Plant breeding’s right, uno strumento di competitività?

Plant breeding's right
Il panorama di gestione delle royalties, che sono la forma tangibile dei Plant breeding's right, è complesso e in evoluzione. Cambiamento dal quale la produzione non deve sottrarsi, anzi deve sottoscriverlo laddove esso rappresenta un modello di sviluppo produttivo che cerca di creare valore aggiunto per i frutticoltori. La Soi ha cercato di fare chiarezza sulle potenzialità e le criticità di questa materia complessa

Plant breeding's right (Pbr): strumento di competitività per la frutticoltura italiana? È questo il titolo del webinar organizzato dal Gruppo di Lavoro Novità Vegetali della Soi organizzato lo scorso 25 settembre 2020.

Un argomento di stretta attualità considerato che, in frutticoltura, l'innovazione è esclusivamente legata a varietà protette, ossia sottoposte alle norme che regolano la privativa e la proprietà intellettuale delle nuove costituzioni. L'uso legale di queste innovazioni, che implicano forti ricadute sulla competitività delle filiere produttive nazionali, passa attraverso il pagamento di royalty agli aventi diritto, aspetto molte volte frainteso ed eluso da parte degli agricoltori, che si pongono così in condizioni d'infrazione verso precise norme di leggi nazionali e comunitarie.

Un panorama complesso

Ugo Palara e Mirco Montefiori di New Plant, hanno tracciato lo scenario generale dell’innovazione varietale, con ben 4.500 nuove varietà di fruttiferi registrate dal Cpvo negli ultimi 25 anni. Negli anni, il panorama di gestione delle royalties (che sono la forma tangibile dei Pbr) è mutato e si è evoluto in nuove e molteplici forme, alcune delle quali prevedono la semplice royalty a pianta o ad ettaro, mentre altre aggiungono un prelievo sul valore del prodotto commercializzato (perlopiù con un marchio registrato). Anche la loro gestione delle privative è cambiata rispetto al passato; spesso non è più a curata direttamente dal breeder, ma da nuovi soggetti che vedono diversi attori della filiera costituire società e consorzi ad hoc, fino alla creazione dei club che gestiscono e tutelano anche il marchio commerciale.

Quindi non una sola forma di gestione, ma innumerevoli tipi di contratti con differenti vincoli, oneri economici, amministrativi e organizzativi, che mirano a una spinta segmentazione del prodotto al fine di una maggiore distintività e conseguente competitività. Il mondo della produzione non deve sottrarsi a questa evoluzione, anzi deve sottoscriverla laddove essa rappresenta un modello di sviluppo produttivo che cerca di creare valore aggiunto per i frutticoltori. L’evasione delle royalty corrisponde a un mancato rispetto delle regole che nuoce a tutti, breeder, editori, vivaisti, coltivatori, soprattutto quando questi ultimi rispettano le privative e trovano concorrenza sleale da parte di chi le regole non le rispetta. Purtroppo la casistica è ampia e, tra l’altro, rischia di emarginare il nostro Paese, tendenzialmente considerato poco affidabile da parte di molti editori, dall’innovazione varietale.

Le criticità delle privative del melo

Walter Guerra, del Centro di sperimentazione Laimburg, ha evidenziato alcune delle criticità del sistema sulle privative vegetali in vigore, con particolare riferimento al melo. Infatti, molta dell’innovazione di questa specie deriva da varietà essenzialmente derivate (essentially derived varieties, Edv); è in atto un duro confronto sul tema dei diritti per le varietà così ottenute.

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Molta dell’innovazione del melo deriva da varietà essenzialmente ed è in atto un duro confronto sul tema dei diritti per le varietà così ottenute

Un buon sistema di protezione dovrebbe tutelare sia il costitutore iniziale, sia lo scopritore dell’Edv, per il beneficio di entrambi e del cliente finale, ovvero l’agricoltore, ma anche il consumatore, considerando che:

  • il miglioramento genetico tramite ibridazione richiede decenni nei fruttiferi;
  • la scoperta di una mutazione in generale è meno onerosa;
  • il breeder, costitutore di un nuovo genotipo, può subire la concorrenza di mutazioni low cost che risultano borderline con i requisiti dei criteri DUS (Distintività, Uniformità, Stabilità).

Inoltre, al momento, la regolamentazione non è molto chiara in quanto vengono utilizzate più sigle per caratterizzare le privative vegetali; ad esempio, (s), COV, pbr o il semplice*, mentre per i marchi commerciali le norme sono più chiare e definite con l’utilizzo delle sigle ® e ™.

Altre questioni in attesa di risoluzione per una maggiore autorevolezza e affidabilità delle verifiche delle novità varietali sono quelle relative al sito dei test che, attualmente, è ubicato ad Angers (Francia) che, per le specifiche condizioni climatiche, si ritiene poco idoneo per una corretta valutazione dei mutanti di colore del melo. Non di meno, altre criticità vanno rimarcate:

  • l’utilizzo di un numero di descrittori eccessivo per i test Dus, anche se è in corso una revisione delle linee guida dell’Upov);
  • la commissione Geves di esperti del melo va rivista in un‘ottica di rappresentatività dei Paesi da cui derivano le domande di privativa;
  • è necessaria una riduzione dei costi per i test Dus, integrando maggiormente metodi molecolari (fingerprint).

I limiti dei diritti dei costitutori

Vincenzo Acquafredda, dello studio Trevisan & Cuonzo, specializzato sulle privative vegetali, ha illustrato i limiti assai preoccupanti per i diritti dei costitutori di nuove varietà vegetali a seguito della recente decisione della Corte di Giustizia Ue (19.12.2019) sul caso del clementine Nadorcott.

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I limiti per i diritti dei costitutori di nuove varietà, emersi a seguito del caso del clementine Nadorcott, sonp diversi e assai preoccupanti

La normativa europea (Reg. Ce n. 2100/94), quanto quella italiana (artt. 100-116 Codice della Proprietà Industriale), attribuiscono al costitutore un diritto esclusivo sui seguenti atti compiuti in relazione al materiale di moltiplicazione della varietà protetta: produzione, riproduzione, condizionamento a scopo di riproduzione, offerta in vendita o vendita, esportazione o importazione, detenzione per uno degli scopi sopra elencati. Il diritto esclusivo del costitutore è stato esteso anche al prodotto del raccolto, in cui rientrano anche piante intere o parti di piante e prodotti derivati direttamente dal prodotto del raccolto (i.e. prodotti trasformati). Ciò però è possibile solo se:(a) il prodotto del raccolto sia stato ottenuto mediante utilizzazione non autorizzata di materiali di riproduzione e (b) il costitutore non abbia potuto esercitare ragionevolmente il proprio diritto di esclusiva in relazione al materiale di moltiplicazione. In questo modo, il costitutore può risalire – a ritroso – all’autore dell’illegale riproduzione del materiale di moltiplicazione della varietà protetta.

La sentenza ha tuttavia stabilito che il diritto del costitutore non si estende al prodotto del raccolto tutte le volte che quest’ultimo deriva da materiale vegetale di moltiplicazione utilizzato (moltiplicato e/o piantato) nel periodo che intercorre tra la data di pubblicazione della domanda di privativa e la data di concessione della stessa (provisional period), perchè in tale periodo l’uso dei costituenti varietali da parte di terzi non può qualificarsi come unauthorized use. Vengono così a mancare le condizioni di tutela del costitutore, che avrebbe diritto solo ad un indennizzo adeguato e non di “enforcement” (come, ad esempio, la richiesta di un provvedimento di inibitoria) a tutela dei propri diritti esclusivi.

La conseguenza potrebbe essere quella di scoraggiare le attività di breeding per la scarsa protezione dell’innovazione durante il lungo iter di concessione della privativa, con il rischio di non assicurare una giusta tutela ad investimenti pluri-decennali estremamente costosi e rischiosi.

Le forme di tutela devono avere una logica

Ribadendo il concetto che tutte le forme di tutela dell’innovazione varietale, con l’organizzazione onerosa che richiedono, hanno una logica e una sostenibilità solo se la nuova varietà ha reali ed elevati requisiti di miglioramento e diversità (l’esempio della mela Pink lady® è fin troppo eclatante), il Gruppo di lavoro Soi sulle novità varietali ha avviato l’elaborazione di un documento che riporti gli aspetti evidenziati (position paper) per sottoporlo alle Istituzioni nazionali competenti nelle assise internazionali e che sono direttamente connesse alla competitività delle filiere produttive italiane.

 

Plant breeding’s right, uno strumento di competitività? - Ultima modifica: 2020-11-20T18:01:52+01:00 da Redazione Frutticoltura

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