La peschicoltura italiana continua a dibattersi in problemi, tanto gravi e radicati, quanto irrisolti. Le analisi di settore, ormai ultra-ventennali, continuano a denunciare le medesime cause, i medesimi nodi al pettine, le medesime ricette o vie d’uscita. Tant’è. Ma la crisi continua, i peschicoltori non fanno reddito e in molte zone del Paese gli espianti dei pescheti superano di gran lunga i nuovi impianti.
Non è più un tema solo italiano; anche la Spagna, nostro maggiore competitor, si è accorta che l’offerta europea supera la domanda tre anni su quattro e solo quando gli eventi climatici avversi riducono i raccolti in qualche importante area di coltivazione il mercato sta in equilibrio, peraltro precariamente.
Un tema non secondario riguarda invece il rapporto tra qualità e tipologia dell’offerta e le richieste dei consumatori. La frutta estiva è oggi ben diversa da quella di qualche anno fa; non c’è mercato rionale, supermercato, negozio specializzato ove la disponibilità di prodotti sia ben più ampia, diversificata e attraente rispetto al passato. Ciliegie e fragole fino a luglio, albicocche per 4 mesi l’anno, susine e simili di tanti colori e sapori, uva da tavola in grappolo e in chicchi, senza parlare della frutta esotica che è sempre più destagionalizzata e a buon mercato. Dove sono finite le pesche e nettarine che accompagnavano la nostra estate? In mezzo ad un’offerta così diversa cosa compra il consumatore? Ci siamo chiesti se pesche e nettarine sono ancora i prodotti preferiti?
Nello specifico, oggi le pesche tomentose trovano sempre meno favore, spesso sorpassate da quelle piatte, di qualità più costante e più facili da mangiare; d’altra parte, le nettarine, ancorché belle e colorate, pagano spesso discontinuità tipologica, in particolare per il sapore, ma anche un generale appiattimento verso il cosiddetto gusto “sub-acido”, con polpa eccessivamente croccante, che non sempre è accompagnato dagli aromi tipici delle pesche di cui ricordiamo il passato. C’è probabilmente una stanchezza nei consumi di pesche e nettarine che talora sottovalutiamo e che porta i consumatori a fare scelte diverse, sempre più attratti da gamme ampie e differenziate di frutta, spesso più facili da utilizzare anche fuori pasto.
Produciamo in Italia più di quanto consumiamo; i sistemi commerciali si fanno concorrenza piuttosto che cercare collaborazioni e sinergie; siamo obbligati ad esportare in una crescente competizione internazionale, dove il basso prezzo per i clienti è diventato l’elemento discriminate per selezionare i fornitori. Per di più, i consumatori sono disorientati e presi d’assalto da mille promozioni. Che mezzi hanno, in realtà, le nostre pesche e nettarine per farsi ancora valere e preferire?
La Francia molti anni fa ha fortemente ridimensionato la propria produzione per concentrarsi sull’alta qualità, sulla raccolta “ready to eat”, sulla fornitura quasi esclusiva del mercato interno rinunciando alla “bagarre” dell’esportazione. È questa la strada che dovrà intraprendere anche la peschicoltura italiana? Amaro auspicarlo, difficile predirlo, ma forse inevitabile. La sensazione è che, nonostante le campagne promozionali, i tentativi di valorizzare il prodotto insieme ai territori di origine, la volontà delle istituzioni di favorire consumi e qualificazione dell’offerta, le nostre pesche e nettarine non abbiamo più una loro precisa identità.
Leggi l’articolo sulla Rivista di Frutticoltura n. 6/2019