Affrontiamo il tema della melicoltura sotto diverse angolature. Le tecniche agronomiche, il miglioramento genetico-varietale, i trend produttivi e di consumo, il post-raccolta, gli equilibri internazionali di scambio di un settore che, sempre di più, vive una dimensione “globale”.
Globale è probabilmente il termine più giusto per definire la situazione della moderna melicoltura intensiva e, in essa, i risultati economici che derivano ai vari operatori della filiera. Non c’è report mercantile in cui i trend di vendita/scambio non manifestino una stretta dipendenza dal rapporto fra l’esito dei raccolti nei diversi Paesi produttori, anche lontani fra loro, e gli spazi di mercato, in un continuo altanelarsi tra eccedenze e carenze d’offerta. Non c’è report produttivo in cui non si manifesti la necessità di governare meglio quantità e qualità dell’offerta in relazione alle esigenze di un mercato “globale” che, a sua volta, specula sulle difficoltà congiunturali di chi produce cercando di deprimere i prezzi. Il consumatore ne è del tutto inconsapevole, ma la leva del prezzo in vendita diventa potente e, in troppi casi, la redditività delle imprese aleatoria.
Non c’è articolo in cui esperti di settore sottolineino l’urgenza strutturale di rafforzare l’aggregazione e l’organizzazione produttiva/distributiva per fronteggiare l’ostinata tendenza del mercato a sfruttarne divisioni, concorrenze e debolezze per comprimere costi e svilire il valore del prodotto. Non c’è nessun nuovo progetto di innovazione produttiva, ovvero di nuova proposta varietale, che non veda alla fonte gruppi internazionali (“globali”) di editing, pianificazione produttiva, marketing e controllo sull’intera filiera, compresi i capitolati qualitativi e di fornitura alla distribuzione.
Non c’è area nel mondo ove la coltivazione del melo interessi superfici sempre nuove o in espansione, in entrambi gli emisferi; nuovi Paesi diventano grandi produttori, nuovi player si affacciano sullo scenario internazionale (“globale”) condizionando gli equilibri degli scambi ed esasperando una competizione che già oggi riduce assai gli spazi di manovra. Gli stessi consumi sono una questione “globale”: la mela è il frutto più consumato al mondo, in un costante dualismo fra consumi di massa (in tal caso si parla ormai da tempo di commodity) e prodotti premium, a marchio, ad alto valore aggiunto, che guardano ad una fascia di consumatori desiderosi di prodotti nuovi e distintivi (Pink Lady per prima e su tutti).
La melicoltura italiana non ha nulla da temere in questo contesto: vocazionalità produttiva, tecnologie e know-how lungo la filiera, ricerca, sperimentazione e assistenza tecnica; non manca neppure il blasone di un’offerta fra le più qualificate a livello “globale” per storicità, origine, capacità di coniugare e certificare produzione e sostenibilità ambientale. Dovremmo esserne più consapevoli; dovremmo avere una maggiore capacità di governare ed essere protagonisti della “globalizzazione”. Soprattutto, dovremmo fare tutti la nostra parte: le Istituzioni per difendere gli interessi dei melicoltori italiani laddove necessitano di nuovi rapporti commerciali con mercati inesplorati e, al contempo, frenare i fenomeni di concorrenza “sleale”; le organizzazioni di produttori, che potrebbero talora diventare organizzazioni di prodotto al di sopra delle parti; i servizi di supporto alla coltivazione per tramettere meglio innovazioni varietali e di processo; la moderna distribuzione che dovrebbe premiare di più ciò che è “made in Italy” ripagandone il reale plus-valore.
Globale è, con ogni probabilità, il contesto in cui in futuro dovrà misurarsi tutta l’ortofrutticoltura italiana; a ben vedere, il melo è la specie oggi più attrezzata per fare la sua parte.
Leggi l’editoriale di Frutticoltura n. 8/2019
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