Le conoscenze sul valore salutistico dell’Annurca e di altre mele del gruppo Rosa, hanno contribuito a risvegliare l’interesse sulla mela Rosa Romana dell’Appennino. È questa, infatti, la denominazione, proposta quale marchio dall’Associazione di scopo costituitasi recentemente nell’Alta Valle del Reno, per identificare e tutelare commercialmente le produzioni della mela Rosa Romana nei due versanti appenninici tosco-emiliani; mele ottenute sia dalle vecchie coltivazioni sia, come si auspica, da nuovi impianti che cominciano a sorgere, sia pure sporadicamente.
L'indagine dell'Università di Bologna
Lo studio è stato condotto nell’arco di un triennio dall’Università di Bologna (DiSTAL), con la collaborazione di coltivatori e operatori commerciali e industriali dell’Alta Valle del Reno, e si proponeva di individuare i profili fenolici nell’ambito di un confronto fra queste due storiche varietà di melo, Rosa Romana e Annurca; la prima, ormai abbandonata, ma per secoli dominante presenza nell’Appennino tosco-emiliano, e la seconda testimone attuale della più antica coltivazione del melo in Campania e in altre aree del Sud. Annurca, già nota ai romani, è tuttora commercialmente apprezzata sui mercati nazionali ed europei, tanto che ne viene stimata una produzione di oltre 30.000 t, mentre della Rosa Romana la produzione stimata è di appena 500 t, comunque non in grado di esercitare un significativo impatto di mercato.
![mela Rosa Romana](https://rivistafrutticoltura.edagricole.it/wp-content/uploads/sites/18/2020/12/Costa_Rosa-Romana_36_2020_foto-3-600x322.jpg)
I risultati sui profili fenolici della mela Rosa Romana
I risultati analitici sul contenuto sono disponibili nell’articolo integrale pubblicato sulla
rivista di Frutticoltura n. 9/2020
Potenzialità ma non senza limiti
In conclusione, si conferma che la Rosa Romana dell’Appennino è una mela unica nel suo genere, di tipologia ben differente dalle altre mele per forma, colorazione, aspetto, qualità estetiche, gustative e di conservazione.
Questa eccellenza qualitativa si combina e viene esaltata da fattori territoriali-ambientali (climatici e pedologici) che la rendono incomparabile alle mele della stessa varietà coltivate in pianura. Grande, dunque, è il suo potenziale commerciale, di cui si intravede lo sviluppo intrapreso da imprenditori dell’alta Valle del Reno, che ne stanno riprendendo la coltivazione.
![mela Rosa Romana](https://rivistafrutticoltura.edagricole.it/wp-content/uploads/sites/18/2020/12/Costa_Rosa-Romana_36_2020_foto-4-533x400.jpg)
Si deve però tener conto che questa ripresa non è facile: vari punti deboli emersi nelle ultime annate, in parte conseguenti alle variazioni climatiche, vanno considerati; riguardano la produttività degli alberi, medio-bassa e incostante (anche perchè triploide); la pezzatura ridotta dei frutti, specie alle altitudini maggiori. La suscettibilità a ticchiolatura, oidio, butteratura amara e riscaldo superficiale è elevata e occorre dunque programmare una tecnica colturale molto accurata (fertirrigazione, irrigazione e difesa sanitaria), con interventi e input chimici difficili da rendere compatibili con un’auspicabile produzione biologica.