L’opera è stata finanziata dal Ministero delle Politiche Agricole Agroalimentari e Forestali al CREA - Frutticoltura di Roma con il concorso di dieci sponsor che hanno coperto i maggiori costi rispetto al programma iniziale ed è stata coordinata da chi scrive questa nota. L’Atlante ha il patrocinio dell’Accademia dei Georgofili e della Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana (SOI). Per i loro grandi meriti nel campo degli studi e della valorizzazione delle risorse genetiche vegetali, della frutticoltura e dell’agricoltura in generale, l’opera è dedicata ai professori Gian Tommaso Scarascia Mugnozza e Franco Scaramuzzi.
L’Atlante è articolato in tre volumi, il primo dei quali comprende un capitolo sul concetto di autoctono, un secondo capitolo sullo stato dell’arte degli studi di “fingerprinting” condotti in Italia sulle cultivar di fruttiferi presenti nel Paese e 21 capitoli sulla sintetica storia frutticola delle 19 regioni e delle due province autonome italiane, con particolare riguardo alle cultivar autoctone. I volumi due e tre trattano tredici specie o per meglio dire tredici gruppi di specie: agrumi (arancio, bergamotto, cedro, chinotto, clementine, limone, mandarino, altri agrumi), albicocco, castagno, ciliegio dolce e acido, fico, mandorlo, melo, nocciolo, noce, pero, pesco, pistacchio, susino (europeo, siriaco e cino-giapponese).
Gli autori sono oltre 200 in rappresentanza di Università, Crea, CNR, Assessorati e Aziende Sperimentali regionali, Assessorati e Centri di ricerca e sperimentazione provinciali, strutture di ricerca e sperimentazione territoriali pubblico-private e privati, esperti delle singole specie. Ogni capitolo è stato coordinato da esperti di riconosciuta competenza nazionale e internazionale.
Poiché la definizione di autoctono non è univoca, come il capitolo iniziale approfondisce, l’Atlante prende in considerazione le cultivar individuate in Italia e provenienti da un semenzale la cui origine è, in genere, sconosciuta, selezionato ad opera di un agricoltore, un tecnico o un amatore e moltiplicato per le caratteristiche agronomiche e pomologiche ritenute positive. In alcuni casi l’origine della cultivar autoctona è una mutazione gemmaria, individuata e moltiplicata nello stesso modo. Sono così escluse le cultivar di sicura origine straniera anche se coltivate in Italia da molto tempo e spesso considerate autoctone e quelle provenienti da programmi di miglioramento genetico, pubblici o privati. Questo il criterio seguito per la trattazione nell’opera, anche se non si dubita che qualche errore di attribuzione sia stato fatto, vista l’incertezza di molte fonti bibliografiche pomologiche e l’incompletezza della pur ricca bibliografia di studi molecolari.
A proposito delle indagini molecolari che hanno consentito di fare chiarezza su numerosi casi di sinonimie e di omonimie, si sono evidenziati alcuni punti critici legati all’origine delle accessioni e la loro reale corrispondenza varietale: è possibile, infatti, il caso di accessioni presenti in collezioni utilizzate per l’analisi di “fingerprinting” denominate erroneamente per scambio di cartellini o di trascrizione al momento della costituzione della collezione o al momento del prelievo del materiale vegetale per l’estrazione del DNA. I risultati del “fingerprinting” dovrebbero sempre essere confrontati con una rigorosa verifica pomologica che non sempre è stata fatta.
L’Atlante vuole anche essere un omaggio ai tanti frutticoltori di tutte le regioni italiane che con intelligenza e passione hanno individuato, selezionato, valorizzato e conservato migliaia di varietà autoctone, contribuendo in modo determinante alla salvaguardia di preziose risorse genetiche per le generazioni future.
Le cultivar dei tredici capitoli sono classificate in tre categorie (A, B, C) a seconda della importanza che hanno o hanno avuto nel territorio o anche in base a specifiche caratteristiche genetiche che le rendono di interesse per programmi di miglioramento varietale. L’attribuzione della classificazione risente inevitabilmente dell’esperienza degli autori, della storia e della realtà frutticola delle diverse regioni e della bibliografia disponibile; risulta, così, che in alcune regioni le cultivar A siano proporzionalmente più numerose che in altre. Le cultivar A sono descritte secondo una scheda pomologica che riporta l’origine, i sinonimi, le principali caratteristiche agronomiche e pomologiche, la bibliografia essenziale, corredata da una fotografia del frutto.
Le cultivar B, meno importanti delle precedenti, ma pur sempre interessanti per produzioni locali, sono elencate in una tabella che riporta sinonimi, caratteri agronomici e pomologici principali e i riferimenti bibliografici essenziali. Le cultivar C, infine, ritenute meno importanti delle precedenti, sono elencate in ordine alfabetico con i relativi sinonimi e i riferimenti bibliografici per consentire un approfondimento sulla conoscenza delle loro caratteristiche. Ogni capitolo è completato da un’introduzione che traccia una storia della specie, dall’elenco delle cultivar e relativi sinonimi, dal nome delle regioni dove sono ancora coltivate e la relativa classificazione di importanza, dalla bibliografia citata.
Le cultivar riportate sono 5.041, secondo un ordine di importanza che va dal melo (975) al pistacchio (16). Molto numerose sono anche le cv di ciliegio (88% ciliegio dolce), pero e pesco (solo 6% nettarine); seguono castagno, mandorlo, fico, susino (97% europeo e siriaco), albicocco, agrumi (prevalentemente arancio e limone); numeri decisamente inferiori hanno le specie noce, nocciolo e pistacchio (Tab. 1).
La distribuzione territoriale (Fg. 1) vede ai primi posti, per numero totale di cultivar, sia regioni del Nord (Piemonte, Emilia-Romagna), che del Centro (Toscana) e del Sud (Campania, Puglia, Sicilia) e comunque in tutte le regioni è presente un numero importante di fruttiferi autoctoni a conferma della rilevanza storica e attuale che la frutticoltura riveste nell’economia agricola del Paese. Interessante è la posizione prevalente di alcune specie nelle varie regioni: il melo prevale nettamente al Nord, mentre il pero, in contrasto con la coltivazione attuale, è prevalente al Sud e al Centro. Pesco e ciliegio sono ai primi posti in regioni delle tre parti del Paese, il fico nel Centro-Sud, il mandorlo, come era logico attendersi, al Sud. Il censimento, rilevato dalla bibliografia, risente del diverso impegno che le strutture di ricerca e sperimentazione dislocate sul territorio nazionale hanno dedicato a questo tipo di indagine, in funzione dei finanziamenti messi a disposizione dalle amministrazioni nazionali, regionali, provinciali e locali ed il numero di varietà è certamente sottostimato rispetto alla reale consistenza del germoplasma autoctono.
Agrumi
Le cultivar autoctone sono ancora largamente coltivate e costituiscono la base della produzione agrumicola italiana. Le arance Tarocco e i suoi numerosi cloni, Moro e Sanguinello, con la loro polpa sanguigna, caratterizzano in modo positivo la produzione italiana in generale e siciliana in particolare, ma anche le bionde Brasiliano, Belladonna, Biondo di Trebisacce e altre sono ancora diffusamente coltivate. Anche la limonicoltura, nonostante una continua e importante innovazione varietale a livello internazionale, fa ancora affidamento su cultivar autoctone come Femminello Siracusano, Femminello Zagara Bianca e Nostrano di Rocca Imperiale, per non parlare di Ovale di Sorrento e Sfusato Amalfitano senza i quali le Costiere sorrentina e amalfitana non avrebbero il fascino e l’attrattiva turistica internazionale di cui godono. Due storiche e localmente importanti produzioni calabresi si basano su cv autoctone: il bergamotto Castagnaro per l’estrazione dell’essenza alla base dell’industria profumiera d’elite e il cedro Diamante, da secoli utilizzato per celebrare la festa dello Sukkoth dalle comunità ebraiche non solo italiane.
Nonostante l’intenso e rapido rinnovo varietale del clementine e del mandarino, le cv autoctone di clementine Spinoso e Tardivo sono ancora molto coltivate, così come il mandarino Tardivo di Ciaculli. Produzioni particolari, ma localmente positive sono quelle del Chinotto di Savona in Liguria, della Pompia (un ibrido tra cedro e limone) in Sardegna, del Melangolo in Umbria. Iniziative recenti, dalle Marche all’Abruzzo, fino al Molise, hanno recuperato “i giardini di agrumi” con cv locali di arancio che caratterizzavano le alture prospicenti il mare del litorale piceno e della costa dei trabocchi. Anche il vivaismo agrumicolo amatoriale e ornamentale, la cui importanza economica è rilevante e crescente, trae vantaggio dalla propagazione di tante cv storiche, alcune delle quali risalgono al tempo del Granducato di Toscana di Cosimo III.
Albicocco
L’albicocchicoltura italiana è la più importante in Europa e fino ad una decina di anni fa si basava quasi esclusivamente su cultivar autoctone, la maggior parte di origine vesuviana, territorio storico di coltivazione di questa specie. I frutticoltori, da sempre, seminavano noccioli delle varietà migliori e attendevano la fruttificazione dei semenzali prima di decidere se innestare o propagare la nuova varietà qualora ritenuta migliore di quelle già esistenti. In questo modo sono state selezionate cv come Cafona, S. Castrese, Palummella, Vitillo, Monaco Bello, Boccuccia, Boccuccia Liscia, Boccuccia Spinosa, Portici, Pellecchiella, Fracasso largamente coltivate in Campania e nelle altre regioni di coltivazione dell’albicocco, anche se oggi sono sostituite da nuove cultivar ottenute da programmi di miglioramento genetico nazionale e estero. Nello stesso modo sono state selezionate cultivar di interesse più locale che ancora oggi hanno importanza per i mercati del territorio: Tonda di Costigliole in Piemonte, Venosta in Alto Adige, Canetta e Valleggia in Liguria, Reale d’Imola in Emilia-Romagna, Amabile Vecchioni in Toscana, Cibo del Paradiso in Puglia, Maiolina in Sicilia.
Diverse cultivar autoctone sono preziose fonti di resistenza/tolleranza ad importanti patologie come la monilia (Ivonne Liverani, Abate, Bella d’Imola, Reale d’Imola, Orru Quartu, Amabile Vecchioni, Precoce di Toscana, Boccuccia, S. Ambrogio, di Alessandria), la sharka (Ceccona, Mandorlon, Nonno, Pelese di Giovanniello, Portici, Precoce d’Imola, Sabbatani, San Castrese), la batteriosi da Xanthomonas spp. (Boccuccia, Boccuccia Spinosa, Ceccona, Cibo del Paradiso, Ivonne Liverani, S. Francesco, Venosta), la virosi da “Apricot Chlorotic Leaf Roll” o portatrici del carattere “basso fabbisogno in freddo” (Canetta, Orru Quartu, Rapareddu, Sarritzu 1).
Castagno
Praticamente tutte le cv di castagno sono autoctone se si escludono i pochi ettari di ibridi euro-giapponesi costituiti in Francia nel secondo dopoguerra e coltivati per la loro precocità, ma non molto apprezzati per la qualità, inferiore rispetto ai marroni di C. sativa. I marroni costituiscono la produzione pregiata del castagno e rappresentano il 20% del totale delle cv censite ; la tipologia più diffusa e presente in tutte le regioni castanicole è quella del “marrone fiorentino” o “casentinese”, pur con piccole varianti da cultivar a cultivar e da regione a regione, mentre il “marrone dell’ avellinese” è presente soprattutto, anche se non esclusivamente, in Campania e differisce dal precedente per una maggiore adattabilità ad altitudini superiori ai 600 metri e anche per una percentuale maggiore di frutti settati.
Ciliegio
Come si è visto, il ciliegio è la drupacea con il maggior numero di accessioni autoctone ed è presente da Nord a Sud in modo molto diffuso sul territorio, anche se lo sviluppo recente della cerasicoltura specializzata si sta concentrando in alcune regioni (Puglia, Emilia-Romagna, Campania, Veneto).
Caratteri interessanti per il miglioramento genetico sono tanti e riguardano la resistenza/tolleranza a stress biotici (mosca delle ciliegie, monilia, ruggine, afide nero), adattabilità ambientale, fenologia e fisiologia della maturazione. La differenza tra resistenza e tolleranza non è quasi mai ben definita in quanto la bibliografia riporta quasi sempre osservazioni di campo; si tratta, comunque di osservazioni interessanti che meritano di essere segnalate e ulteriormente approfondite. Tra gli stress biotici, la R/T alla mosca delle ciliegie è citata per diverse cultivar (Capo é Serpe, Ciliegia del Fiore e Roma in Puglia; Abenavoli Nero, Santa Nutrice e Zuccarigna in Calabria; Capellino e Tardiva in Toscana), la R/T all’afide nero per due cv (Duroni e E Spiritu in Sardegna), la R/T alla monilia è riscontrata in cv prevalentemente coltivate in regioni settentrionali dove il fungo è più presente (Durone Milanese e Durone Tardivo di Valstaffora in Lombardia; Martini in Piemonte; Duroncino di Costaviva in Trentino A.A.; Duroncino di Cesena e Durone Nero I in Emilia-Romagna; Moscatella e Poponcina in Toscana; Ravenna nel Lazio; Piedecorto in Calabria e tante altre).
Per una espansione della cerasicoltura al Sud e anche in prospettiva del riscaldamento globale è di grande interesse il basso fabbisogno in freddo della cv siciliana Kronio e delle cv sarde Alvera, G.F. Petrarca, Monte Santu, Nera di Tempio, Nera di Nuchis, SF. Giagu; tutte queste cv sono anche molto precoci e Kronio, Alvera, GF Petrarca, Monte Santu e SF. Giagu sono auto-fertili. L’auto-fertilità è segnalata in diverse altre cv autoctone e da autori diversi: Colafemmina, Durona, Fuciletta Primizia, Limone in Puglia; Bonnanaro, GF.Tola, Ghisu, Spargola di Bonnanaro, Carruffale, Nera di Campagnola in Sardegna; Maiolina in Sicilia; Maggiarola nelle Marche; è abbastanza sorprendente che il carattere “auto-fertilità”, utilizzato nel primo programma di miglioramento genetico a questo scopo presso la Stazione Sperimentale di Summerland in British Columbia (Canada), derivi da una mutazione indotta mediante radiazioni ionizzanti presso il John Innes Institute nel Regno Unito negli anni ’50 del secolo scorso.
Presso il Centro Nazionale Germoplasma Frutticolo di Roma è presente la cv Ciliegia di Ottobre, la cui origine geografica non è certa; matura 10-15 giorni dopo la più tardiva delle centinaia di cv presenti e può essere un buon genitore per la tardività. Il “cracking” rappresenta uno dei problemi dei duroni, i frutti maggiormente apprezzati dai consumatori, anche per questo carattere diverse cv autoctone caratterizzate da una polpa croccante e consistente hanno dimostrato una scarsa incidenza di questa fisiopatia (Bertiello, Casanova, Cerasone, Della Recca, Durocella Nera, Gambacorta, Imperiale, Melella, Mulegnana, Patanara in Campania; Core e Usigliano in Toscana; Duroncino della Goccia in Emilia-Romagna; Durona in Puglia).
Infine, si segnalano numerose cultivar caratterizzate da un facile distacco della drupa dal peduncolo che rende possibile la raccolta per scuotimento e la commercializzazione delle ciliegie senza peduncolo, analogamente alle spagnole Picota. Le più numerose sono segnalate in Emilia-Romagna (Antonella, Cuor di Cappone, Flamengo, Farlon, Giurdan, Picaion, Picanlon, S. Giuliano), ma anche in Piemonte (Vittona della Spiga, Moncalieri Precoce), in Veneto (Molvena), in Trentino A.A. (Cornala), in Toscana (Bella di Arezzo, Biancona), nel Lazio (Cerasa a Sacco), in Campania (Seconda Nera, Del Monte), in Puglia (Capo é Serpe, Durona di Bisceglie).
Fico
Tutte la cv di questa specie sono antiche e autoctone; sono prevalentemente di origine meridionale, ma anche l’Italia centrale vede un buon numero di varietà locali. La coltura amatoriale e per mercati locali è presente anche nelle regioni settentrionali e si spinge fino in Valle D’Aosta dove una indagine recente ha individuato 7 accessioni. Nella maggior parte delle regioni la produzione è destinata al consumo fresco, in particolare i fioroni, anche se in Campania e Calabria l’industria dei fichi essiccati ha ancora una certa importanza economica. Il miglioramento delle tecniche di conservazione frigorifera e dei mezzi di trasporto da qualche anno hanno rilanciato il commercio dei frutti freschi ed è nata una nuova fichicoltura intensiva e specializzata nelle regioni Sud-orientali del Paese.
Per l’essiccazione la cv Dottato rimane la migliore e la più utilizzata, ma localmente sono apprezzate altre cv come Gravignano Nero nelle Marche, Bianchelle in Umbria, Canna, Pessighina e Mattalò in Sardegna, Reale in Abruzzo, Asprina e Marguglia in Puglia, Minna Longa e Passaluni in Sicilia.
Le varietà di fico si distinguono essenzialmente in unifere (producono solo fioroni) e bifere (producono fioroni e forniti); ci sono anche cv che producono una terza fruttificazione, molto tardiva e di qualità modesta. Molto variabile è la colorazione della buccia (verde, giallo, violetto, nero, screziato...), ma lo sono anche forma (tonda, schiacciata, allungata), dimensione del frutto ed epoca di maturazione.
Mandorlo
Con la sola eccezione della cv francese Ferragnes, introdotta negli anni ’60 del ‘900 e che ha una discreta diffusione, la mandorlicoltura italiana si basa su cultivar autoctone, molte delle quali hanno due caratteristiche che le rendono particolarmente importanti sia per la produzione che per il miglioramento genetico: auto-fertilità e fioritura tardiva. La stessa Ferragnes è frutto di un incrocio tra la pugliese Cristomorto (scelta per la fioritura tardiva) e una cv francese. In tutti i principali Paesi mandorlicoli del mondo si coltivavano, fino a pochi anni fa, solo cv auto-incompatibili, mentre da sempre in Italia sono note e coltivate cv auto-fertili che assicurano una più costante ed elevata produttività. Le più note cv auto-fertili sono quelle pugliesi (Filippo Ceo, Genco, Tuono, Falsa Barese, Don Pitrino, Pepparudda, Sannicandro, Scorza Verde, Antonio di Vito), ma sono presenti anche in Sicilia (Casteltermini, Cavaliera) e in Sardegna (Arrubia, Cossu, De Marsciai). Diverse di queste cv sono oggi utilizzate in più Paesi come fonte del carattere auto-fertilità nei programmi di miglioramento genetico. La qualità della mandorla (forma, dimensione, sapore) trova la sua espressione migliore nella cv siciliana Pizzuta d’Avola, ma anche nelle pugliesi Fragiulio Grande e Trianella. Un carattere molto positivo, che è l’assenza o la bassa percentuale di semi doppi, è presente in molte cv sarde (Arrubia, Basibi, Farrau, Vargiu).
Melo
Costituisce la specie con il maggior numero di varietà autoctone nonostante il prof. Sansavini, che ne è stato il coordinatore, abbia quasi dimezzato il numero iniziale di accessioni censite (circa 1700) depurandole delle ridondanze accertate col filtro del profilo molecolare e con la verifica delle affinità fenotipiche. Le ragioni di questa elevata numerosità si individuano nella longevità e rusticità della specie, nell’adattabilità alle condizioni geografiche e orografiche dell’Italia, nella serbevolezza dei frutti che sono stati una componente importante dell’alimentazione. Alcune delle accessioni si fanno risalire all’epoca romana come Annurca, Appio e Decio; in particolare, l’Annurca è ancora oggi la più importante cultivar dell’Italia meridionale sia per superficie coltivata che per valore della produzione. Oltre all’Annurca, altre cv hanno un’importanza colturale che va oltre l’autoconsumo e il mercatino strettamente locale; in questa categoria possiamo ricordare Bella di Barge, Renetta Grigia di Torriana, Runsé (Piemonte), Appio (Sardegna, Sicilia), Bianca di Grottolella (Campania), Zeuka (Friuli Venezia Giulia), Limoncella (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania), Cola, Gelato Cola, Virchiata, Mela Rosa (Italia Centrale), Rosa romana (Emilia-Romagna).
Il pregio di molte delle cv autoctone è la loro elevata rusticità e la serbevolezza dei frutti essendo state selezionate quando i presidi fitosanitari erano inesistenti o molto primitivi e la conservazione avveniva nei fruttai. La resistenza poligenica o orizzontale alla ticchiolatura è presente in molte cultivar ed è di particolare importanza per integrare la resistenza verticale di molte cv moderne resistenti a Venturia. Tra le cv resistenti alla ticchiolatura (Sansavini, Gregori, com. pers.) si ricordano Buras, Dal Dolc, Durello, Durello di Forlì, Renetta Grigia di Torriana, Pom Zucheret; le resistenti all’oidio sono molto meno numerose (Francesca, Maggiatica). Molto più numerose le cv tolleranti la ticchiolatura; qui si elencano quelle classificate A nell’Atlante (Sansavini, Gregori, com. pers.): Annurca, Appio, Bella di Barge, Bianca di Grottolella, Bianca di Ussassai, Calamama Trevigiana, Campanino, Carraia, Casciana, Cerina, Conventina, Damoncella, Decio, Dominici, Ferro, Ferro di Cesio, Fior d’Acacia, Francesca Romagnola, Gambafina, Lavina, Lazzeruola,Monterosso, Pomella Genovese, Prumentina Rossa, Puppino Ferrarese, Renetta Rugginosa del Tirolo, Righetta, Rosa Marchigiana,Rosa Romana, Ruggine, Runsé, Rusin d’Unvier, Scodellino, Travaglina, Trempa Orrubia.
Un ultimo carattere molto moderno che è stato conservato in alcune cv autoctone è la polpa rossa su cui molti programmi mondiali di miglioramento genetico stanno lavorando per l’importanza che hanno assunto le sostanze antiossidanti quali le antocianine presenti in questo tipo di polpa. Le mele a polpa rossa hanno un’origine antica e non nota. I genotipi citati sono Mela a Polpa Rossa della Valle d’Aosta, Mela Cocomerina dell’Emilia-Romagna, Sanguigna del Molise, Mela del Sangue e Mela Rossa di Acqualagna dell’Umbria e Sanguigna del Lazio. La polpa rossa ha origine da una mutazione nel locus MYB10 che controlla la sintesi degli antociani nella polpa. In Italia l’Università della Tuscia ha in atto un programma di miglioramento genetico per questo carattere e ha in valutazione alcune selezioni con il nome di “Italian Red Passion”.
Nocciolo
Anche la coricoltura italiana, che è seconda nel mondo solo alla Turchia, si basa su cultivar autoctone che sono complessivamente poche (39) e ancor meno quelle alla base della produzione commerciale: Tonda Gentile o Tonda Gentile Trilobata in Piemonte, Tonda Gentile Romana nel Lazio, Tonda di Giffoni in Campania e Nocchione in Calabria e Sicilia dove è conosciuta con numerosi sinonimi (Tonda Calabrese, Avellana Speciale, Comune, Curcia, Mansa, Montebello, Nostrale, Polizzi Generosa, Racinante, Santa Maria di Gesù).
Noce
La coltura del noce ha avuto una importanza storica solo in Campania dove la Noce di Sorrento che, più che una varietà è una popolazione di genotipi tutti molto simili tra loro ed assimilabili alla stessa tipologia commerciale, è stata, a lungo, la sola cultivar presente, affiancata negli ultimi decenni da Malizia, probabile semenzale di Sorrento. Un’altra varietà storica è la Bleggiana, originaria del Trentino e ancora presente per produzioni familiari. Manca, per questa specie, una prospezione sistematica sul territorio nazionale che porterebbe, probabilmente, all’individuazione di genotipi interessanti, rappresentati, al momento, da piante singole mantenute per la bellezza dell’albero e la produzione di frutti consumati dalla famiglia dell’agricoltore. Un esempio positivo di una tale indagine è stata condotta dall’Università di Palermo che ha descritto 14 accessioni con promettenti caratteri agronomici e pomologici. La moderna nocicoltura italiana, che si va affermando, soprattutto nella pianura padano-veneta, si basa esclusivamente su cultivar californiane e francesi.
Pero
Anche il pero è una specie molto ricca di accessioni autoctone, molte delle quali ancora coltivate per la fornitura dei mercati locali, provenienti da tutte le regioni, seppure con una prevalenza di quelle centro-meridionali. La produzione intensiva è basata su antiche cv di origine straniera (Abate Fétel, William, Conference, Decana del Comizio, Kaiser) con la sola eccezione di Coscia, secondo la bibliografia prevalente, individuata in Toscana nell’800 e ancora oggi la cv estiva più importante del Mediterraneo. Per le sue pregevoli caratteristiche Coscia è frequentemente utilizzata nei programmi di miglioramento genetico e ha dato origine a nuove cv precoci presenti nei cataloghi dei vivaisti come Santa Maria, Etrusca, Precoce di Fiorano, Tosca e Aida, quest’ultima tollerante al fuoco batterico.
Un’altra cv del germoplasma autoctono che si è rivelata molto positiva come genitore per qualità e precocità è Bella di Giugno da cui sono derivate Carmen, Norma e Turandot, la prima delle quali è il successo vivaistico più importante degli ultimi anni. Oltre Coscia, sono numerose le cv che hanno una non marginale importanza dal punto di vista produttivo, diverse delle quali come pere da cuocere : Spadona Estiva e Brutta e Buona con i tanti sinonimi in tutte le regioni; Beuré e Martine in Val d’Aosta; Cedrata Romana, Madernassa, vari Martin e similari in Piemonte; Pero Fico, Petorai e Pers Campanei in Friuli Venezia Giulia; Bella di Giugno, Pero Nobile, Lauro, Mora di Faenza e Volpina in Emilia-Romagna; Gentile in Toscana; Giugnoline e Moscatelle e similari in tutta Italia; Angelica nelle Marche; Cannella nell’Italia centro-meridionale; Risciole, Carbone, Di Vierne in Molise; Mastantuono in Campania; Camusina, Apicadorza, Lida, Ruspu in Sardegna; Pero Petruccina, Recchia Falsa, Zammarrino in Puglia; Signur in Basilicata; Annisettu, Cambanaricu, Imperiale, Lisciandruni, Mastro Paolo, Piru Russu in Calabria; Piru d’Invernu e Zucchero in Sicilia. Queste sono alcune tra le più significative, ma le cv ancora coltivate sono molto più numerose e il loro recupero è molto attivo anche grazie alla moda che considera tutto ciò che viene dal passato meglio di quello che è nuovo.
Così come per tutte le specie, molte delle vecchie cultivar sono caratterizzate da notevole rusticità e sono tolleranti nei confronti di parassiti che per il loro controllo richiedono più trattamenti chimici. Tra i parassiti più pericolosi del pero c’è la Psilla; Spina Carpi e Volpina sono praticamente resistenti a questo insetto, Madernassa, Martin Sec, Martin Bertun, Martin d’la Sala, Ciat e Tumin d’Inverno sono molto tolleranti. Volpina si è anche dimostrata molto resistente al “colpo di fuoco batterico” ed è per queste caratteristiche di rusticità che è stata utilizzata dall’Università di Bologna per selezionare la serie dei portinnesti Fox.
Un ultimo carattere che si vuole evidenziare è la polpa sanguigna che, analogamente a quanto già ricordato per il melo, è di grande attualità e obiettivo di diversi programmi di miglioramento genetico. La riscoperta delle pere a polpa sanguigna, in Italia, è merito di Slow Food che alcuni anni fa istituì un Presidio della cv Cocomerina, presente come piante sparse sull’Appennino a Sud di Cesena. Cultivar a polpa sanguigna sono presenti in diverse regioni, con nomi diversi. Sul versante toscano del Parco delle Foreste Casentinesi la stessa cultivar è conosciuta con il nome di Sanguinello o Briaco e recenti lavori di indagine morfologica e molecolare hanno messo in evidenza che le varie accessioni reperite nel Casentino sono riferibili a due gruppi distinti, uno precoce (Cocomerina precoce) e uno tardivo (Cocomerina tardiva). In Sardegna è presente una pera sanguigna assimilabile a quelle dell’Italia continentale. Le pere sanguigne sono prevalentemente utilizzate cotte o trasformate in marmellate, ma il loro maggior valore è l’utilizzazione per il miglioramento genetico.
Pesco
Nonostante la maggiore importanza economica che il pesco ha sempre avuto rispetto alle altre drupacee, la vita più breve della specie e la maggior sensibilità agli stress biotici fanno sì che il numero di accessioni sia inferiore a quello del ciliegio. Un’altra ragione di questa numerosità relativamente bassa può essere dovuta alla massiccia importazione di cultivar dagli Stati Uniti, a partire dalla prima metà del ‘900 ed intensificatasi nel secondo dopoguerra, anche con l’arrivo delle nettarine, in Italia allora assolutamente marginali e oggi vicine a pareggiare la produzione delle pesche. Le “peschenoci” o “nocipesche”, come da noi erano chiamate le nettarine, hanno avuto una certa importanza in Sicilia e in Calabria e le cv locali, Sberge in Sicilia e Merendelle in Calabria, continuano ad essere coltivate con successo in quelle due regioni per rifornire i mercati locali dove spuntano prezzi nettamente superiori alle migliori nettarine moderne.
Nel Lazio, molto più limitatamente, è coltivata la cv Crasiommolo, del tutto simile alle Sberge siciliane. Le pesche autoctone sono molto più numerose, mai del tutto abbandonate nonostante l’enorme numero di novità che annualmente il miglioramento genetico mondiale riversa sul mercato vivaistico italiano. Tra il vecchio germoplasma prevalgono le pesche a polpa bianca, profumate, deliquescenti, delicate, affiancate, dalla Campania in giù, dalle percoche locali consumate come frutto fresco più che per la produzione di sciroppati. Un discorso a parte meritano le “Tabacchiere” siciliane, pesche piatte, a polpa bianca, coltivate nella parte orientale dell’isola da molto tempo e apprezzate per la loro eccellente qualità gustativa. Nel nostro Paese, le Tabacchiere hanno aperto la strada alla commercializzazione e alla coltivazione delle sempre più numerose cultivar di questo tipo frutto di numerosi programmi di miglioramento genetico.
Tra le pesche a polpa bianca più rappresentative ricordiamo Bella di Borgo d’Ale e Michelini, di origine ligure, ma coltivate soprattutto in Piemonte; Cesarini, Meraviglia di Verona, San Vito, Tardivo Zuliani, Toro in Veneto; Bella di Cesena, Buco Incavato, Paola Cavicchi, Rosa del West, S. Anna Balducci in Emilia-Romagna; Regina di Londa, Regina di Ottobre in Toscana; Bellella di Melito, Ciccio ‘e Petrino, Zingara Nera in Campania; ASO 20, Bella di Bivona, Bianca di Bivona, Imera, Montagnola Bianca di Sciacca, Russotto in Sicilia.
Tra le percoche sono ancora valide alcune Percoche di Romagna e la Percoca di Romagna 7 è, al momento, la sola pesca conosciuta resistente alla mosca mediterranea grazie ad un profilo aromatico che la differenzia dalle cv sensibili. In Toscana si ricordano Cotogna del Poggio e Cotogna di Rosano; in Campania le percoche sono numerose e ancora ben apprezzate (Vesuvio, le varie Terzarole), così come in Puglia e Basilicata (Percoco di Tursi, Percoco Bianco di Tursi, Bianco di Putignano, Percoca Agostana, Percoco di Turi) e, infine in Sicilia (Tardivo di Leonforte, Settembrina di Leonforte, Giallone, Ottobrina e Bianca di Leonforte; le ultime quattro fanno parte dell’IGP “Pesca di Leonforte” e il Presidio Slow Food “Pesca nel sacchetto” insieme ad altre cv locali non percoche.
La valorizzazione del carattere polpa sanguigna, presente anche nel pesco come nelle due pomacee precedenti, è stata avviata in Francia già diversi anni fa con la creazione delle nettarine della serie Nectavigne; in Italia, da tempo, sta lavorando l’ex Istituto Sperimentale per la Frutticoltura Sezione di Forlì, oggi Crea–OFA, che utilizza genotipi sanguigni autoctoni rappresentati storicamente dalla Pesca Carota ancora presente nell’Oltrepò Pavese e nota con il nome di Pesca Gnif. Un tempo erano coltivate maritate alla vite e questo spiega la denominazione delle molte accessioni: Pesca delle Vigne, Persi de Vin, Persi ‘d Vigne, Pesca da Vino, Vigne Rossa, Vigna dell’Amiata. Ancora più numerosi sono i nomi che rimandano al colore della polpa: Pesca Sanguigna, Pesca del Sangue, Sanguigna di Savoia, Pesca Sanguigna Elbana, Sanguinella 1 e 2, Sanguinella di Dese, Testa Rosce, Rossa di Santa Lucia, S. Lorenzo Rossa.
Pistacchio
Il pistacchio in Italia è coltivato da sempre solo in Sicilia su una superfice limitata e la sola cv importante è la Bianca o Napoletana, particolarmente pregiata per la bella colorazione verde del seme. Le altre 15 cv autoctone hanno importanza limitata rispetto alla Bianca e, comunque, sono tutte caratterizzate da seme di colore verde intenso.
Susino
Le cultivar europee sono le più antiche e presenti in tutte le regioni; il tipo siriaco, assimilabile al P. domestica, è presente soprattutto in Piemonte con le tante accessioni denominate Ramasin, ancora molto apprezzate sia per il consumo fresco e la pasticceria che per la trasformazione in marmellate. La più nota tra le cv europee è Regina Claudia Verde, di origine molto antica e insuperata per la qualità gustativa dei frutti, dai cui semi si sono ottenute diverse altre Regina Claudia, sia in Italia (Regina Claudia Trasparente, Regina Claudia Gialla) che in altri Paesi europei, accomunate dall’eccellenza qualitativa. L’origine italiana di questa cv è molto dubbia; i francesi ritengono che sia stata individuata nel loro Paese, altri autori ritengono che sia originaria del Medio Oriente e da lì sia stata importata in Italia dai Romani. L’Atlante l’ha considerata autoctona data la sua presenza in Italia da lunghissimo tempo e considerata l’incertezza dell’origine. Una tipologia molto diffusa è la forma ellissoidale, la buccia gialla e la maturazione estiva caratteristica della cv Coscia di Monaca e di diverse altre cv come Fradis, Limuninca e S. Giovanni in Sardegna; Rachele in Campania; Prugna dei Frati e Sgaialoro in Calabria; Sanacore in Sicilia.
Alcune delle storiche cultivar sono adatte alla essiccazione; la varietà Italia è apprezzata per l’ottima pezzatura anche se la resa alla essiccazione è inferiore alle migliori cv internazionali. Prugna di Drò, in Trentino, è sia valorizzata localmente, sia esportata in Germania; Mascina di Montepulciano, in Toscana, oltre che essiccata è trasformata in vari modi (pasticceria, marmellate, distillati).
La più diffusa tra cino-giapponesi è senz’altro Sorriso di Primavera, molto simile al mirabolano, a maturazione molto precoce e ottima impollinatrice delle cv di P. salicina, notoriamente auto-incompatibili. Interessanti e “moderne” per il loro alto contenuto in antociani sono Cacazzara (Campania) e Sangue di Drago (Emilia-Romagna), caratterizzate da polpa intensamente colorata di rosso.
Un nuovo, grande Atlante dei fruttiferi autoctoni italiani
La grande biodiversità dei fruttiferi italiani è sinonimo di storia, cultura contadina, tradizioni e stili alimentari ormai quasi scomparsi, ma degni di essere conservati e tutelati. Un enorme serbatoio di caratteri utili per il miglioramento genetico-varietale, oggi descritto e catalogato in un’opera di grande valore scientifico.