Le scelte alimentari dei consumatori non soddisfano soltanto il bisogno di nutrimento, ma, nel corso del tempo, incidono anche sullo stato di salute generale della collettività. Infatti, qualunque cibo se non è inserito in una dieta bilanciata può dare origine a conseguenze imprevedibili. Nell’Ue, l’interazione e l’influenza reciproca di fattori demografici (l’età media della popolazione), di mobilità delle persone (attività lavorativa sedentaria, ridotta attività fisica) e di modalità di fruizione del cibo (destrutturazione dei pasti domestici, consumo fuori casa) hanno progressivamente favorito la diffusione tra la popolazione, anche tra quella in giovane età, di varie malattie croniche (disturbi cardiovascolari e respiratori, diabete, ecc.), prima fra tutte l’obesità. Indagini recenti realizzate all’interno dei singoli Stati membri dell’Ue (TNS Infratest 2010), utilizzando l’Indice di Massa Corporea (IMC o BMI – “Body Mass Index”), che esprime il rapporto tra peso e altezza di un individuo come un indicatore dello stato di salute generale, hanno confermato che nell’Ue le persone in sovrappeso sono parecchie decine di milioni.
In questo contesto, frutta e ortaggi freschi sono una componente importante della dieta alimentare di tutte le persone. In particolare, i prodotti ortofrutticoli apportano all’organismo umano vitamine, minerali e fibre e sono dunque potenzialmente benefici per la salute. In tutto il mondo il basso consumo di frutta e verdura è dunque un importante fattore di rischio per il diffondersi delle malattie croniche precedentemente ricordate. D’altra parte, i numeri mostrano che, oggi, a livello mondiale, non viene globalmente consumato il quantitativo minimo di frutta e verdura raccomandato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e fissato in almeno 400 g/pro-capite al giorno.
In realtà l’offerta stessa di frutta e ortaggi a livello globale, prima ancora che nazionale, non è sufficiente per soddisfare le esigenze attuali della popolazione mondiale, e, permanendo la situazione attuale, neppure quelle future di medio (2025) e lungo periodo (2050). Infatti, recenti studi[1], estrapolando i dati aggregati sulla produzione agricola e sull’evoluzione delle rese delle principali colture, hanno verificato che c'è uno squilibrio strutturale tra l'offerta di ortofrutta e le esigenze nutrizionali minime della popolazione mondiale. In pratica, l’offerta ortofrutticola attuale, anche se venissero soddisfatti i livelli di consumo di ortofrutta consigliati dell’OMS, lascerebbe senza disponibilità di prodotto circa un quinto della popolazione mondiale, quella che risiede nei Paesi con i livelli più bassi di reddito in particolare. In base alle proiezioni di crescita demografica (tasso di fertilità) e di sviluppo della produzione agricola (rese ad ettaro), alle condizioni attuali questo squilibrio tra disponibilità e bisogni potenziali sarebbe destinato a permanere anche in futuro. In pratica, per dare una risposta alle crescenti esigenze di salute pubblica della popolazione mondiale è auspicabile non solo un maggiore consumo giornaliero di frutta e ortaggi, ma anche un aumento dei livelli di produzione mondiali al fine di garantire il necessario equilibrio tra l’offerta di ortofrutta ed il livelli minimi di consumo auspicati.
Nell’Ue il rapporto fra domanda ed offerta non desta problemi (l’Europa è destinazione di molte produzioni ortofrutticole dai Paesi terzi ed al centro dei flussi di interscambio internazionali), mentre segnali poco confortanti provengono dall’andamento dei consumi. Infatti, i più recenti dati di Freshfel (l’organismo che associa alcuni tra i più importanti operatori della filiera ortofrutticola internazionale) riferiti all’Ue-28 hanno messo in luce che nel 2013 i consumi di frutta fresca e verdure si sono attestati a circa 342 g/pro capite al giorno. Si tratta di un lieve incremento rispetto al 2012 (5,6%), ma con un ulteriore arretramento di circa il 2% rispetto alla media degli ultimi cinque anni (2008-12). In dettaglio, per quanto riguarda la frutta, l’analisi sul consumo medio pro-capite nei singoli Paesi dell’Ue ha evidenziato come i Paesi mediterranei siano ancora i principali consumatori di frutta in ambito comunitario. La graduatoria dei Paesi principali consumatori vede infatti quattro nazioni del bacino del Mediterraneo (Grecia, Cipro, Italia e Spagna) ai primi sei posti. Con la sola eccezione della Grecia, il cui consumo di frutta è cresciuto del 9,9% tra il 2011 ed il 2013, tutti gli altri hanno visto un calo dei livelli di consumo sia nel breve (2013/11) che nel medio periodo (2013/08).
In particolare, l’Italia ha visto diminuire il consumo di frutta (pari a 290 g/pro capite al giorno nel 2013) del 2,1% rispetto al 2011 e del 30,4% sul 2008. A dimostrazione che si tratta di un trend generalizzato, si rileva che i decrementi più importanti si sono registrati sia nel breve che nel medio periodo anche presso i Paesi dell’Ue dove i livelli di consumo sono più bassi (Estonia, Lettonia e Lituania in testa; Tab. 1).
L’andamento descritto trova conferma anche per quanto riguarda gli ortaggi, per i quali, pur rimanendo la Grecia il principale consumatore (266 g/pc/giorno), l’importanza dei Paesi mediterranei si riduce ed emerge invece quella dei Paesi dell’Est (Romania e Polonia in particolare; Tab. 2). Come per la frutta anche per gli ortaggi il “trend” di breve e medio periodo è negativo per tutti i principali Paesi consumatori, con punte, nel medio periodo, in Belgio (-41,7%) e Malta (-41,2%). Tra i Paesi comunitari dove i consumi di ortaggi sono più bassi l’arretramento dei livelli di consumo è ancora più marcato: -78,2% in Ungheria (ultimo Paese dell’Ue, con solo 89 g/pc/anno) e -34,3% in Repubblica Ceca (104 g/pc/giorno).
Le cause del calo dei consumi di ortofrutta sono molteplici, sia di natura sociale che economica, motivo per cui è opportuno concentrare l’attenzione solo sul ruolo di questi ultimi. In tale ambito è chiaro che la riduzione dei redditi delle famiglie europee, in un periodo di crisi di molti Stati, va ad influire negativamente sui livelli di consumo di ortofrutta divenendo, di fatto,
un ostacolo all’efficacia di politiche di salute pubblica. Per questo motivo il problema della diffusione di malattie croniche per il basso consumo di ortofrutta non è soltanto globale, ma potrebbe diventare anche specifico dell’Ue se non si mettono in atto misure di sostegno, tra cui, prima di tutto, quelle legate all’educazione alimentare delle nuove generazioni (vedi riquadro).
D’altra parte gli effetti delle politiche educative sono visibili solo nel lungo periodo, mentre nel breve è necessario che le iniziative nazionali si concentrino sull’insufficiente livello di assunzione di frutta e verdura, puntando a promuovere i consumi presso gli adulti e gli adolescenti. Un esempio di strategia implementata a livello comunitario per accrescere il consumo di frutta e verdura nei singoli Stati membri è il programma “Five A Day” (5 volte al giorno) che punta ad incoraggiare il consumo di almeno cinque porzioni di frutta e verdura ogni giorno in modo da raggiungere il livello minimo (400 g/pc al giorno) di prodotto necessario per garantire agli individui una corretta alimentazione. Questo tipo di iniziativa, tramite attività di comunicazione mirate, punta a divulgare importanti concetti di educazione nutrizionale presso i consumatori più giovani, le loro famiglie, gli operatori commerciali, le scuole, le Istituzioni e gli Enti della Sanità, per arginare il trend di contrazione degli acquisti di frutta a cui si assiste ormai da diversi anni e di cui si è dato conto in precedenza.
Le attività di comunicazione possono coinvolgere sia i tradizionali media (stampa, radio, televisione, cinema, web, ecc.), sia i punti di vendita al dettaglio, con contatto diretto dei consumatori nei reparti di ortofrutta fresca e con “corner” informativi e di degustazione. In questo contesto l’Italia, in quanto Paese produttore e consumatore abituale di una gamma pressoché completa di prodotti ortofrutticoli, dovrebbe essere avvantaggiata nel veicolare le proprietà salutistiche di prodotti con un consumo fortemente radicato presso le famiglie italiane. Tuttavia, anche nel nostro Paese il calo dei livelli di consumo pro-capite è un dato acclarato, un segnale negativo in una logica di più generale tutela della salute collettiva, per cui messaggi chiari su frutta e verdura veicolati attraverso programmi di questo tipo sono importanti per ribadire che una dieta alimentare che voglia essere bilanciata e salutistica non può prescindere dall’ortofrutta.
I cardini di una politica integrata di sostegno al consumo di questa categoria di prodotti, nella convinzione che alzare i livelli di consumo sarebbe utile per l'agricoltura, per l'occupazione e per la salute di tutti gli italiani, sono i seguenti.
- informazione e formazione: aumentare la sensibilità dei consumatori in materia di argomenti relativi alla salute, secondo le linee guida dell'OMS;
- educazione alimentare: promuovere il consumo di frutta e verdura nelle scuole, sostenendo il programma europeo "Frutta nelle scuole" e promuovere cibi sani nelle Istituzioni pubbliche;
- politiche pubbliche: incoraggiare la ricerca per aumentare la produzione e la varietà di frutta e verdura nel rispetto dell'ambiente (tecniche di coltivazione sostenibili).