorio. Inoltre, negli individui della popolazione “QUA” sopravvissuti ai test con deltametrina e cyazypyr è stata condotta un’indagine approfondita sui meccanismi molecolari che generano resistenza oltre a quella provocata dagli enzimi detossificanti sopracitati (French-Constant, 2013; Perry et al., 2013).
I risultati ottenuti per le diverse popolazioni (Fig. 7a e Fig. 7b) mostrano come le popolazioni “QUA” e “TUG” raccolte nel 2016 necessitano di dosi di deltametrina e dimetoato sostanzialmente più elevate di quelle necessarie in tutte le altre popolazioni raccolte nel 2014-15 per sopprimere la stessa percentuale di individui. Inaspettatamente, per cyazypyr, insetticida di recente utilizzato in campo, le dosi necessarie per causare mortalità del 50 o 90% degli individui delle due popolazioni raccolte nel 2016 sono risultate solo moderatamente più elevate rispetto alle popolazioni raccolte nel 2014-15. Per quanto riguarda spinosad e spinetoram non vi sono differenze sostanziali fra le diverse popolazioni raccolte nei diversi anni.
Le capacità detossificanti specifiche verso gli insetticidi hanno messo in evidenza allo stesso modo dei test di mortalità in laboratorio che solo le popolazioni “QUA” e “TUG” hanno un maggior potenziale detossificante verso gli insetticidi rispetto alla popolazione suscettibile di riferimento “BIO”. Negli esemplari della popolazione “QUA” sopravvissuti a deltametrina non sono state rilevate mutazioni genetiche assimilabili a quelle note ed associabili alla ridotta risposta a questa molecola. Negli adulti “QUA” sopravvissuti a cyazypyr sono stati riscontrati, come in altre specie fitofaghe tolleranti alle diammidi, famiglia a cui appartiene cyazypyr, aumenti della attività di geni che controllano il livello della molecola bersaglio del principio attivo e il metabolismo dell’agro-farmaco. I profili di suscettibilità di laboratorio agli insetticidi e quelli genetici-biochimici ad essi associati raccolti nel corso del progetto saranno d’ausilio per monitorare future variazioni della risposta agli insetticidi nelle popolazioni locali di drosofila, correlandoli all’effettiva verifica della tenuta dei prodotti in condizioni di campo.
Conclusioni
Con l’attività svolta nel triennio 2014-16 sono state approfondite alcune caratteristiche etologiche ed evidenziati rischi e criticità nella gestione della difesa verso drosofila, fra cui potenziali insorgenze di fenomeni di resistenza agli insetticidi. Inoltre, è stato intensificato il monitoraggio sul territorio con le migliori tecniche disponibili e fornito un sistema di avvertimento territoriale collegato ai coordinamenti regionali di produzione integrata, utile ad ottimizzare le strategie di difesa. In attesa di individuare tecniche di controllo biologico e biotecnologico in grado di integrare in maniera efficiente la difesa chimica, le reti multifunzionali rappresentano un sistema sufficientemente collaudato e trasferibile al mondo della produzione. In particolare, le reti monofila con protezione anti-pioggia si sono dimostrate le più idonee all’ambiente preso in considerazione, dove si stanno gradualmente diffondendo, poiché non evidenziano le criticità negative legate al microclima dei sistemi monoblocco. La tecnica è interessante perché può essere applicata non solo sull’intero appezzamento, ma anche in maniera modulare nel ceraseto (es. solo sui filari delle cultivar tardive più sensibili agli attacchi di drosofila). Questa elasticità d’impiego potrebbe permettere di ridurre i costi d’impianto, aspetto che attualmente ne limita una più ampia diffusione (Ghelfi et al., 2016).
Le ricerche su questo temibile nemico del ciliegio sono in corso in tutto il mondo e richiederebbero, almeno a livello nazionale, un coordinamento non volontario, ma strutturato tramite attività progettuali integrate. Infatti, è bene sottolineare che la problematica rimane aperta e ancora molta strada dovrà essere fatta prima di ottenere un controllo del parassita pienamente soddisfacente.