Mela Rosa Romana dell’Appennino, un patrimonio da valorizzare

mela Rosa Romana
È una mela unica nel suo genere, per aspetto, qualità e per l’elevato contenuto di polifenoli, che supera anche quello dell’Annurca, la mela salutistica per eccellenza. Gli imprenditori dell’Alta Valle del Reno hanno colto il potenziale e ne stanno riprendendo la coltivazione

Le conoscenze sul valore salutistico dell’Annurca e di altre mele del gruppo Rosa, hanno contribuito a risvegliare l’interesse sulla mela Rosa Romana dell’Appennino. È questa, infatti, la denominazione, proposta quale marchio dall’Associazione di scopo costituitasi recentemente nell’Alta Valle del Reno, per identificare e tutelare commercialmente le produzioni della mela Rosa Romana nei due versanti appenninici tosco-emiliani; mele ottenute sia dalle vecchie coltivazioni sia, come si auspica, da nuovi impianti che cominciano a sorgere, sia pure sporadicamente.

L'indagine dell'Università di Bologna

Lo studio è stato condotto nell’arco di un triennio dall’Università di Bologna (DiSTAL), con la collaborazione di coltivatori e operatori commerciali e industriali dell’Alta Valle del Reno, e si proponeva di individuare i profili fenolici nell’ambito di un confronto fra queste due storiche varietà di melo, Rosa Romana e Annurca; la prima, ormai abbandonata, ma per secoli dominante presenza nell’Appennino tosco-emiliano, e la seconda testimone attuale della più antica coltivazione del melo in Campania e in altre aree del Sud. Annurca, già nota ai romani, è tuttora commercialmente apprezzata sui mercati nazionali ed europei, tanto che ne viene stimata una produzione di oltre 30.000 t, mentre della Rosa Romana la produzione stimata è di appena 500 t, comunque non in grado di esercitare un significativo impatto di mercato.

mela Rosa Romana
Alcuni dei cloni selezionati di Rosa Romana; dall’alto in senso orario: Clone 4, Clone 7, Clone 13 e Clone 2

I risultati sui profili fenolici della mela Rosa Romana

I risultati analitici sul contenuto sono disponibili nell’articolo integrale pubblicato sulla

rivista di Frutticoltura n. 9/2020

Potenzialità ma non senza limiti

In conclusione, si conferma che la Rosa Romana dell’Appennino è una mela unica nel suo genere, di tipologia ben differente dalle altre mele per forma, colorazione, aspetto, qualità estetiche, gustative e di conservazione.

Questa eccellenza qualitativa si combina e viene esaltata da fattori territoriali-ambientali (climatici e pedologici) che la rendono incomparabile alle mele della stessa varietà coltivate in pianura. Grande, dunque, è il suo potenziale commerciale, di cui si intravede lo sviluppo intrapreso da imprenditori dell’alta Valle del Reno, che ne stanno riprendendo la coltivazione.

mela Rosa Romana
Alberi di mele Rosa Romana innestati su franco a San Prospero di Savigno con elevate produzione

Si deve però tener conto che questa ripresa non è facile: vari punti deboli emersi nelle ultime annate, in parte conseguenti alle variazioni climatiche, vanno considerati; riguardano la produttività degli alberi, medio-bassa e incostante (anche perchè triploide); la pezzatura ridotta dei frutti, specie alle altitudini maggiori. La suscettibilità a ticchiolatura, oidio, butteratura amara e riscaldo superficiale è elevata e occorre dunque programmare una tecnica colturale molto accurata (fertirrigazione, irrigazione e difesa sanitaria), con interventi e input chimici difficili da rendere compatibili con un’auspicabile produzione biologica.

Mela Rosa Romana dell’Appennino, un patrimonio da valorizzare - Ultima modifica: 2020-12-03T10:00:56+01:00 da Redazione Frutticoltura

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