Degli oltre 400 mila ettari di piante da frutto diverse dagli agrumi che sono coltivati in Italia, circa la metà sono investiti da drupacee, un quarto da pomacee e la quota restante vede prevalere l’actinidia ed il nocciolo. L’inquadramento delle specie frutticole in questi raggruppamenti riveste la sua importanza anche ai fini della fertilizzazione, in quanto sottende a differenti esigenze nutrizionali e ad una differente tempistica nell’assorbimento dei nutrienti.
La fertilizzazione del frutteto in cifre
Riferendoci a quelle che costituiscono la maggioranza delle piante da frutto coltivate in Italia, e cioè drupacee, pomacee ed actinidia, si può anzitutto considerare, esaminando la tabella 1 che riporta gli asporti di NPK per tonnellata di prodotto, come per unità di frutta prodotta le pomacee siano molto meno esigenti di nutrienti rispetto alle drupacee e soprattutto dell’actinidia: la produzione di 1 tonnellata di frutta richiede circa 7 unità totali di NPK contro le 11-13 necessarie per la stessa produzione nelle drupacee e le oltre 13 che servono per l’actinidia. Dalla tabella si rileva anche come ogni specie presenti un diverso rapporto fra i nutrienti asportati:
- nelle pomacee abbiamo un rapporto NPK che ruota attorno al 4.1.4, un po’ più alto nel pero, un po’ più basso nel melo, ed è lo stesso rapporto nutrizionale che si presenta nell’actinidia;
- nelle drupacee si registra una maggiore variabilità, in quanto abbiamo un rapporto più sbilanciato nel susino, pari a circa 5.1.5 ed un dato più allineato per il pesco ed è pari a 3,5.1.3,5: albicocco e nettarino presentano rapporti intermedi.
Una volta fissate le necessità unitarie, l’altro fattore che conduce all’asporto complessivo di nutrienti è la potenzialità produttiva della coltura. Per il melo, ad esempio, si possono raggiungere anche rese di 60-70 t/ha; altra specie che può essere molto produttiva è il susino, che con la varietà Angeleno può toccare di frequente le 50 t/ha; allineate sulle 30-35 t/ha di produzione attesa possiamo considerare actinidia, nettarine, pesche e pere, nonché le varietà più tardive di albicocco, mentre per le varietà più tradizionali di albicocco si considera una media produttiva di 20-25 t/ha.
Tab. 1 – Asporti di NPK rapportati alla produzione (kg per t di frutta) secondo i Disciplinari di Produzione Integrata Regione Emilia-Romagna | ||||
Specie | Azoto (N) | Fosforo (P2O5) | Potassio (K2O) | Totale NPK |
Actinidia | 5,9 | 1,6 | 5,9 | 13,4 |
DRUPACEE | ||||
Albicocco | 5,5 | 1,3 | 5 | 11,8 |
Nettarino | 6,4 | 1,4 | 5,3 | 13,1 |
Pesco | 5,8 | 1,7 | 5,8 | 13,3 |
Susino | 4,9 | 1 | 4,9 | 10,8 |
POMACEE | ||||
Melo | 2,9 | 0,8 | 3,1 | 6,8 |
Pero | 3,3 | 0,8 | 3,3 | 7,4 |
Tempi di fioritura-emissione foglie
Altro punto da considerare nel confronto delle specie e che risulta molto importante per l’organizzazione della fertilizzazione è la tempistica fioritura - emissione delle foglie.
Nell’albicocco la fioritura avviene praticamente senza foglie ed è quindi totalmente a carico delle riserve accumulate nella annata precedente; nel pesco e nettarino si registrano notevoli differenze fra le varietà, dato che per alcune l’antesi avviene con solo piccole punte verdi delle foglie emesse, mentre per altre varietà si registra già una significativa superficie fogliare presente; tra le drupacee considerate il susino (cino-giapponese o europeo che sia) è sicuramente quello che arriva in fioritura con la maggiore superficie fogliare distesa.
Nell’actinidia, con diversificazioni fra le specie e le varietà, abbiamo che la partenza vegetativa avviene circa 30-45 giorni prima della fioritura.
Per quanto riguarda le pomacee, tipicamente il pero arriva in fioritura quasi immediatamente dopo il germogliamento, ma con le foglie sottostanti il mazzetto fiorale già distese, mentre il melo emette in un primo tempo le foglie e solo successivamente avviene la fioritura, con diverse foglie ben sviluppate.
È necessario poi tenere in considerazione il tempo che intercorre fra la fioritura e la raccolta. Nelle drupacee può essere molto diversificato a seconda delle varietà: per le più precoci si parla di poco più di 90 giorni, mentre per le più tardive come il susino Angeleno o la nettarina California si parla di oltre 150 giorni.
Nelle pomacee questo tempo è in genere più lungo, essendo di almeno 120 giorni per le varietà più precoci di pero e melo fino a superare i 200 giorni per le varietà più tardive di mele, a raccolta in novembre.
Per l’actinidia Hayward, che pur con l’ampliarsi del pacchetto di specie e varietà rappresenta comunque la maggioranza della superficie coltivata ad actinidia, trascorrono circa 150-160 giorni fra la fioritura e la raccolta.
Impostazione della fertilizzazione
Nelle cifre indicate per gli asporti dei fruttiferi si sono presi in esame solo i macroelementi azoto, fosforo e potassio, che sono definiti tali perché sono assorbiti dalle piante in maggiori quantità: in realtà presentano caratteri di indispensabilità anche i nutrienti assorbiti in quantità più limitate e che per questo motivo sono denominati meso e microelementi.
Mesoelementi
È opportuno evidenziare che, anche se il fosforo convenzionalmente fa parte dei macroelementi e il calcio e il magnesio dei mesoelementi, per molte colture frutticole le esigenze in calcio sono spesso superiori a quelle in fosforo, rientrando sui livelli dell’azoto e del potassio; anche il magnesio per molte specie presenta asporti in linea con quelli del fosforo, per cui, se il terreno è povero in calcio e magnesio, bisogna tenerne conto in sede di interventi di fertilizzazione.
Ad esempio l’actinidia necessita di quantità molto rilevati di calcio, però prevalentemente indirizzate verso le branche ed i tralci e solo in parte verso i frutti.
L’insufficiente dotazione di calcio nei frutti di melo è la causa principale della fisiopatia della butteratura amara, che si manifesta già alla raccolta ma soprattutto durante la frigoconservazione: i frutti colpiti non sono più commerciabili. La modalità più efficiente di arricchire le mele in calcio è la concimazione fogliare con fertilizzanti specifici, applicati con interventi ripetuti anche di entità significativa, a partire dalla fase di post fioritura.
La carenza di magnesio, invece, comporta riflessi negativi soprattutto sulla efficienza dell’apparato fogliare, in quanto si evidenzia con clorosi più o meno accentuate, tipicamente interessanti la zona della lamina fogliare prossimale alle nervature, mentre l’area internervale, almeno in un primo momento, mantiene la colorazione verde scura. Fra le specie da frutto più sensibili alla carenza di magnesio vanno citate sicuramente l’actinidia, il pero ed il melo, mentre su pesco si manifesta soprattutto con certi portinnesti in terreni a tessitura leggera. Ricordiamo che la manifestazione della carenza di magnesio appare anche se il suo tenore nel suolo non è basso in assoluto, ma se è in proporzione molto alto il tenore in potassio, elemento che può facilmente entrare in antagonismo a livello di assorbimento radicale con il magnesio.
Microelementi
Per quanto riguarda i microelementi, di fronte ad asporti assai limitati sono comunque assai frequenti le carenze in grado di esercitare una influenza negativa sulla efficienza produttiva delle piante da frutto. In particolare la carenza più importante e più riconosciuta è quella di ferro, per la quale si effettuano importanti concimazioni con chelati e complessati di ferro, sia per via radicale che per via fogliare. La via fogliare, se perseguita con formulati dedicati, ad elevata tolleranza da parte dell’apparato fogliare, risulta a più pronto effetto. La clorosi ferrica deve essere combattuta o, meglio, prevenuta con assiduità su actinidia e su pero con portinnesto cotogno: su queste stesse specie si deve fare attenzione anche alla carenza di manganese, anche essa piuttosto frequente ed a volte accentuata dalle eccessive concimazioni con ferro.
Parlando degli altri micronutrienti, per le colture arboree si deve evidenziare l’importanza del boro, in quanto una sua carenza conduce ad una inferiore allegagione ed alla crescita di frutti malformati. Per questo motivo vengono consigliate in modo trasversale su tutte le piante da frutto concimazioni fogliari con prodotti specifici a base di boro prima, durante e dopo la fioritura, per evitare che una insufficiente disponibilità di questo oligoelemento sia alla origine del limitato accrescimento del budello pollinico e quindi di una ridotta fecondazione e fruttificazione. Carenze di boro nel periodo di accrescimento del frutto creano perturbazioni nella divisione cellulare e interferiscono con la traslocazione del calcio: entrambi i fattori conducono a frutti deformi e meno conservabili, per cui deve essere curata con attenzione la dotazione di boro nelle prime fasi di sviluppo del frutto.
Modalità di fertilizzazione del frutteto
Negli impianti fruttiferi di più recente progettazione è ormai regolarmente prevista l’installazione della microirrigazione che, quasi parallelamente, viene sfruttata anche per la fertirrigazione che fornisce risposte molto positive per le colture arboree.
In funzione delle modalità adottate, l’organizzazione della fertilizzazione può essere la seguente:
- Fertilizzazione granulare;
- Concimazione per fertirrigazione;
- Fertilizzazione mista, sia granulare che per fertirrigazione.
Qualsiasi sia la modalità distributiva adottata, il primo intervento fertilizzante deve essere effettuato in prossimità della fioritura: infatti la ricerca scientifica ha evidenziato come l’assorbimento dei nutrienti da parte dell’apparato radicale delle colture da frutto prenda avvio prevalentemente verso la fine della fioritura, mentre nelle fasi precedenti vengono utilizzate le sostanze di riserva accumulate nella stagione precedente.
Fertilizzazione granulare
Negli arboreti dove tutta la concimazione viene effettuata tramite lo spandiconcime, alla fioritura si consiglia di distribuire un concime complesso NPK, di natura chimica o organo-minerale, con il rapporto sbilanciato sul potassio. L’obiettivo da perseguire è quello di distribuire in questa fase il totale fabbisogno di fosforo e potassio ed il 30-40% del fabbisogno in azoto: indicativamente, considerando le differenti esigenze delle specie, si va a scegliere tra concimi con rapporto 1.1.2 o 2.1.3 o 3.1.3. Dopo avere constatato l’effettiva carica produttiva, e quindi dopo avere verificato l’allegagione, si valuterà quale è il dosaggio complessivo necessario di azoto e se ne completerà la somministrazione effettuando almeno un ulteriore passaggio di spandiconcime con un fertilizzante azotato semplice (nitrato ammonico o urea) nell’arco di 1-3 mesi dopo il precedente intervento, in funzione dell’epoca di raccolta.
Concimazione per fertirrigazione
Nel caso di adozione di questa modalità distributiva, che per certe specie come l’actinidia è diventata la prassi, il totale fabbisogno di azoto, fosforo e potassio (e di calcio e magnesio) viene frazionato in una serie di interventi, preferibilmente a turno settimanale o decadale. Rispetto alla modalità distributiva tradizionale, le quantità di nutrienti apportate possono essere ridotte del 20-25%, in quanto il frazionamento minimizza le perdite e la fertirrigazione esalta l’assorbimento radicale. Le fertirrigazioni vanno avviate poco prima della fioritura: la prima o le prime della stagione è bene siano effettuate con un apporto prevalente di fosforo, dell’ordine di 10 -15 unità di P2O5, in quanto è il nutriente chiave per la crescita ed il rinnovo dell’apparato radicale che è il primo processo che la pianta intraprende in quel periodo. Le successive fertirrigazioni prevedono un apporto prevalente di azoto, per la fase post fioritura e di ingrossamento del frutto, mentre successivamente a quella fase prende un ruolo predominante l’elemento potassio, con la seconda parte di ingrossamento dei frutti. Per quanto riguarda i mesoelementi, gli apporti di calcio, generalmente effettuati tramite nitrato di calcio, vanno applicati nelle prime fasi di crescita del frutto, per favorire l’accumulo di questo elemento ed una sua sufficiente concentrazione nella polpa e nella epidermide, garanzia di maggiore resistenza meccanica, utile sia per minimizzare l’effetto degli urti che per il contrasto ai patogeni. Il magnesio può essere invece somministrato anche nelle fasi successive, soprattutto nei terreni carenti in questo elemento o con un rapporto potassio/magnesio troppo elevato.
Nei programmi di fertirrigazione si possono includere anche i chelati di ferro necessari per prevenire la clorosi negli impianti soggetti a questa carenza: questa distribuzione viene in genere effettuata nella fase di allegagione o alla primissima comparsa dei sintomi.
Fertilizzazione mista
Anche se l’azienda si avvale della fertirrigazione, non è la scelta agronomicamente migliore quella di distribuire totalmente gli elementi nutritivi per quella via: la fertilizzazione iniziale, in prossimità della fioritura, con concimi complessi, anche organo minerali, è bene venga effettuata con lo spandiconcime. Questo principalmente per due motivi: a) fare arrivare i fertilizzanti anche in aree diverse dalla banda ristretta lungo la fila interessata dalla fertirrigazione; b) assicurare una base di nutrienti, meglio se accompagnati da sostanza organica, che tutelino da possibili errori o malfunzionamenti della fertirrigazione nel corso della stagione.
Il concime NPK da adottare nel caso di modalità di concimazione mista si consiglia abbia un rapporto fra gli elementi prossimo a 2.1.1 o 3.1.1; va distribuito in una quantità sufficiente a coprire circa il 30-40% del fabbisogno totale in nutrienti, per poi fornire il rimanente nelle fertirrigazioni successive, effettuate a turno di 7-10 giorni, ripartendo gli elementi nutritivi con le modalità descritte nel paragrafo dedicato.
Fertilizzazione post raccolta
L’attività di ricerca ha messo in luce la stretta correlazione esistente tra l’adeguata disponibilità di nutrienti nella fase di post raccolta e la buona preparazione delle gemme a fiore per l’annata successiva. Per questo motivo, specialmente nelle specie e nelle varietà a raccolta più tardiva, in cui i giorni dedicati esclusivamente all’accumulo di sostanze di riserva sono limitati, si attua, preferibilmente in fertirrigazione vista la scarsa disponibilità idrica dei suoli nel corso dell’estate, un apporto di 20-30 unità di azoto con questa specifica finalità. Questo intervento deve essere effettuato con apparato fogliare ancora ben efficiente, in modo che l’azoto assorbito possa venire elaborato dalle foglie e poi orientato verso gli organi di riserva. A seconda della dotazione dei suoli in fosforo ed in potassio, si può approfittare di questo intervento per distribuire in questa fase anche questi altri due macronutrienti.
Fertilizzazione fogliare
La fertilizzazione fogliare delle piante da frutto viene adottata con successo per sostenere la pianta nelle fasi più delicate, come la fioritura e il periodo direttamente successivo. Risulta particolarmente utile per fare assorbire con prontezza nutrienti per cui la via radicale risulta meno rapida, come il ferro, o poco efficiente, come il manganese, oppure per fare arrivare direttamente sul frutto elementi poco traslocati verso di esso dalla linfa come il calcio. A seconda della conformazione e della tomentosità della lamina fogliare le diverse specie presentano una differente capacità di assorbire gli elementi nutritivi. La difficoltà principale risiede nel fare aderire l’acqua irrorata alle foglie prive di tricomi, come quelle del pesco e del pero, nelle quali è molto facile provocarne il gocciolamento, facendo cadere a terra buona parte del fertilizzante che si voleva fare aderire alla lamina fogliare. Per ottimizzare la concimazione è essenziale dosare con attenzione la quantità di acqua per ettaro, aumentare la finezza delle gocce ed adottare un buon bagnante che favorisca la copertura della foglia riducendo il gocciolamento.
Indicazioni di base per indirizzare gli interventi di fertilizzazione
- Quanto prima si viene ad avere un consistente numero di foglie pienamente sviluppato e quindi maturo, quanto prima è possibile effettuare la fertilizzazione radicale: questo perché una buona superficie fogliare attiva è in grado di elaborare le sostanze minerali assorbite dalle radici ed elaborarle con la fotosintesi, ed in questo modo consentire alla pianta di raggiungere un accumulo netto nonostante i processi respiratori;
- Dove la fioritura avviene senza foglie o quasi (albicocco, alcune varietà di pesco e nettarino) assume ancora maggiore importanza l’adeguata maturazione delle gemme nella annata precedente e l’accumulo di sostanze di riserva che sarà fondamentale per una buona fioritura ed allegagione;
- In ogni caso si deve ricordare che le tenere foglioline sottostanti ai fiori sono preziosissime ai fini della durata e del destino della fioritura, per cui è consigliato nutrire per via aerea le giovani lamine fogliari con prodotti specifici che apportino nutrienti in forma assimilabile e non aggressiva per i tessuti. Una tipologia di nutrizione che può assumere una valenza pressoché universale, ma è determinante soprattutto nel pero od in certe varietà di susino ed albicocco, consiste in apporti per via fogliare con boro, zinco ed alghe per favorire una migliore allegagione e limitare grandemente i problemi di cascola. Laddove poi abbiamo facilità di insorgenza di clorosi è consigliato apportare in modo preventivo per via fogliare ferro e manganese che sono i principali microelementi chiamati in causa dalle problematiche clorotiche: questo è il caso in particolare dell’actinidia, del pero su cotogno o del pesco su franco.
- Nelle varietà con un tempo ridotto fra la fioritura e la maturazione è molto importante curare con attenzione la fase di post raccolta, in cui l’arboreto va a sintetizzare e mettere in riserva gli elaborati fondamentali per una fioritura ottimale e che garantiranno una base di risorse in grado di scongiurare carenze difficilmente recuperabili in modo indolore in un arco di tempo che per queste varietà è giocoforza limitato.