Frutticoltura e produttori in balìa del clima

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Il clima, di fatto, è diventato il primo elemento contro il quale i produttori agricoli devono fare i conti. Ma non si può continuare a rincorrere indennizzi palliativi. Molto acceso sta diventando il dibattito sui sistemi attivi di difesa e sulla gestione del rischio

La frutticoltura italiana, ancora una volta, si sta leccando le ferite, interrogandosi, con crescente preoccupazione, sugli effetti attuali e futuri dei cambiamenti climatici, causa di ripetuti e ingenti danni alle coltivazioni, da Nord a Sud. Soprattutto, sono le gelate tardive, viste la frequenza, violenza e ripetitività con cui si stanno manifestando, a “togliere il sonno” agli imprenditori frutticoli. Dopo un 2020 molto difficile, in cui gli abbassamenti termici primaverili si sono concentrati prevalentemente nelle aree emiliano-romagnole, generando enormi perdite soprattutto a carico delle produzioni estive (drupacee) e del kiwi, in marzo e aprile 2021 si è assistito ad una nuova ondata di gelo che ha coinvolto, forse senza precedenti, molte zone di produzione frutticola un po' in tutto il Paese, ma anche nei distretti produttivi più importanti dei Paesi nostri confinanti.

Gli eventi

climaA partire dal 7 marzo scorso e fino alla seconda settimana di aprile, sono state almeno una quindicina i casi di abbassamento termico notturno sotto la soglia di 0°C, con punte estreme di -6°C, con ovvia diversità territoriale legata all’orografia, alle condizioni meteorologiche generali (assenza o presenza di vento, nuvolosità o limpidezza del cielo, precipitazioni nevose, ecc.) e alla diversa ripetitività. Le aree collinari sembrano in genere meno colpite, ma non sono certamente indenni; la situazione si presenta in molti ambienti “a macchia di leopardo”, proprio per le molteplici condizioni contingenti che, caso per caso, si sono verificate.

Le prime zone colpite sono state, ancora una volta, quelle emiliano-romagnole, ma in seguito si sono evidenziati danni importanti anche nel Sud Italia (Puglia, Basilicata, Campania, Calabria) e al Nord (Piemonte, Veneto, Friuli). La gravità dei danni deriva ovviamente dalla combinazione tra l’intensità dell’evento e lo stadio fenologico che le diverse specie e varietà avevano raggiunto in quel momento e nei diversi areali, oltre che dagli eventuali dispositivi di protezione attiva presenti nelle aziende (irrigazione, ventole, coperture antigrandine, ecc.), ma, come tutte le rappresentanze agricole hanno ripetutamente lamentato, è apparso immediatamente (ed oggi si può confermare) che i danni alla frutticoltura erano e sono molto elevati, talora gravissimi. Complice di questo, sia nel 2020, sia nel 2021, la tendenza delle piante da frutto, in seguito a mesi invernali sempre più miti, a precocizzare la ripresa vegetativa e a presentarsi a inizio primavera in condizioni di totale vulnerabilità nei confronti dei ritorni di freddo.

Le gelate tardive in questa primavera 2021 si sono manifestate attraverso tutti i tipi di fenomeni noti in meteorologia: per avvezione, ovvero in seguito all’arrivo di grandi masse di aria fredda proveniente dall’Europa settentrionale o orientale; per irraggiamento, causa il raffreddamento della superficie terrestre generato dall’emissione di radiazione infrarossa da parte del suolo e favorito dall’assenza di nubi e di vento durante la notte. Non sono mancati anche casi di gelicidio, un fenomeno che si verifica quando, in seguito a pioggia, la temperatura si abbassa sottozero creando uno strato di ghiaccio sulle piante bagnate.

Va segnalato che, dopo 45 giorni di gelate, in molti territori non sono mancati gli effetti devastanti di altri tipi di calamità, con grandinate pesanti e distruttive, temperature decisamente sotto la media stagionale e situazioni di siccità cronica e perdurante. Il clima, di fatto, è diventato il primo elemento contro il quale i produttori agricoli devono fare i conti.

Gli effetti sulle produzioni

Le specie che ad oggi sembrano maggiormente colpite, a livello generale, sono ancora una volta le drupacee, particolarmente sensibili alle cosiddette “brinate primaverili”; la scala di sensibilità è ormai nota: albicocche, susine, nettarine, pesche, in minor misura le ciliegie; i danni in fioritura o inizio germogliamento, ripetutisi in seguito sui frutticini neo-formati, sono stati rilevanti ovunque. Non meno gravi i problemi che si registrano su kaki e actinidia, sia a polpa verde, sia a polpa gialla, dove la fase di inizio germogliamento in cui si sono verificati gli abbassamenti termici è notoriamente importante per determinare il livello di fruttificazione e produttività finale del frutteto.

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Questo 2021, nel complesso, appare addirittura peggiore rispetto allo scorso anno per gli effetti rilevabili in campagna; infatti, anche le pomacee manifestano danni ingenti; probabilmente si andrà incontro alla produzione di pere emiliano-romagnole più scarsa di sempre, senza distinzioni di rilievo tra le diverse varietà. Le mele, in alcuni casi, soprattutto le cultivar a fioritura precoce (Gala, Pink Lady, Granny Smith), manifestano danni significativi; in tal caso, le gelate tardive hanno fatto abortire il fiore centrale di molti corimbi, soprattutto quelli presenti nelle parti basse della chioma degli alberi. Infine, si registrano danni rilevanti, per ora ancora difficili da stimare, al settore viticolo; tutta l’Italia del Centro-Nord, in particolare l’Emilia-Romagna, in seguito agli ultimi eventi calamitosi (in ordine cronologico) paga un pegno importante in termini di potenziale produttivo; i Lambruschi dell’Emilia e il Trebbiano in Romagna mostrano situazioni di notevole criticità.

Danni diretti e indiretti

La “conta” dei danni patiti dalla frutti-viticoltura italiana dopo questa difficile primavera è ancora in corso; è certo che la forte riduzione dei raccolti comprometterà, ancora una volta, la sostenibilità economica di molte imprese, già in difficoltà dopo diversi anni in cui il reddito è stato messo a rischio non solo dal clima avverso, ma anche da emergenze fitosanitarie e crisi commerciali. Appare evidente che, nel 2021, nei Paesi mediterranei la disponibilità di frutta estiva sarà del tutto sotto la norma, ma anche per la frutta a raccolta autunnale non si affronterà una stagione di sovrapproduzione

I danni non si limitano alle aziende agricole, che restano l’anello più esposto della filiera, ma riguardano tutto l’indotto; le centrali di condizionamento, ancora una volta, sono di fronte a problemi di gestione, riduzione e razionalizzazione delle attività; i fornitori di servizi (imballaggi, trasporti e logistica, controllo qualità, ecc.) per il secondo anno consecutivo sanno di dover ridurre le loro prestazioni. Non trascurabile l’effetto negativo sui rapporti commerciali; l’instabilità dell’offerta genera discontinuità nei rapporti con la distribuzione e il rischio che la clientela cerchi di stringere alleanze diverse con Paesi competitori e fornitori alternativi.

Problemi enormi si riverseranno sull’occupazione: è noto che il settore primario assorbe ingenti quantità di manodopera stagionale, sia in campagna, sia nella successiva fase di stoccaggio e lavorazione della frutta; in un quadro lavorativo ed economico critico per il Paese come quello che si sta vivendo in seguito alla pandemia, le difficoltà del settore agro-alimentare, da sempre elemento strutturale dell’economia italiana, generano ulteriore preoccupazione, ma anche la consapevolezza di dover intervenire con azione di sostegno a largo raggio.

Certamente encomiabile l’impegno che tutte le istituzioni hanno manifestato per definire nel dettaglio l’impatto negativo degli ultimi eventi climatici, istituendo tavoli di lavoro e di indagine per quantificare i danni dell’intera filiera; auspicabile la rapida definizione del quadro complessivo e di un concreto ristoro per tutti gli operatori coinvolti perché due anni come il 2020 e il 2021 sono difficilmente sopportabili da parte di innumerevoli imprese agricole, dirette e indirette.

Favorire i sistemi di tutela

Molto acceso sta diventando il dibattito sui sistemi attivi di difesa dai ritorni di freddo. Quelli considerati più utili, in ordine di efficacia, sono:

  • irrigazione sopra-chioma (Trentino-Alto Adige docet) che, cercando di coprire uniformemente tutte le parti della pianta, sembra poter sopperire a temperature minime fino a -6-7°C; in territori di pianura o mal drenanti bisogna mettere in conto il possibile effetto negativo di ripetuti allagamenti del terreno al momento dello scongelamento dell’acqua;
  • irrigazione sotto-chioma, la cui efficacia si basa sul concetto che l’acqua distribuita sul suolo cede calore nel passaggio dallo stato liquido a quello solido; è importante formare la maggior quantità di ghiaccio possibile utilizzando una pioggerella diffusa, pari almeno a 2 mm/ora, ed evitando la nebulizzazione dell’acqua. Più elevata è la superficie di bagnatura al suolo, maggiore è la quantità di ghiaccio formato (meglio su suolo inerbito, non sfalciato, con presenza dei residui di potatura). Il calore che si forma cerca di salire verso l’alto e l’effetto di aumento di temperatura è massimo nei primi metri in altezza del frutteto o del vigneto, con valori di recupero intorno a 2-3 °C.
  • Torri a vento (cosiddetti “ventoloni”): servono per attivare il rimescolamento degli strati di aria calda (in alto) e fredda (in basso) e innalzare la temperatura ambientale del frutteto. Mediamente, a seconda della tipologia costruttiva, coprono superfici di 2,5-4 ettari e vanno azionati quando la temperatura è tra 0,5 e 1,5 °C a un metro da terra, meglio se 3-4 °C sopra la soglia critica della coltura. Il sistema non è sempre risultato efficace, soprattutto quando non si dispone di strumenti di rilevamento delle temperature in quota precisi e adeguatamente posizionati.
  • Bruciatori: sono noti da tempo diversi tipi di bruciatori (a paraffina, a pellet, ecc.) da posizionare nell’interfilare dei frutteti e che generano calore e/o fumo per scaldare l’aria; sono talora accoppiati ad azioni di rimescolamento tramite il passaggio continuo con l’atomizzatore. Ancorché apparentemente efficaci, non se ne conoscono pienamente gli effetti e i livelli di temperatura che riescono a garantire; quel che è certo è il loro costo, assai elevato, che in caso di gelate ripetute si riflette molto negativamente sui costi di produzione.

Il tema dei sistemi attivi di difesa dovrà essere ripreso e riesplorato dal punto di vista tecnico-scientifico; di fatto, il mondo produttivo e gli operatori si stanno ancora basando su risultati di attività sperimentali svolte oltre un ventennio fa; nel frattempo è cambiato il clima, sono cambiate le varietà e la loro adattabilità climatica (ad esempio, molte pesche, nettarine e albicocche oggi coltivare in Italia hanno basso fabbisogno in freddo e fioriture precoci); sono cambiati anche i sistemi d’impianto, oggi più intensivi, più “spinti”, ma forse meno resilienti di quelli del passato. Una nuova fase di ricerca e sperimentazione si rende necessaria per testare le nuove tecnologie disponibili, i nuovi mezzi di misurazione e previsione degli eventi climatici, le possibilità applicative di tutti i metodi di protezione nei diversi areali.

Tante ricette, troppi palliativi

Per limitare i danni diretti e derivati dei ritorni di freddo che nell’ultimo biennio hanno segnato la frutticoltura italiana sono già state formulate tante altre “ricette”, tutte corrette, legittime e utili. Al di là degli indennizzi economici che le categorie interessate richiedono, ma che vanno interpretati come palliativo di breve respiro, la revisione del DL 102-2004, che istituisce il Fondo di Solidarietà Nazionale e definisce gli strumenti di gestione delle conseguenze del rischio climatico, dovrebbe avere la priorità delle istituzioni competenti e delle rappresentanze agricole, soprattutto per facilitare, in termini di tempistiche, condizioni contrattuali e costi, il ricorso alle assicurazioni che, ancorché strumento passivo di tutela, sono uno modo per garantire alle aziende primarie (ma non per quelle dell’indotto) una sicurezza di reddito.

Frutticoltura e produttori in balìa del clima - Ultima modifica: 2021-05-12T12:48:51+02:00 da Sara Vitali

2 Commenti

  1. Mi pare incredibile che ancora oggi si parli di assicurazioni come rimedio visto che è un mezzo costosissimo che arricchisce solo le compagnie, non difende la manodopera diretta e assolutamente quella indiretta di tutto l’indotto ! Siamo rimasti in ritardo di vent’anni rispetto ad altri paesi produttori e mi viene il sospetto che ci siano istituzioni compiacenti a queste soluzioni.

    • Gentile lettore, il punto è proprio questo. L’articolo vuole mettere in luce che l’assicurazione può essere una soluzione (non l’unica) ma non alle condizioni dell’attuale sistema che, per costi, franchigie, tempi e vincoli, di fatto è scoraggiante. Se le regole fossero riviste probabilmente molti più produttori utilizzerebbe questo sistema di tutela. Per esempio, un’assicurazione obbligatoria, poco costosa, con franchigie ridotte contribuirebbe a fare crescere i premi percepiti dalle compagnie assicuratrici e un più congruo ristoro in caso di calamità.
      Resta vero che è un tipo di tutela che coprirebbe solo il primo anello della catena e non l’indotto, ma sarebbe già qualcosa. Di fatto, oggi i produttori si allontanano dalle assicurazioni e le compagnie si allontanano dalla campagna perché il bilancio costi/ricavi, dopo due annate come questa, è fallimentare.

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