La stagione che si è appena conclusa sarà sicuramente ricordata dai diversi attori della filiera dell’uva da tavola come molto impegnativa e dagli esiti spesso negativi. Elevati costi di produzione, prezzi bassi (anche a novembre), difficoltà nel reperire la manodopera e andamento lento dei mercati hanno caratterizzato una campagna già segnata da condizioni climatiche avverse, fisiopatie (“cracking”, disseccamento del rachide, “browning”, ecc.) e numerosi problemi fitosanitari. Le uve della varietà Red Globe - in particolare quelle coperte con film plastici per il ritardo della raccolta - sono state tra le maggiormente penalizzate dai diversi eventi atmosferici sfavorevoli verificatisi durante tutto il ciclo produttivo, che hanno causato molti problemi di qualità. Anche la varietà Italia ha registrato molte difficoltà, in particolare legate a presenza di spacco e marciumi che hanno richiesto diversi interventi di toelettatura (e quindi molte giornate lavorative) per ottenere grappoli commerciabili.
Anche se con un andamento altalenante dei prezzi, il mercato delle uve apirene, nel complesso, è stato migliore, con l’eccezione di alcune varietà come Sugraone, Regal Seedless e Crimson Seedless, per problemi di eccessiva offerta nell’epoca precoce, di qualità o di scarsa colorazione delle bacche. La varietà Italia, pur suscitando ancora un discreto “appeal” tra gli operatori (occupa ancora una buona quota di mercato e se di qualità riesce ad ottenere prezzi soddisfacenti) è quella che per le difficoltà che emergono nelle stagioni difficili (come quella appena conclusa), porta a spostare l’attenzione dei produttori italiani sempre più verso le varietà senza semi. Molto frequentemente i nuovi impianti riguardano varietà “seedless” e il trend tra gli operatori sembra essersi spostato definitivamente a favore di queste uve.
Ma quello italiano è un cambiamento ancora troppo lento se paragonato alla continua evoluzione del contesto internazionale o, restringendo l’area di confronto a quella mediterranea, al nostro principale “competitor”, la Spagna, non sottovalutando la Grecia, in grado di offrire le nostre stesse varietà a prezzi inferiori. Non è un caso che proprio nel Paese iberico si sia tenuto il congresso internazionale sulle uve senza semi, giunto alla sua 5a edizione, appuntamento biennale organizzato nell’ambito di una delle principali fiere dell’ortofrutta in Europa, Fruit Attraction di Madrid.
Nel corso del meeting, tenutosi il 24 ottobre 2018, è stata affrontata l’evoluzione dei mercati internazionali, con argomenti che hanno suscitato dibattito e discussione tra gli operatori del settore provenienti da ogni parte del pianeta. Interessante è stato conoscere l’avanzamento dei diversi programmi di miglioramento genetico attivi a livello internazionale, illustrati direttamente dai diversi “breeder”. Il congresso ha fatto emergere, purtroppo, quanto il comparto italiano stia assumendo un ruolo sempre più marginale nel contesto internazionale, non per i volumi prodotti ed esportati - l’Italia è ancora leader sui mercati europei nonostante le cifre in decrescita - ma perché il nostro Paese, al pari della Grecia, si caratterizza per un settore in crisi, composto da produttori con un’età media molto alta, aziende piccole e frammentate e forte individualismo, spesso incapaci di cogliere le opportunità che il comparto globale offre, complice la mancanza di un adeguato sostegno politico e l’assenza di una forte associazione di produttori e/o esportatori.
Offerta varietale sempre più ampia
L’offerta varietale, inutile dirlo, è sempre più ampia e per i viticoltori scegliere la cultivar da impiantare diventa sempre più difficile. Dal congresso sono emersi i nuovi obiettivi dei programmi di breeding, legati in particolare alle crescenti esigenze dei produttori e del mercato. Molte delle nuove varietà proposte, infatti, oltre a rispettare i parametri produttivi già consolidati con le precedenti selezioni (elevata e costante produttività, grappoli grandi e uniformi, facilità di colorazione, riduzione della manodopera, buona “shelf-life”, ecc.) si caratterizzano per nuove peculiarità, tra le quali miglior consistenza della bacca (più solida e croccante), nuovi sapori (fruttato, tropicale, esotico), assenza o riduzione delle fisiopatie (“browning”, “cracking”), resistenza o tolleranza a piogge e malattie (in particolare oidio e peronospora), aspetti salutistici (maggior contenuto di antiossidanti).
Quelle che seguono sono alcune delle nuove cultivar presentate dai diversi genetisti o editori. Appare utile segnalare come non sia stata fornita alcuna indicazione sulla possibilità se queste potranno o meno essere coltivate nel nostro Paese; purtroppo, siamo ritenuti poco affidabili per il rispetto delle norme sulla protezione delle novità vegetali, ossia sul pagamento delle royalty, con diffuse sacche di illegalità per la coltivazione di varietà non autorizzate.
La serie Itum
Il primo programma di breeding fu avviato a partire dal 1990 nella Murcia - la più importante per la produzione e l’export di uva da tavola in Spagna - dall’istituto pubblico di ricerca Imida (Instituto Murciano de Investigación y Desarrollo Agrario y Alimentario). Nel 2002 è stata creata Itum (Investigación y Tecnología de Uva de Mesa, S.L.) che prevede la collaborazione tra l’Imida e imprese private che finanziano il progetto. Ad oggi sono state registrate e messe sul mercato 16 varietà, altre 5 sono in fase di selezione avanzata. Le varietà della “serie Itum” hanno aumentato notevolmente la loro superficie nel Paese iberico, passando dai 108 ettari del 2013 ai 726 ettari del 2018.
Delle 16 uve da tavola introdotte, le più coltivate a Murcia sono la varietà a bacca bianca Itumfive (151,2 ha) e quelle a bacca rossa Itumnine (148,7 ha) e Itumeight (96,9 ha). Tra le novità, è state presentata Itumfifteen, a bacca rossa, che si caratterizza per la tolleranza all’oidio.
Itum, nato inizialmente per lo sviluppo di varietà coltivabili esclusivamente nel territorio spagnolo, in seguito ha allargato il progetto ad altri Paesi produttori come Cile, Argentina, Perù, Brasile, Messico, Sudafrica e Australia, vestendo i panni di valido concorrente delle più note società di breeding californiane. Allo stesso tempo, la società spagnola conferma la scelta di non distribuire le proprie varietà nei Paesi del Mediterraneo (tra cui l’Italia) per non avere diretti concorrenti nell’emisfero Nord.
Il programma di IFG
Oggi le varietà più diffuse al mondo dell’International Fruit Genetics sono Sweet Celebration®, Sweet Globe®, Sweet Sapphire®, Jack’s Salute®, Cotton Candy® e Sugar Crisp® (le cui caratteristiche sono state già approfondite su questa rivista nel fascicolo n° 1/2018). Tra le nuove uve proposte di IFG, molte sono a raccolta precoce, tra cui Sweet Nectar® (Fig. 3), varietà a bacca rossa, tonda-ovale, con grappolo medio-piccolo, forte sapore di moscato e periodo di raccolta fino a metà agosto. Sweet Magic®, a bacca nera, ovale, con grappolo medio e acino consistente e di facile colorazione, viene raccolta a inizio luglio; buona anche la produzione di uva essiccata.
Sweet Bond®, a bacca nera, ovale, di buona colorazione, con acini naturalmente grandi, grappolo grande, si raccoglie da metà luglio a metà agosto (come Midnight Beauty) ed ha media “shelf-life”. Candy Snaps® è una varietà a bacca rossa, tonda-ovale, con grappolo medio, eccellente colorazione, sapore di fragola, si raccoglie a inizio luglio, mentre Candy Hearts®, a bacca rossa, ovale-allungata, grappolo medio, sapore fruttato unico di moscato, viene raccolta a metà agosto; Candy Dreams®, a bacca rossa e tonda, con grappolo grande, sapore moscato, è raccolta fino a metà agosto. L’unica varietà medio-tardiva proposta da IFG è Candy Crunch®, a bacca nera allungata, sapore fruttato di moscato, tollerante alle piogge e buona tenuta sulla pianta.
Altre varietà presentate, non ancora dotate di un nome commerciale e al momento indicate solo con un codice numerico, sono IFG® 21-283 (rossa, precoce, a bacca tonda-ovale); IFG® 90-136 (rossa, precoce, a bacca ovale); IFG® 81-217 (o IFG® thirtytwo, bianca, precoce, a bacca allungata) (Fig. 3); IFG® 090-124 (nera, precoce, a bacca tonda).
SNFL
La Special New Fruit Licensing ha finora licenziato 20 varietà di uva da tavola, coltivate in 16 Paesi su una superficie complessiva di oltre 20 mila ettari autorizzati e una produzione attestata di circa 50 milioni di box (8,2 kg/cad.) ogni anno. Il nuovo programma di breeding di SNFL è stato avviato nel 2015 da parte di Juan Carreno (ex breeder di Itum) e dopo 3 anni sono stati generati complessivamente 160 mila semenzali, di cui 43 sono stati selezionati per ulteriori incroci o come varietà candidate alla commercializzazione. Secondo le previsioni e il cronoprogramma, le nuove varietà saranno lanciate nel 2020; attualmente non sono ancora contraddistinte da un nome commerciale, ma vengono denominate come “selezione” seguita da numeri e/o lettere.
Le prime varietà presentate dalla società sono a sapore neutro e a raccolta medio-tardiva, tra cui dodici sono a bacca bianca (da selezione 001 a 014, escluse 002 e 011) e dodici a bacca rossa (da selezione 015 a 026). Spiccano anche le nuove uve con sapore di moscato (contraddistinte dalla sigla M): tre sono bianche, di cui due a raccolta media (selezioni M 0012 e M 056) e una precoce (selezione M 04); tre a bacca rossa, di cui una precoce (selezione M 05), e due a raccolta medio-tardiva (selezione M 06 e M 07).
Non mancano proposte di uve con sapore esotico (codice Ex): dodici sono a bacca pigmentata, di cui una precoce (selezione Ex 007-1) e le altre medio-tardive (selezioni Ex 005-60, Ex 005-11, Ex 090-1, Ex 045-24, Ex 01-32, Ex 48, Ex 59, Ex 61, Ex 70, Ex 102 e Ex 105). Due le selezioni precoci a sapore tropicale/esotico (codice TE), di cui una rossa e l’altra nera (TE 001 e TE 009). Infine, sono state presentate 3 selezioni - a bacca bianca, rossa e nera - resistenti alle malattie (siglate R), tra cui l’oidio, rispettivamente nominate selezione R-16, R-17 e R-18.
La serie di Sun World
La società californiana oggi conta oltre 1.600 coltivatori autorizzati su 16.000 ettari distribuiti nei diversi areali di produzione di uva da tavola del globo. Dopo aver acquisito esperienza con varietà di grande “appeal”, tra cui Sable Seedless®, Autumn Crisp®, Scarlotta Seedless®, Midnight Beauty®, Adora Seedless®, Superior Seedless® (anch’esse già illustrate dettagliatamente lo scorso anno in questa Rivista), Sun World sta conducendo test commerciali approfonditi di nuove varietà che a breve saranno introdotte. Anche in questo caso le nuove uve presentate durante il congresso non hanno ancora un nome commerciale.
Tra le nuove varietà a bacca bianca vi sono Sugrafiftytwo, molto precoce, con grappolo uniforme, acino ovale-allungato, resistente al “cracking” e buona “shelf-life”; Sugrafiftyone, precoce, con grappolo uniforme e bacca ovale, con lieve aroma di moscato e buona conservazione; Sugrafiftyfour, di epoca intermedia, con grappolo medio e acino molto grande e ovale, sapore speciale (e inusuale) di tropicale/moscato.
Tra le varietà rosse ci sono Sugrafiftythree, rossa, molto precoce, con grappolo grande e acino ovale-allungato, buona e uniforme colorazione, aroma fruttato, buona tenuta in frigo-conservazione; Sugrafourteen, precoce, con grappolo medio-grande, acino ovale con difficoltà a colorare in caso di temperature notturne calde, sapore neutro, buona “shelf-life”.
Infine, tra le uve nere vi sono Sugrafortynine, molto precoce (3 settimane prima di Midnight Beauty), con grappolo grande, acini allungati e non soggetti a “cracking”, sapore fruttato, buona tenuta in frigo-conservazione; Sugrafiftyfive, anch’essa molto precoce, con grappolo uniforme e acini grandi di forma ovale-allungata, sapore moscato/fruttato, buona tenuta post-raccolta; Sugrafortyeight, di media epoca, acino di forma ovale-allungata, buona consistenza, aroma fruttato e discreta tenuta fino ad oltre 8 settimane di frigo-conservazione.
Evoluzione dei mercati
Il calendario dell’importazione nelle principali destinazioni europee nel 2000 vedeva una leadership completa del nostro Paese dal punto di vista dei volumi, con il 28% della quota delle importazioni nel periodo giugno-dicembre. In contro-stagione si registravano quantitativi significativi provenienti da Sudafrica (16%) e Cile (9%), ma non comparabili con i volumi italiani. Negli ultimi anni il panorama è completamente cambiato, con i primi sei mesi che sono diventati sempre più ricchi di un’offerta di prodotto proveniente da più aree. A gennaio si parte con le uve sudafricane, si continua nei mesi successivi con l’India, che si sovrappone alle produzioni cilene ed egiziane. Poi si affacciano le produzioni dei Paesi europei con Italia, Spagna e Grecia. A chiudere, il Brasile, seguito da Perù e poi di nuovo Sudafrica, che sta aumentando le proprie esportazioni in modo esponenziale nella finestra di mercato di dicembre.
Tuttavia, nell’ultimo decennio non si sono registrati aumenti sostanziali di volumi importati nel Vecchio Continente, mentre in termini di valore si è verificata una crescita lineare, sostenuta dall’incremento del prezzo medio e dalla maggiore commercializzazione di prodotti a più alto prezzo per unità di peso, come nel caso delle uve “seedless”. Il volume di prodotto contro-stagionale sui mercati europei nei primi sei mesi dell’anno è in forte crescita, tanto da risultare pari e talvolta superiore a quello stagionale. Ciò indica la necessità di avere uva da tavola sui banchi ortofrutta per tutto l’anno e una propensione al consumo anche di prodotto frigo-conservato proveniente da zone remote di produzione.
In Italia, quindi, mantenere l’uva da tavola sulla pianta fino a dicembre, esponendola a condizioni climatiche avverse e rischi fitosanitari, potrebbe rivelarsi controproducente, considerando che il prodotto fresco è ormai richiesto solo da alcuni Paesi come la Francia, che tende a non destagionalizzare i consumi, ma che offre prezzi medi di importazione più bassi. Situazione opposta, invece, per il mercato del Regno Unito che vede un quadro molto più articolato.
Il Paese che importa più uva da tavola in Europa è l’Olanda (circa il 30% del totale), in quanto rappresenta la principale porta di entrata per le uve contro-stagionali provenienti dall’Emisfero Sud e l’hub di ridistribuzione del prodotto sui diversi mercati. A seguire, la Germania (26%), mercato in cui l’Italia è leader, e il Regno Unito (25%) - destinazione che maggiormente valorizza le produzioni con circa 2,35 euro/kg (prezzi medi doganali di importazione) - dove invece il nostro Paese è quasi assente (si posiziona al decimo posto dopo la Grecia) e dove la Spagna ha conquistato una leadership molto stabile negli ultimi anni.
In Europa, l’Italia è il principale esportatore, in termini sia di volume che di valore (ma solo perché esporta più uva). Il nostro Paese, infatti, si caratterizza per un’altra leadership, ma in negativo: quella del prezzo medio più basso per chilogrammo (1,45 €/ kg) rispetto alla Spagna, che invece è oltre 1 €/kg in più. Questo perché produciamo e spediamo molta più uva con seme rispetto al Paese iberico. Nel complesso, quella appena descritta, è la situazione generale nel contesto europeo, a conferma che il mercato del Vecchio Continente per le uve italiane è stagnante e la competizione è elevata. Emerge quindi la necessità di esplorare nuovi mercati, in un contesto globale sempre più asia-centrico. Sarebbe opportuno seguire l’esempio della Spagna, che ha investito molto a livello politico su questi punti, consapevole che si può andare lontano soltanto con prodotti di elevato valore. È recente la notizia dell’accordo tra Spagna e Cina che stabilisce i requisiti fitosanitari che regolamenteranno l’export di uva spagnola sul mercato cinese. Gli attori della filiera italiana però devono porsi una domanda: si hanno prodotti che per caratteristiche qualitative e quantità possono essere promossi su tali mercati?
Altra importante destinazione per le uve nazionali potrebbe essere il Sudafrica che, nonostante l’elevata disponibilità, richiede una maggiore e costante presenza di prodotto nei banchi della distribuzione per tutto l’anno. La Spagna, grazie alle sue politiche commerciali, è diventato l’unico Paese europeo a spedire uva da tavola nel Paese sudafricano, riuscendo a soddisfare in parte la loro elevata domanda contro-stagionale, esportando in particolar modo uve apirene nel periodo giugno-ottobre. A confermare che il Sudafrica potrebbe rappresentare un ottimo mercato di destinazione vi sono i numeri della GDO. Ad esempio, la SPAR nel 2018 ha registrato un +18% nell’import di uva da tavola rispetto al 2017 e addirittura un +49% rispetto al 2016.
Duole constatare che il dossier con il PRA (“Pest Risk Analysis”) per l’esportazione dell’uva Italia verso questo Paese, pronto dal 2013, dopo un lungo iter consultivo tra le autorità sudafricane e e quelle italiane, che ha richiesto anche notevoli dispendi di energie, sia fermo presso il Mipaaft nel disinteresse dei possibili interessati (produttori ed esportatori). Purtroppo, per la macchina statale italiana, caratterizzata da forti carenze di personale tecnico specializzato, avviare simili iniziative sull’onda dell’emotività, sulle contingenze del momento o di valutazioni prive dei dovuti approfondimenti (costi/benefici, concetto ora di moda!), senza poi dare seguito agli investimenti messi in campo, denota una totale mancanza di visione e strategia.
Da considerare, infine, la crescita della domanda in alcuni mercati africani sub-sahariani in cui si sta verificando un aumento del PIL pro-capite e la cui classe media in forte espansione - stimata intorno ai 300 milioni di persone - avrà la possibilità di pagare i prodotti di valore.
Le criticità emerse
Dal congresso di Madrid sono scaturite ulteriori considerazioni ed emerse altre criticità. La forte competizione tra Paesi della stessa area (nel nostro caso quella del Mediterraneo) potrebbe essere controproducente, col rischio che possa ripetersi quello che già succede in Sud America tra Cile e Perù (con la Bolivia che si sta affacciando), che lottano per dominare alcuni mercati – es. California e Regno Unito –- penalizzando in questo modo intere zone di produzione sudamericane che fanno fatica a collocare il proprio prodotto. Quindi, accordi tra i Paesi dello stesso areale potrebbero essere importanti per evitare o quantomeno limitare tali interferenze. In mancanza di queste, ci sarà sempre più competizione nel periodo ottobre-dicembre tra Italia, Spagna e Grecia, con una forte concorrenza del Perù (aree produttive di Piura e Ica) e una partecipazione moderata del Brasile. Potrebbe, inoltre, esserci il forte rischio che l’India un giorno cominci a produrre uva per dicembre, introducendo varietà interessanti e metodi di coltivazione più eco-sostenibili, diventando così un competitore difficile sui mercati europei, non solo nel periodo tra febbraio e giugno. Inoltre, Paesi meno noti come Turchia, Moldavia, Macedonia, Bulgaria, Serbia, Slovacchia, Armenia, Azerbaigian e Uzbekistan, per citarne solo alcuni, stanno incrementando le produzioni di uva da tavola che viene esportata verso l’Europa dell’Est (dove destiniamo parte del nostro prodotto), in particolare Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, ma anche Russia che, a causa del permanente stato di embargo, ha stabilmente trovato nuovi fornitori. Tutto ciò determina l’erosione di importanti fette di mercato a Grecia e, soprattutto, Italia. Da evidenziare anche la crescita dei Paesi nordafricani, fortemente concorrenti con le produzioni precoci, tra i quali l’Algeria è in forte espansione.
La mappa dell’offerta mondiale di uva da tavola avrà un drammatico cambiamento nei prossimi anni. La scoperta di aree sub-tropicali o tropicali (a cavallo dell’Equatore) caratterizzate da periodi secchi, permetterà di programmare, spostare o gestire le raccolte secondo le esigenze di ogni mercato, colmando anche lacune o forniture inaffidabili. Infatti, l’introduzione di nuove varietà più performanti, l’utilizzo di film plastici protettivi, l’introduzione di nuovi fitoregolatori per la colorazione delle uve e di innovazioni tecnico-agronomiche, consentono oggi la produzione di uva anche in zone ritenute fino a qualche anno fa troppo restrittive. Secondo le previsioni, alcune aree tradizionali nella produzione di uva da tavola potrebbero scomparire o ridurre il loro ruolo nel contesto globale, anche in Paesi con industrie consolidate.
Tuttavia, sembra che questi scenari futuri, non pessimisti, ma realisti, che rispecchiano un’evoluzione che va avanti da anni, non costituiscano sufficiente stato d’allerta per il comparto italiano. Se da una parte si reclama – giustamente – una strategia nazionale che veda coinvolte le varie Istituzioni (Ministeri dell’agricoltura, dello sviluppo economico, degli esteri, agenzia delle dogane, ICE, Camere di Commercio con il corpo diplomatico), dall’atra non si hanno chiari e definiti segnali su quali mercati puntare e per quale tipo di prodotto. Riemerge la drammatica carenza di dati sul settore: catasto produzioni per superfici, aree geografiche e varietà; dati sui flussi commerciali in export e capacità di stoccaggio; insufficienti dotazioni strutturali dei centri di spedizione. Scenari già noti e mai affrontati con determinazione per dotare il comparto di organizzazione ed infrastrutture necessarie a competere con sistemi produttivi più consolidati e a cui ci si riferisce sempre con ammirazione e preoccupazione.
Tutte le grandi aziende produttrici ed esportatrici oggi rispondono agli standard produttivi e sono per questi certificate per il lavoro etico, per i criteri di salvaguardia ambientale adottati, per tracciabilità e rintracciabilità di processo e prodotto, ben consapevoli che essi rappresentano requisiti d’accesso sul mercato internazionale. Nessuno escluso vive però con angoscia l’attività imprenditoriale, che negli ultimi anni, a causa di un singolo episodio o di deprecabili situazioni in vigore per altre filiere (pomodoro da industria, angurie, ecc., con casi di caporalato e lavoro nero) è stata di fatto criminalizzata, offrendo all’opinione pubblica un’immagine non veritiera del settore.
Altro fattore critico è l’elevato costo della manodopera e l’eccessiva rigidità delle regole d’ingaggio e sull’organizzazione del lavoro. Specie queste ultime andrebbero riviste, in quanto si tratta di produzioni stagionali con posizionamento sui mercati in tempo reale. La triste constatazione è che nell’annus horribilis appena trascorso sono stati disdetti importanti contratti con “buyer” esteri e sono rimaste non raccolte intere partite per la mancanza di manodopera. Un fatto eclatante che mette a nudo le difficoltà dell’intero sistema nazionale. Sul fronte dei costi, solo riferendosi ai competitori mediterranei, Spagna e Grecia, grazie alle inferiori retribuzioni lavorative, possono permettersi politiche commerciali più aggressive.
È chiaro che questi sono aspetti da affrontare con primaria importanza dalla politica agricola nazionale, con la collaborazione degli operatori del settore. Questi ultimi, da parte loro, devono saper sintetizzare in pochi e chiari punti le criticità da risolvere, pena un “confronto tra sordi” e un rimpallo di responsabilità senza alcuna speranza per il futuro dell’uva da tavola italiana.n