Il futuro del settore dell’uva da tavola va difeso tutelando la base produttiva

uva da tavola
Vigneto della varietà di uva da tavola apirena Autumn Royal
Pochi punti, ma strategici: più ricerca scientifica per favorire una viticoltura più sostenibile, sperimentazione varietale per fare le migliori scelte in campagna, organizzazione produttiva e commerciale per equilibrare il mercato

L’annata 2021 dell’uva da tavola nazionale è stata caratterizzata da condizioni climatiche favorevoli fino alla fine di ottobre, mentre poi da inizio novembre le nebbie e le piogge prolungate hanno rovinato la quasi totalità della produzione tardiva, portando all’interruzione e alla quasi completa perdita del raccolto e, di conseguenza, alla cessazione anticipata della normale campagna di commercializzazione del periodo, fatto salvi modesti quantitativi già raccolti e conservati in celle frigorifere. Per le produzioni precoci e medie, le condizioni climatiche favorevoli hanno consentito di avere nel 2021 uva da tavola con ottima qualità organolettica e fitosanitaria, con gradi zuccherini più che soddisfacenti e bassa acidità, con elevati valori del rapporto zuccheri/acidi. L’andamento climatico dell’annata, che ha comportato anche variazioni del normale periodo di offerta dell’uva da tavola al mercato internazionale ed europeo in particolare, ha comportato qualche periodo di maggiore affollamento, con difficoltà di collocamento della produzione italiana, che nella competizione internazionale sconta maggiori costi di produzione. Dal punto di vista dell’offerta varietale, si è confermato il trend di crescita della quota di uve apirene, prossime a rappresentare quasi il 50% della produzione di uva da tavola italiana, con una presenza maggiore in Puglia, mentre in Sicilia prevale ancora largamente la produzione di uve da tavola con seme.

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Da sinistra, Giacomo Suglia e Donato Antonacci nel vigneto dimostrativo di nuove varietà apirene di uva da tavola presso un socio del Consorzio Nuvaut di Bari

I prezzi alla produzione

Dal punto di vista della economicità della produzione, purtroppo per ampia quota produttiva è stata una annata negativa, per via di prezzi alla produzione al di sotto dei costi. Ci si riferisce, in particolare, alle uve con seme, che ancora costituiscono oltre la metà della produzione di uva da tavola italiana. Certamente le difficoltà sono state accentuate da fattori economici e politici, oltre che dalla vigente crisi pandemica, senza poter escludere attività speculative significative da parte delle componenti “più forti” della filiera uva da tavola (come peraltro avviene anche in altri importanti settori dell’agroalimentare italiano).

Quali sono le componenti più forti della filiera uva da tavola? Possiamo dire che alle componenti “più forti” appartengono coloro che oltre ad avere un peso importante nella filiera, sono anche meglio organizzati, vedi la Gdo, le multinazionali e le grandi imprese che gestiscono la fornitura e la vendita di sementi e varietà di ortofrutta, concimi e anticrittogamici, carburanti e attrezzature, imballaggi, trasporti, i quali sono soggetti in grado di condizionare l’intera attività produttiva agricola. Senza dimenticare fra le difficoltà che gravano sulla base produttiva, anche quelle derivanti da norme legislative sempre più di frequente complesse e di difficoltosa attuazione, oltre che dalle richieste del mondo finanziario e la insufficiente “sicurezza” nelle campagne.

Di fronte a questa situazione e alla capacità delle componenti “forti” della filiera, che si presentano organizzate e coese, il settore meno organizzato e più frammentato è la base produttiva agricola. Succede anche che organizzazioni agricole che aggregano, sia pur parzialmente, alcune componenti della base produttiva, più che fare l’interesse del mondo agricolo, attuano spesso scelte che si contraddistinguono per forti accenti individualistici, senza tendere a scelte condivise con tutto il mondo produttivo.

Salta agli occhi, però, che nello stesso tempo la “disorganizzata” e sofferente base produttiva agricola consente l’ottenimento di profitti, spesso “ottimi profitti”, alle altre componenti della filiera e all’intero indotto. L’insostenibilità di tale situazione nel medio-lungo periodo appare evidente ed andranno avviate azioni capaci di modificare lo stato delle cose, pena la decrescita produttiva dell’uva da tavola e le gravi conseguenze sociali che ne deriverebbero (perdita occupazionale ecc.).

L’Italia è il Paese europeo con più marchi comunitari riconosciuti (Igp, Dop ecc.) ed è anche il Paese che ha norme fitosanitarie stringenti, a totale garanzia del consumatore. L’Italia in Europa è il paese leader produttore ed esportatore di uva da tavola, con circa 1 milione di tonnellate di uva prodotta, per i quasi 2/3 in Puglia ed 1/3 in Sicilia. Questo primato ha un valore economico ed occupazionale di primissimo rilievo, in una fase in cui si assiste spesso a licenziamenti dei lavoratori in altri settori, ragion per cui si chiede al decisore politico una attenzione particolare per difendere la realtà produttiva e le prospettive della filiera.

Le nuove varietà italiane di uva da tavola

A titolo di esempio e a conferma della vitalità del mondo produttivo dell’uva da tavola, si riporta che nel 2016 è nato il “Consorzio Nu.Va.U.T.” (Nuove varietà di uva da tavola) che ha fatto un accordo con il Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, per valorizzare le novità varietali e far proseguire la ricerca di nuove varietà di uva da tavola, al fine di poter disporre di novità varietali senza semi, ottenute e selezionate in Italia, quindi più adatte alla realtà produttiva nazionale ed in grado di consentire una maggiore sostenibilità dell’attività produttiva.

Questo Consorzio ha attualmente 24 soci e ha sede in Bari; come detto, sta finanziando la ricerca per ampliare la gamma di varietà da offrire ai consumatori, che sono sempre più alla ricerca di novità. Allo stato odierno, si sono già osservate varietà di grande interesse che sono in prova presso alcune aziende agricole dei soci del Consorzio. Fra le più interessanti, si sono distinte la Maula e l’Egnatia.

Criticità da affrontare

Oltre all’esigenza di dover perseguire una migliore organizzazione della base produttiva dell’uva da tavola, altre criticità importanti derivano dal cambiamento climatico, con l’aumento delle temperature e la minore disponibilità di acqua irrigua, oltre che dalla necessità di migliorare la sostenibilità dell’attività produttiva. In questo ambito un ruolo importante deve avere anche il recupero e riutilizzo delle materie plastiche (reti, teli di copertura, cassette, ecc.) impiegate, che possono essere valorizzate e riusate alla fine del loro periodo di impiego, utilizzando al meglio le tecnologie disponibili (riciclo, depolimerizzazione, ecc.), trasformandole da problema in opportunità.

Particolare attenzione andrà posta nei confronti della disponibilità di acqua per irrigare i vigneti. È verosimile aspettarsi un calo significativo delle quantità derivanti dalle attuali fonti di prelievo. Anche in questo caso, bisogna affrontare il problema per tempo, evitando così improvvise situazioni di crisi per il settore, ottimizzando l’utilizzo della risorsa e diversificando l’approvvigionamento, avviando anche attività di dissalazione.

Il futuro del settore dell’uva da tavola va difeso tutelando la base produttiva - Ultima modifica: 2022-01-31T09:49:37+01:00 da Sara Vitali

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