Tra i fattori che hanno stimolato la ripresa della coltura del noce in Italia va annoverata l’iniziativa di una nuova classe di imprenditori agricoli che non hanno accettato il progressivo, generale andamento di abbandono delle tradizionali coltivazioni. In Campania, la “Noce di Sorrento” e altre apprezzate tipologie di prodotto ancora sopravvivono, sebbene tra mille difficoltà. Si è dunque sviluppata la consapevolezza che anche l’Italia possa coltivare le varietà sempre più dominanti sui mercati, importate da California e Francia.
D’altra parte, il consumo delle noci e della frutta secca in genere negli ultimi anni è andato fortemente aumentando (anche con incrementi annuali a doppia cifra) grazie alle nuove acquisizioni scientifiche sul valore nutrizionale, ma anche nutraceutico e salutistico delle noci (che contengono antiossidanti e composti fenolici), in grado di prevenire malattie cardiovascolari e promuovere il benessere fisico delle persone. A questo mix di fattori si è aggiunta, in alcune aree frutticole, la reazione degli agricoltori delusi da altre produzioni tipiche e alla ricerca di coltivazioni alternative e più redditizie (per esempio, nelle pianure emiliano-romagnole e venete aggredite dalla crisi della peschicoltura).
Da alcuni anni, e questa Rivista ne ha più volte riferito, sono stati impiantati, senza alcun coordinamento operativo o indirizzo pubblico, alcune centinaia di ettari di noceti, soprattutto negli areali del Nord Italia che, al riscontro mercantile della produzione, sembrano avere superato, o per lo meno eguagliato, il confronto qualitativo con le noci importate. Le varietà, infatti, sono per lo più le stesse, in particolare la californiana Chandler e la francese Lara.
Abbiamo perciò ritenuto opportuno intervistare colui che in quest’opera di rinnovamento del noce in Romagna, in accordo con i nuovi principi tecnologico-produttivi e commerciali, ha svolto un’opera fondamentale, pionieristica, sicuramente anticipatrice di un modello di sistema produttivo già positivamente accolto dai mercati e che sottoponiamo alla riflessione generale, per valutarne la trasferibilità pratica in altre regioni del Paese.
Alessandro Annibali, come appare nel suo breve profilo personale, ha realizzato nella sua impresa familiare l’unificazione delle due filiere, produttiva e distributivo-commerciale, delle noci. In altre parole, è al tempo stesso imprenditore agricolo, titolare dell’Az. Agr. “San Martino” (sita tra Forlì e Predappio, specializzata nella produzione di noci) e CEO di “New Factor” (nei pressi di Coriano di Rimini), altra azienda di famiglia dedicata alla lavorazione e alla commercializzazione della frutta secca a tutto tondo. Al manager abbiamo rivolto una serie di domande cui seguono, per ciascuna, le sue risposte ed affermazioni dalle quali emergono lucide riflessioni e preziose proposte.
Le risposte dettagliate e innovative di Alessandro Annibali inducono all’ottimismo. Il modello di sistema produttivo-distributivo qui esposto induce a riflettere perché immagina l’impresa affidata a un manager di alta professionalità, capace di gestire l’intera filiera, la cui prima funzione è quella di accrescere il valore commerciale del prodotto a beneficio di tutti.
D. Dottor Annibali, vuole dirci qualcosa su com’è riuscito ad integrare, sviluppare e ottimizzare la gestione delle sue due imprese familiari, portandole alle attuali dimensioni e facendone sicuramente un “unicum” per l’Italia, portando al successo le “Noci di Romagna”, il suo primo marchio affermatosi sul mercato?
R. Il progetto “Noci di Romagna” nacque alla fine degli anni ’90, quando decisi l’inversione di rotta dell’indirizzo produttivo dell’azienda agricola: abbandonai un piccolo impianto di noce da legno (2 ha), che avevo realizzato anche grazie alla legge di allora sul “set-aside”, per piantare invece noci da frutto da destinare al mercato. Per non commettere errori e mancando in Italia esempi di aziende innovatrici nella coltivazione del noce, trascorsi un periodo a Davis, sede della rinomata Università della California, e centro di studio americano d’eccellenza, dove tra l’altro mi ero recato in passato per la mia tesi di laurea, per acquisire le conoscenze tecniche applicabili alle condizioni italiane. Conobbi così il prof. D.E. Ramos, che ha continuato a seguirmi per qualche anno in veste di qualificato consulente scientifico. Nel frattempo, per alcuni anni ho portato avanti un’altra interessante esperienza all’estero, quale imprenditore in Ucraina, dove ho gestito per diversi anni un’azienda dove venivano essiccate e sgusciate noci locali, oltre all’essiccazione e surgelazione di funghi porcini e mirtilli da agricoltura spontanea.
Il mio obiettivo era quello di indirizzare gradualmente alla coltura del noce l’intera azienda forlivese “San Martino”, estendendo la coltivazione dai 40 ha di proprietà iniziali ad altri terreni acquistati o presi in affitto, fino al totale attuale di 80 ha con diverse varietà: Chandler, Howard e Lara. Contemporaneamente, mi sono dedicato all’altra azienda, la “New Factor”, che si occupa di importare, tostare, confezionare e commercializzare frutta secca in genere. Potei così, naturalmente, integrare operativamente le due aziende (restando entrambe autonome), rendendo però la prima funzionale alla seconda. Tanto da costituire nell’insieme un’unica filiera.
Ma questo non è tutto, perché l’evoluzione del mercato e le circostanze create dalle direttive europee e conseguenti provvedimenti regionali (nella fattispecie i PSR di Filiera e relativi incentivi) mi hanno indotto, quale imprenditore agricolo-industriale, a predisporre un progetto di collaborazione con Agrintesa (gruppo cooperativo di Faenza) per la realizzazione di un accordo di filiera grazie al quale disponiamo oggi di una superficie produttiva pari a 250 ha di noceti intensivi, in parte già in produzione, dislocati in Romagna, Marche e Veneto. Naturalmente, la finalità dell’accordo è quella di rendere innovative, produttive, efficienti le imprese responsabilizzate per l’ottenimento di un prodotto di alta qualità commerciale e quindi ben accetto dai mercati.
D. La sua lunga esperienza di imprenditore “double face” ci può essere di aiuto per capire come si può adattare, non solo all’ambiente romagnolo, il “know how” americano, tanto più che le aziende agricole potenzialmente vocate alla nocicoltura sono molto piccole, con superfici spesso inferiori ai 4/5 ha, con l’obiettivo di renderle redditizie e competitive sul mercato.
R. Anzitutto premetto che, per fare impresa, occorrono tre elementi ineludibili: idee, capitali e uomini. Questi sono il vero valore aggiunto, perché indispensabili per “fare squadra”. In pratica, per dare qualche dato essenziale, nella creazione di impianti con densità di 200-250 alb./ha (affinché producano 5-6.000 kg/ha di noci) occorre operare in terreni fertili e sciolti (per evitare ristagni idrici), disporre dell’irrigazione e degli altri requisiti tecnici e conoscitivi richiamati in precedenza. È fondamentale poi disporre delle attrezzature per la meccanizzazione integrale della coltura. Con terreno in piano, ben gestito, servono diverse macchine (l’Italia è già presente nel comparto con tecnologie d’avanguardia). Il cantiere di raccolta, ad esempio, si compone di due unità: la prima per la vibrazione del tronco e l’altra necessaria per la raccolta delle noci da terra, in parte ancora col mallo. Un cantiere di raccolta, per operare economicamente, dovrebbe poter raccogliere almeno 4-5 ha/giorno nelle otto ore corrispondenti con una resa di circa 10 t cantiere al giorno. Ricordo che un noceto viene scosso e raccolto in due mandate, a distanza di 10/15 giorni. Nella mia azienda opero con 2 cantieri di raccolta contemporaneamente così che si possa portare in lavorazione almeno 20 tonnellate al giorno.
D. Il noce è una specie, sebbene da sempre presente in Italia, poco coltivata e conosciuta ai più. Il vostro progetto fornisce assistenza tecnica agli agricoltori che intendono aderire? E quali sono i requisiti minimi da parte degli agricoltori per far parte del progetto?
R. Bisogna ricordare che il noce ha esigenze di tecnica agronomica elevate, paragonabili ad altre specie da frutto. Noi abbiamo dalla nostra parte oltre 20 anni di esperienza e di errori in campagna ne abbiamo fatti tanti. Possiamo però dire di aver raggiunto un livello elevato con rese e qualità del prodotto di eccellenza. Inoltre, da ormai qualche anno ci avvaliamo dell’assistenza tecnica di un agronomo spagnolo per la gestione del noceto che vanta collaborazioni ed esperienze in tutto il mondo e che ci visita 4 volte all’anno e fornisce ai tecnici le indicazioni agronomiche necessarie (potatura, irrigazione, difesa, ecc.) per il successo degli impianti, con sopralluoghi nei noceti e colloqui con i produttori. Inoltre, abbiamo una serie di agronomi che si stanno formando e sono sempre più in grado di risolvere le problematiche quotidine degli impianti. Per aderire al progetto si richiedono terreni a tessitura pressoché sciolta, disponibilità di acqua per l’irrigazione (il noce necessita fino a 7-8 mm al giorno) e almeno 10 ha di superficie da investire.
D. A questo punto, una volta trasportate le noci allo stabilimento, come procede il processo di lavorazione industriale? Viene svolto dall’azienda agricola attrezzata o presso la “New Factor”?
R. L’Azienda “New Factor” dispone di una moderna linea di lavorazione con tecnologia 4.0 che esegue smallatura, essiccazione, cernita e selezione del prodotto. Le noci vengono essiccate a 38°C (non oltre per non alterare la qualità del prodotto) per uno o due giorni, prima di essere stoccate nel magazzino di deposito refrigerato. Di recente sono stati investiti circa 2 Ml € per la costruzione di un nuovo stabilimento di prima lavorazione tra cui un impianto di selezione e calibratura ottica in grado di eliminare il prodotto difettoso e non conforme. I frutti vengono classificati per calibro e qualità del prodotto finale desiderata in funzione del livello di maturazione del gheriglio.
A mio avviso, per ragioni di convenienza economica (ma non solo), è difficilmente riproponibile in Italia il modello francese di coltivazione della “Noce di Grenoble”, che prevede che ogni agricoltore disponga del suo piccolo impianto di essiccazione. Altra cosa è provvedere alle operazioni tecniche post-raccolta attraverso centri di lavorazione predisposti dalle cooperative dei produttori stessi (essendo le dimensioni aziendali piuttosto piccole), di fatto molto simile a quello che stiamo proponendo noi all’interno del progetto di filiera “In-Noce”. In Italia, il rischio concreto è più di carattere commerciale. Così facendo si rischia di andare avanti in ordine sparso e compromettere la capacità negoziale di un unico operatore che vada a trattare col “trade”, che sappiamo bene avere come principale obiettivo l’abbassamento del costo di acquisto. Concentrare la prima lavorazione andando a costruire uno, due, dieci impianti come il nostro, su lotti di produttori accorpati per aree territoriali di 250/300 ha, permette di massimizzare le economie di scala, con un controllo qualitativo accurato e garantito da procedure condivise e stringenti. Ciò non toglie che se un agricoltore volesse organizzarsi in modo autonomo, magari forte di una significativa superfice impiantata a noce (nel nostro progetto abbiamo alcuni associati con 30-40 ha già impiantati) noi non potremo che essere consenzienti ed aiutare l’agricoltore a raggiungere l’obiettivo comune che è conferire noci di primissima qualità come se fossero lavorate nel nostro centro di prima lavorazione o in uno di quelli che in futuro spero potranno nascere. L’obbligo del conferimento di almeno l’80% della PLV resta comunque un vincolo tassativo.
Nel caso nostro, la società “New Factor” si prende carico poi del prodotto essiccato e provvede alle successive fasi di sgusciatura, stoccaggio, analisi qualitativa, segmentazione del confezionamento, etichettatura, logistica, direzione commerciale e marketing, promozione, controllo qualità, nonché gestione dei reclami e delle varie problematiche che il rapporto con la Gdo comporta.
D. Quale scelta strategica ha seguito “New Factor” per affrontare il mercato?
R. Abbiamo cercato di interpretare le nuove tendenze del mercato in un Paese in cui la domanda di noci è stata finora superiore all’offerta (>50.000 t/anno contro le 15-20.000 prodotte in Italia), ma risulta alquanto articolata come tipologia di prodotto, perché si va flettendo la richiesta di noci in guscio, con conseguente aumento della preferenza di noci sgusciate e pronte per essere fruibili in ogni momento della giornata, con punti di acquisto in bar, palestre, “vending machines”, ecc. Per tutte queste ragioni, “New Factor” si è spostata verso la commercializzazione di snack naturali, di cui è azienda leader in Italia. Produciamo a tal fine barrette e integratori a base di frutta secca, tra cui anche le Noci di Romagna, ovviamente col marchio “Mister Nut”. Nel 2018 abbiamo prodotto ben 13 milioni di buste da 25 g.
D. Le noci, dunque, assieme ad altri frutti sembrano essere un “prodotto target” per interpretare le nuove tendenze di mercato, i cambiamenti degli scenari dei consumi, andando incontro alla personalizzazione degli acquisti, per i principi salutistici e di benessere della popolazione. Ma poi, il mondo della coltivazione, riuscirà a seguire questi cambiamenti, riuscendo a fare reddito o continueremo ad essere terra di conquista per gli importatori e distributori del prodotto estero?
R. La mia risposta parte da una speranza: che l’Italia torni ad essere tra i leader mondiali nella frutta secca, ove ci sia spazio per il ruolo di grandi “player”, come la Ferrero per le nocciole, nel mondo. Nel caso del noce nutro una preoccupazione per i rapporti con il “retail”. È sempre più frequente, specialmente sul canale discount, il ricorso alle aste al ribasso di prezzo sia per il prodotto tal quale, sia per quello a marchio commerciale. Ciò fa abbassare i prezzi a discapito della qualità e mette uno contro l’altro gli operatori commerciali che poi devono adeguarsi al mercato, con scarsa soddisfazione per tutti. La noce e la frutta secca non si prestano a questa logica perché sono frutti che vanno valorizzati nel prezzo e non svenduti o banalizzati. Ricordo che per portare in piena produzione un noceto occorrono circa 8 anni. Non stiamo quindi parlando di un pomodoro o di una patata che si semina e si raccoglie nell’arco di una stagione. Per fronteggiare questa tendenza e fare in modo di ridurne le negative conseguenze, anche per la remunerazione che ne viene per i coltivatori, occorre sviluppare “azioni di filiera” come quella gestita dal progetto “In-Noce”, altrimenti si rischia la fine di pesche e nettarine.
D. Lei ha fatto cenno al nuovo progetto di filiera “In-Noce” che intende offrire nuove e fiduciose prospettive per la coltivazione del noce in Italia. Il progetto, che sfrutta le esperienze di “San Martino” e “New Factor”, e che si avvale del coinvolgimento di un gruppo cooperativo come Agrintesa, propone un nuovo modo di ripartire l’utile d’impresa creando valore aggiunto al prodotto. Per riuscire nell’intento sarà necessario puntare alla fidelizzazione del cliente che, riconoscendo il prodotto di qualità superiore, potrà acquistarlo anche ad un prezzo superiore a quello dello standard commerciale d’importazione. Vuole riassumere come saranno remunerati i produttori che seguiranno il suo modello?
R. Devo ammettere che la confluenza nel progetto “In-Noce” assieme ad Agrintesa ha avuto ripercussioni positive per entrambi i partner: la cooperativa che responsabilizza e tutela prioritariamente i diritti dei produttori e l’impresa “New Factor” che cerca di valorizzare al massimo il prodotto sul mercato.
“New Factor” è andata oltre perché attraverso contratti coi coltivatori-produttori si è impegnata ad acquistare l’intera produzione per la durata del Progetto (cinque anni). Successivamente, l’accordo potrà essere ripetutamente rinnovato e ogni volta avrà 3 anni di validità. Il prezzo annuale riconosciuto ai produttori sarà calcolato deducendo dalla PLV totale tutte le spese sostenute e dimostrabili nella filiera (costi di stoccaggio, confezionamento, logistica, costi commerciali e di marketing, ammortamenti, ecc.), oltre ad un margine equo per remunerare il capitale investito e per coprire i costi generali. Per fare un esempio: sebbene quest’anno si potessero acquistare noci californiane a 2 €/kg, “New Factor” ha remunerato i propri fornitori italiani a prezzi superiori ai 4€/kg, riuscendo a valorizzare il prodotto nazionale in modo più che soddisfacente. È questo il punto di forza del progetto.
D. Come pensa di rassicurare gli agricoltori diffidenti che vorrebbero aderire al progetto? Diceva che il suo impianto innovativo può lavorare la produzione di 300 ha di noceti, ma siete già a 250 ha in produzione. Siamo già quasi al limite?
R. Risposte semplici. Io sono prima di tutto un agricoltore e con 80 ha impiantati sono quello che ha più di tutti da perdere. Se ci perdono loro, ci perdo io allo stesso modo e questo non deve succedere per il bene delle mie aziende. Per il secondo quesito, invece, è vero che nel giro di 3 anni saremo quasi a pieno regime nell’impianto di prima lavorazione e selezione, ma nulla impedisce di costruirne altri di pari capacità di lavoro.
ALESSANDRO ANNIBALI, IMPRENDITORE DELLE NOCI
Alessandro Annibali (riminese, 62 anni) è tra gli imprenditori agricoli e industriali più qualificati a rappresentare la moderna e tecnologica realtà della produzione di noci in Italia. È, infatti, imprenditore agricolo con l’Az. San Martino (Fc), nella quale alleva il noce da frutto da oltre un ventennio, e amministratore delegato di “New Factor” (Rn) che si occupa di lavorazione, confezionamento e commercializzazione di frutta secca).
La sua carriera vanta numerosi successi, conseguiti nella trasformazione e nello sviluppo delle due imprese nelle quali è riuscito ad unificare la filiera del noce, a beneficio di tutto il settore della noce e della frutta secca in genere. Al successo iniziale della filiera “Noci di Romagna” è seguito quello del “brand” Mister Nut, affermatosi negli ultimi anni tra gli snack della frutta secca.
Tra gli altri incarichi Annibali è stato tra i fondatori di Nucis Italia (sezione italiana dell’INC, International Nut and Dried Fruit Council Foundation) e dal 2001 al 2010 è stato membro della commissione di categoria di Fruit Imprese (già associazione sindacale Aneoia).